3. Il parametro del «consumatore medio»
3.4. I tre standard previsti dall’art
3.4.3. Lo standard del “consumatore vulnerabile”
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Un’impostazione più chiaramente derogatoria e coerente con obiettivi di tutela del consumatore sembra emergere dal par. 3 dell’art. 5, ove si presenta il terzo possibile parametro di riferimento per il giudizio di scorrettezza.
La disposizione descrive un meccanismo elaborato, incentrato su un tipo di collegamento puramente oggettivo tra la pratica commerciale e l’esito distorsivo sulle scelte del consumatore: condizione necessaria è l’idoneità a falsare il comportamento economico di quest’ultimo, senza che rilevi, come invece al par. 2, l’elemento finalistico insito nella direzione impressa dal professionista alla sua condotta. Il divieto trova infatti il suo presupposto nella constatazione del (potenziale) coinvolgimento di determinate categorie di soggetti e dunque consente di ritenere sufficiente una valutazione limitata ai dati emergenti in un momento solo successivo alla realizzazione della pratica commerciale.
Si è rilevato in dottrina che una corretta lettura del rapporto con gli altri due parametri dovrebbe pertanto condurre a ritenere che il criterio in questione si applichi nel caso di una pratica in origine rivolta alla generalità dei consumatori: tale interpretazione si fonda sulla circostanza che, per l’ipotesi di pratica indirizzata ad un insieme di consumatori vulnerabili, sarebbe possibile invocare la tutela già apprestata dallo standard del «gruppo determinato», senza necessità di ricorrere alla previsione di cui al par. 3106.
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106 G. DE CRISTOFARO, in IDEM (a cura di), Pratiche commerciali scorrette e
Tuttavia, la natura derogatoria a quest’ultima ricollegata sotto il profilo della garanzia dei soggetti più deboli risulterebbe smentita dal medesimo ragionamento.
In primo luogo, infatti, occorre considerare come il criterio alternativo di determinazione del consumatore medio, emergente dal combinato disposto dei due parametri stabiliti dalla lett. b) del par. 2, sia idoneo ad applicarsi secondo identiche modalità in ogni situazione in cui venga in rilievo un certo gruppo di consumatori, indipendentemente dal fatto che questi siano destinatari effettivi della pratica o che la pratica sia loro soltanto diretta. Ciò sia per la natura intrinseca dello standard adottato sia per l’evidente e inevitabile difficoltà di discriminare con certezza tra le due ipotesi, tra le quali potrebbe altrimenti crearsi una disparità di trattamento ingiustificata.
In secondo luogo, poi, come risulta dalle riflessioni svolte poco sopra, non è affatto sicuro che l’interpretazione del parametro del «gruppo determinato» conduca ad un abbassamento del livello di attenzione e cognizione critica fissato in termini molto esigenti dalla Corte di giustizia nella sua giurisprudenza consolidata, anche una volta prese in considerazione le specificità dell’insieme dei soggetti cui fare riferimento.
Ne discende che il significato della regola di cui al par. 3 deve essere ricercato altrove, se si vuole attribuire alla stessa un ruolo autonomo e non meramente esplicativo di quanto già contenuto in altre disposizioni.
Su questa strada ermeneutica spinge senza dubbio la peculiare costruzione della norma. Un primo elemento che in tale ottica merita di essere valorizzato è l’avverbio «solo», il quale circoscrive l’ambito di applicazione ai casi in cui la pratica commerciale è idonea ad alterare in misura rilevante esclusivamente il comportamento dei soggetti
vulnerabili. Emerge qui, però, una contraddizione di difficile soluzione, peraltro trascurata dagli studiosi della materia107.
Come noto, l’individuazione del modello di consumatore rappresenta il presupposto del giudizio di scorrettezza, che il legislatore, senza richiedere l’accertamento di un nesso causale in concreto, stabilisce nei termini di una valutazione circa l’idoneità a falsare il comportamento economico del «consumatore medio», che la Corte di giustizia a sua volta ha interpretato come «nozione obiettiva» e astratta; al contempo, il gruppo di riferimento è selezionato sulla base del duplice criterio della destinazione della pratica e dei soggetti raggiunti.
Nella previsione di cui al par. 3 si assiste ad una singolare inversione. La possibilità di individuare il parametro per il giudizio di scorrettezza nel membro medio di un gruppo di consumatori vulnerabili sembra presupporre che tale giudizio sia già stato effettuato e che, per di più, abbia dato risultato positivo: eventualità assurda, allorché si rifletta circa quanto detto sulla pregiudizialità della determinazione di uno standard rispetto all’accertamento della potenzialità distorsiva di una pratica commerciale ai sensi della direttiva.
Da un punto di vista logico la questione sorge perché, attenendosi strettamente al testo della disposizione, il gruppo rispetto al quale costruire il parametro rilevante dovrebbe essere individuato in via mediata, proprio sulla base della circostanza che talune pratiche «possono falsare in misura rilevante il comportamento economico solo
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107 Segnala un ridotto grado di approfondimento delle problematiche sottese
all’interpretazione del par. 3 anche B. B. DUIVENVOORDE, The Consumer Benchmarks, cit., p. 26, il quale, però, da un lato, si esprime con particolare riferimento alla collocazione del termine «solo», dall’altro omette egli stesso di rilevare l’incongruenza qui evidenziata.
di [quel] gruppo»: ne nasce con tutta evidenza un circolo autoreferenziale.
Per ovviare a questo inconveniente è possibile interpretare il dato letterale nel senso di ritenere la norma applicabile in tutte le ipotesi in cui, a causa dell’esito negativo del giudizio di scorrettezza condotto alla luce del parametro consueto del «consumatore medio», i soggetti che non possiedono le qualità di normale attenzione e avvedutezza potrebbero non riceve adeguata tutela, perché suscettibili, al contrario del prototipo normativo, di essere condizionati dalla pratica commerciale in esame.
Data questa situazione, il criterio aggregante il gruppo di riferimento risiede nella verifica obiettiva della sussistenza di un certo tratto di vulnerabilità in un dato insieme di consumatori. In quest’ottica, dunque, non è casuale che al centro della fattispecie stia la definizione delle caratteristiche qualificanti il gruppo al cui interno dovrà essere selezionato un membro «medio» in modo tale da garantire ai suoi componenti adeguata tutela.
La debolezza deve essere ravvisata, come chiarisce la disposizione stessa, rispetto «alla pratica o al prodotto»: per giustificare l’applicazione della norma è fuorviante distinguere se essa presupponga una pratica posta in essere nei confronti della generalità ma incidente sui soli consumatori vulnerabili, ovvero a questi diretta in modo esclusivo, o, ancora, se ricorra una combinazione ulteriormente diversa108; ciò che rileva è il coinvolgimento, a qualsiasi titolo, di soggetti vulnerabili rispetto alle modalità concrete di realizzazione della condotta del professionista o alla natura del prodotto intorno al quale ruota l’operazione commerciale.
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108 In questa misura è condivisibile l’affermazione di B. B. DUIVENVOORDE,
The Consumer Benchmarks, cit., p. 26, secondo il quale «the word “only” should not be seen as a requirement».
Una volta definito il gruppo di riferimento — operazione alla quale il legislatore dedica la maggior parte delle regole di cui al par. 3 — è allora possibile estrapolarne il parametro alla stregua del quale condurre il giudizio di scorrettezza. Sul punto la direttiva non fornisce alcuna indicazione, limitandosi a statuire che debba prendersi in considerazione il «membro medio di tale gruppo»: spetta pertanto all’interprete ricostruire il valore di questa previsione.