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Costruzione e modalità di intepretazione del dato normativo

3. Il parametro del «consumatore medio»

3.1. Costruzione e modalità di intepretazione del dato normativo

L’attitudine di una pratica commerciale a falsare il comportamento economico (art. 5, par. 2, lett. b)), ad ingannare (art. 6, par. 1) ovvero a limitare la libertà di scelta (art. 8), nonché il bisogno di informazioni rilevanti per prendere una decisione informata (art. 7, par. 1), richiedono sempre, secondo la lettera delle relative disposizioni, una valutazione alla stregua del «consumatore medio» («average consumer»).

Poiché il divieto di pratiche scorrette prescinde dall’accertamento della sussistenza di un nesso di causa reale tra la condotta del professionista e l’effettiva conclusione da parte del consumatore di un contratto (a determinate condizioni), si è già detto che il giudizio normativo sarà di tipo probabilistico, sulla base del noto test dell’idoneità a indurre ad assumere una decisione commerciale che non sarebbe stata altrimenti presa.

Il parametro su cui svolgere questa verifica non è, sia pure in una dimensione prospettica e dunque comunque eventuale, il singolo, concreto consumatore, bensì, appunto, il «consumatore medio»51.

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51 Per tale collegamento v. anche M. LIBERTINI, Clausola generale e

disposizioni particolari, cit., p. 103, che sottolinea in particolare il nesso tra la nozione (tipica) di consumatore medio e la necessità di valutare il grado di condizionamento causato dalla condotta del professionista ai sensi del criterio (anch’esso social-tipico) di apprezzabilità.

Si tratta di una figura astratta di riferimento che funge da elemento di controllo dell’incidenza delle alterazioni nel processo decisionale indotte dalle pratiche scorrette: per tale ragione esso, come ogni standard, tende ad immortalare una situazione–base, qui di tipo prevalentemente comportamentale e psichico, che potrà essere confrontata con quella risultante in conseguenza degli effetti ipotetici di una determinata pratica commerciale. Sulla base di una lettura condizionalistica del nesso causale, ove si dimostrasse che tale consumatore medio avrebbe preso una decisione diversa da quella che si può immaginare lo stesso adotterebbe al ricorrere della pratica, è evidente che quest’ultima lo induce (meglio, è in grado di indurlo) ad agire «altrimenti».

La direttiva stabilisce che, dato tale risultato, la pratica è scorretta e deve pertanto intendersi vietata: ciò, come evidenziato, tanto sotto le previsioni in tema di pratiche ingannevoli e aggressive quanto sotto la clausola generale, dal momento che tutte richiamano sia la nozione in esame sia il test di cui all’art. 2, lett. e).

Per il concetto di consumatore medio, tuttavia, non si rivela efficace la tecnica consueta di ricercarne il significato nella disposizione dedicata alle definizioni; né maggior successo si ha scandagliando la parte precettiva della direttiva. Al contrario, la questione è oggetto di estese considerazioni nel preambolo, il cui contenuto, notoriamente, non è vincolante.

Al fine di comprendere le ragioni di quella che, alla luce della centralità del tema nel quadro della normativa, pare costituire una marcata incongruenza, conviene ripercorrere in breve il relativo iter legislativo52; da questo si potranno altresì ricavare importanti indizi per l’interpretazione della nozione in esame.

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52 B. B. DUIVENVOORDE, The Consumer Benchmarks in the Unfair

Forte della convinzione che la mancanza di un parametro univoco a livello comunitario per descrivere il «consumatore medio» posto a fondamento delle singole discipline nazionali costituisse un grave ostacolo al commercio transfrontaliero, la Commissione, nella prima proposta di direttiva, aveva inteso porre rimedio alle divergenze esistenti tra i vari Stati membri codificando la relativa nozione tramite un’esplicita definizione53.

Quale consumatore medio avrebbe dovuto intendersi «il consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto»54: sul punto la Commissione chiariva, nel contesto della

presentazione generale della direttiva, che sarebbe risultata decisiva la «nozione elaborata dalla Corte di Giustizia» — cui in effetti tale formula si adeguava in pieno — la quale escludeva pertanto il consumatore «vulnerabile e atipico»55.

Tanto il Comitato economico e sociale europeo quanto il Parlamento europeo avevano manifestanto una forte opposizione ad un simile assetto, contestando la riduzione del livello di protezione complessiva così offerto ai consumatori, i più deboli dei quali sarebbero risultati di fatto i meno tutelati56: e ciò nonostante che la Commissione, nella medesima proposta, ancora in dichiarato ossequio

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2015; le pagine si riferiscono al manoscritto consultato per cortesia dell’Autore), pp. 18-20; G. DE CRISTOFARO, in IDEM (a cura di), Pratiche commerciali scorrette e codice del consumo, cit., pp. 161-163.

53 COM (2003) 356 definitivo, del 18 giugno 2009, Relazione alla Proposta

di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle pratiche commerciali sleali, par. 30, p. 9.

54 COM (2003) 356 definitivo, cit., Proposta di direttiva, art. 2, lett. b) 55 COM (2003) 356 definitivo, cit., Relazione alla Proposta di direttiva, par.

30, p. 9.

56 Per l’opposizione dei Paesi nordici (Danimarca e Svezia) si vedano H.-W.

MICKLITZ, in Understanding EU Consumer Law, cit., p. 70; U. BERNITZ, in WEATHERILL, U. BERNITZ (a cura di), The Regulation, cit., pp. 37 e 39.

ai (presunti) precetti dei giudici di Lussemburgo57, avesse sottolineato la possibilità di un adattamento del parametro a gruppi determinati o a specifici aspetti di vulnerabilità58.

Il Consiglio, mostrandosi sensibile alle istanze emerse nella procedura legislativa, aveva evidenziato l’esigenza di apprestare una forma di tutela adeguata ai consumatori più deboli, anche mediante la previsione di uno specifico criterio59; allo stesso tempo, il parametro del «consumatore medio» era eliminato dall’elenco delle definizioni per transitare nel preambolo, e questa versione veniva trasfusa nel testo definitivo.

Attualmente, dunque, della nozione si occupa il considerando n. 18, dove si enuncia esplicitamente che la figura «virtuale» di «consumatore medio» rimanda all’idea di un consumatore «normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto», con l’aggiunta della necessità di tenere conto di «fattori sociali, culturali e linguistici».

In questo scenario è sorta la questione se lo spostamento nel preambolo abbia implicato un cambio di prospettiva nel significato da attribuire al concetto in esame, nonostante la formulazione letterale sia rimasta immutata: in particolare, se sia possibile desumerne un abbassamento della soglia di tutela a vantaggio dei consumatori più vulnerabili60.

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57 Solo un parziale riferimento in tal senso, senza che se ne potesse desumere

un principio generale, era allora ravvisabile nel caso Buet (1989), per i cui estremi vedi infra.

58 COM (2003) 356 definitivo, p. 9; cfr. B.B. DUIVENVOORDE, The

Consumer Benchmarks, cit., p. 19, nt. 71.

59 B. B. DUIVENVOORDE, The Consumer Benchmarks, cit., p. 20.

60 Interrogativo posto da H.-W. MICKLITZ, in G. HOWELLS ET AL., European

Fair Trading Law, cit., p. 112 e ricorrente nelle indagini degli studiosi, tra cui T. WILHELMSSON, Misleading Practices, ibidem, p. 132; S.

Non deve comunque essere sottovaluto, in ottica sistematica, che la ragione ufficiale fornita dalla Commissione per la diversa strutturazione della normativa risieda nella volontà di consentire l’adeguamento della nozione all’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in materia61.

Ora, lo stesso considerando precisa che il giudizio sulle caratteristiche del consumatore medio debba essere effettuato «secondo l’interpretazione della Corte di giustizia»; allo stesso tempo, si ritiene pacificamente che, di fatto, al di là della natura giuridica del preambolo, nella prassi delle autorità amministrative e giudiziarie nazionali chiamate ad applicare la disciplina risulteranno decisivi i canoni interpretativi individuati dai giudici di Lussemburgo62.

Considerato che la formula ormai cristallizzata rappresenta l’esatta trasposizione della posizione da questi ultimi finora espressa, alla quale dovrebbe comunque guardare l’interprete, trattandosi di nozione propria del diritto comunitario, in mancanza di sopravvenuti mutamenti di orientamento è preferibile ritenere che, in linea di principio, i connotati del «consumatore medio» rilevante per la direttiva siano descritti dai parametri sanciti dal preambolo.

Pertanto, un modus operandi più coerente consiste nella duplice prospettiva di ricercare, da un lato, l’origine e l’esatto significato della formula del consumatore «normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto» così come sviluppatasi nell’elaborazione giurisprudenziale comunitaria, e di valutare, dall’altro, le aperture offerte da alcuni dati positivi interni alla direttiva; sulla base di questi !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

WEATHERILL, in EU Consumer Law and Policy, II ed., Edward Elgar, 2013, p. 243.

61 Riferisce di tale circostanza B. B. DUIVENVOORDE, The Consumer

Benchmarks, cit., p. 19, nt. 75.

62 Con lungimiranza G. DE CRISTOFARO, in IDEM (a cura di), in Pratiche

elementi si potrà verificare il livello di protezione del consumatore postulato dalla disciplina sulle pratiche scorrette e il grado in cui, di conseguenza, anche i gruppi più vulnerabili sono destinatari di tutela, sia pure solo potenziale.

3.2. La giurisprudenza della Corte di giustizia sulla