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Origine del concetto nel contesto del mercato unico

3. Il parametro del «consumatore medio»

3.2. La giurisprudenza della Corte di giustizia sulla nozione di «consumatore medio»

3.2.1. Origine del concetto nel contesto del mercato unico

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La nozione di «consumatore medio» è stata elaborata in via giurisprudenziale in un periodo precedente all’entrata in vigore della direttiva 2005/29. In assenza di una disciplina generale delle pratiche commerciali scorrette, il quadro normativo era caratterizzato, a livello comunitario, da interventi settoriali di armonizzazione minima63, in particolare in tema di pubblicità ingannevole e comparativa, e, a livello nazionale, dall’esistenza di regole a protezione dei consumatori disomogenee e spesso contrastanti con quelle di altri Stati Membri64.

Da un punto di vista tecnico, l’intervento della Corte di giustizia in sede di rinvio pregiudiziale era giustificato dalla necessità di valutare la compatibilità di singole previsioni nazionali con il principio

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63 Una compiuta ricostruzione, oltre a quanto già osservato supra, si trova in

G. HOWELLS, Introduction, in IDEM ET AL., European Fair Trading Law, cit., pp. 13 ss.

64 Imponente il lavoro raccolto in R. SCHULZE, H. SCHULTE-NÖLKE, Analysis

of National Fairness Laws Aimed at Protecting Consumers in Relation to Commercial Practices, giugno 2003, reperibile a partire da ec.europa.eu, realizzato nel contesto dei lavori preparatori ad una disciplina comunitaria generale in materia, poi sfociati nell’adozione della direttiva 2005/29.

di libera circolazione delle merci stabilito agli attuali artt. 28 ss. TFUE65.

La questione paradigmatica, affrontata nel noto caso Cassis de

Dijon, riguardava la possibilità, riconosciuta dalla Corte di giustizia in

astratto ma negata nel caso di specie, di derogare al divieto di misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative sulla base di quattro «esigenze imperative», tra cui figuravano la «lealtà delle transazioni commerciali» e la «difesa dei consumatori»66. Il ruolo della Corte consisteva nel verificare se le disposizioni degli Stati Membri che ponevano ostacoli al commercio fossero giustificate alla luce delle eccezioni così delineate, da interpretarsi secondo il principio di proporzionalità: il problema si riduceva così alla valutazione della compatibilità con il diritto comunitario del bilanciamento realizzato dalla legislazione nazionale nel porre a fondamento delle misure restrittive un determinato tipo di consumatore — del quale tuttavia ancora non emergeva una compiuta astrazione in termini di standard.

Per tale via i giudici di Lussemburgo pervenivano a delineare una propria visione delle caratteristiche, in termini di capacità di orientarsi negli scambi commerciali, che ragionevolmente possono ritenersi possedute da un consumatore. Di particolare rilievo è la considerazione che le prime riflessioni circa quella che, in un momento successivo, sarebbe emersa come figura del «consumatore medio», sono strettamente collegate (e subordinate) alle esigenze del mercato interno, secondo il limite della proporzionalità.

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65 Si parla al proposito di una tecnica di «negative harmonisation», in base

alla quale la realizzazione del mercato interno veniva perseguita non tramite l’implementazione di una regolazione omogenea a livello comunitario, bensì attraverso la mera eliminazione delle normative degli Stati Membri che vi fossero d’ostacolo: cfr. G. HOWELLS, in IDEM ET AL., European Fair Trading Law, cit., p. 9.

66 Corte di giustizia, sentenza del 20 febbraio 1979, C-120/78, Rewe (Cassis

Nel contesto di un approccio privo di portata sistematica, una delle presunzioni ricorrenti sottese al ragionamento della Corte postula che il consumatore sia in grado di raccogliere, ove presenti, le informazioni rilevanti e di orientare in modo conseguente le proprie scelte commerciali; pertanto, sul piano dei criteri espliciti per valutare le restrizioni poste dalle legislazioni nazionali, deve ritenersi non proporzionale ogni misura che ecceda l’imposizione dell’obbligo in capo alle imprese di fornire le informazioni adeguate, in modo chiaro e completo67. Così, in concreto, nell’ambito del commercio

transfrontaliero non riceverebbe tutela il consumatore che fosse ingannato dalla presentazione esterna di un prodotto, nonostante l’etichetta riporti informazioni rilevanti e veritiere68.

Tale presunzione, anche in modo implicito, si ritrova alla base di alcune pronunce della Corte di giustizia della prima metà degli anni ’90, le quali proiettano l’immagine di un consumatore consapevole, la cui protezione non ha ragione di spingersi fino al punto di vietare una pratica commerciale laddove può essere garantito, anche a mezzo della stessa, l’accesso alle informazioni di mercato69.

La giurisprudenza di Lussemburgo, tuttavia, si mostrava incerta su alcuni punti decisivi. In primo luogo, pur mantenendosi fedele al principio espresso dal brocardo «vegliantibus non dormientibus iura

succurrunt»70, la Corte, nel tentativo di individuare di volta in volta lo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

67 Questa la soluzione ritenuta corretta già da Corte di giustizia, Cassis de

Dijon, cit., par. 13.

68 Corte di giustizia, sentenza del 26 ottobre 1995, C-51/94, Commissione c.

Germania, in Racc. giur., I-3599, par. 34.

69 Corte di giustizia, sentenza del 7 marzo 1990, C-362/88, GB-INNO-BM, in

Racc. giur., I-667.; Corte di giustizia, sentenza del 18 maggio 1993, C- 126/91, Yves Rocher, in Racc. giur., I-2361; rispetto a quest’ultima vedi S. WEATHERILL, Who is the ‘Average Consumer’, in S. WEATHERILL, U. BERNITZ, The Regulation, cit., p. 127.

70 Conclusioni dell’avvocato generale G. Tesauro nel procedimento C-

standard di tutela più adeguato, oscillava tra il riferimento ad

un’analisi quantitativa, richiedendo che l’idoneità a trarre in inganno fosse ravvisata rispetto ad un numero significativo di consumatori71, e la tecnica della costruzione di un parametro astratto, le cui caratteristiche risultavano da un giudizio solo apparentemente empirico, ma in realtà normativo72. Sulla scia di quest’ultimo orientamento, una delle prime formalizzazioni esplicite della figura virtuale alla base dell’operazione di bilanciamento svolta dalla Corte nel valutare la compatibilità delle limitazioni nazionali con il principio di libera circolazione delle merci è contenuta nella sentenza Mars. Le imprese, affinché possano vedersi tutelate nella propria libertà di promuovere un prodotto nell’ambito del mercato unico senza subire restrizioni che non siano necessarie né proporzionali, devono potersi attendere, quali controparte, consumatori «ragionevolmente avveduti»73.

Il secondo aspetto su cui stentava ad affermarsi una posizione ben definita della Corte era costituito dal grado di autonomia da riconoscere agli Stati Membri nell’adeguare le rispettive discipline a tutela dei consumatori alle specificità nazionali e, in particolare, dai criteri sulla base dei quali potesse essere esercitata tale discrezionalità.

Come visto, in coincidenza delle prime pronunce relative alle disposizioni corrispondenti agli attuali artt. 28 ss. TFUE, il canone pressoché unico alla cui luce interpretare le eccezioni associate alle !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

71 Corte di giustizia, sentenza del 16 gennaio 1992, C-373/90, Nissan, in

Racc. giur., I-131, parr. 15-16; si noti che la sentenza ruota attorno all’interpretazione della direttiva 84/150 sulla pubblicità ingannevole.

72 Corte di giustizia, sentenza del 2 febbraio 1994, C-315/92, Clinique, in

Racc. giur., I-317.

73 Corte di giustizia, sentenza del 6 luglio 1995, C-470/93, Mars, in Racc.

giur., I-1923, par. 24; come chiosa S. WEATHERILL, in S. WEATHERILL, U. BERNITZ, The Regulation, cit., p. 128, da allora «the ‘reasonably circumspect’ consumer has become a regular visitor to the Court’s judgments».

quattro esigenze imperative era stato fissato nel principio di proporzionalità: tale impostazione sottintendeva una particolare attenzione al raggiungimento dell’obiettivo del mercato unico, il quale costituiva l’elemento di maggior rilievo rispetto al quale dovevano essere bilanciati gli ostacoli al commercio transfrontaliero posti dalle legislazioni dei singoli Stati Membri. La stessa «difesa dei consumatori», ove realmente impeditiva rispetto allo scopo menzionato, risultava puntualmente soccombente, con conseguente incompatibilità delle misure nazionali rispetto al diritto comunitario, salvi i casi in cui vi si potesse riscontrare un fondamento ragionevole: fondamento scardinato dalla Corte di giustizia attraverso il grimaldello del consumatore difficilmente ingannabile.

In sentenze più recenti, tuttavia, avevano fatto la propria comparsa graduale interessi ulteriori rispetto a quelli sino ad allora considerati rilevanti nel giudizio di proporzionalità.

Già in una occasione la Corte di giustizia, esprimendosi a favore del divieto di una determinata pratica commerciale — sul presupposto che essa fosse destinata, per sua intrinseca natura, ad un gruppo di consumatori particolarmente vulnerabile — si era mostrata sensibile alla condizione dei soggetti più deboli che formassero una categoria con esigenze di tutela omogenee e che tuttavia non avrebbero ricevuto protezione alla luce dei parametri consueti74.

Dopo alcuni anni, segnati dal consolidarsi dell’orientamento sopra esposto, una riflessione innovativa si ritrova nelle conclusioni dell’Avvocato generale nel caso Clinique: questi pone l’accento sulla circostanza che, in linea di principio e salve le limitazioni stabilite, rientra nelle competenze dei singoli Stati Membri stabilire le misure ritenute opportune in relazione alle materie previste all’art. 36 TFUE, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

74 Corte di giustizia, sentenza del 16 maggio 1989, C-382/87, Buet, in Racc.

anche qualora dovessero costituire ostacoli al commercio intracomunitario. I legislatori nazionali dovrebbero godere pertanto di un margine di discrezionalità, tale da consentire, in particolare, di prendere in considerazione le «differenze concrete dal punto di vista linguistico, sociale e culturale, in conseguenza delle quali una situazione che in un Paese non induce in errore i consumatori può risultare ingannevole in un altro»75.

La Corte di giustizia, tuttavia, nel valutare la giustificazione di alcune restrizioni al commercio in termini di protezione dei consumatori, non ha ritenuto di dover tenere conto di eventuali specificità ricorrenti nello Stato Membro interessato, optando per uno

standard di consumatore unico a livello europeo76.

A diverse conclusioni sono invece pervenuti i giudici in una pronuncia di poco successiva, enunciando il principio per cui, a causa di fattori linguistici, culturali e sociali, la natura ingannevole di una comunicazione commerciale o del nome di un prodotto può andare incontro a valutazioni diverse a seconda dello Stato Membro interessato, con l’individuazione di un parametro nazionale, senza che ciò contrasti con il diritto comunitario77.

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75 Conclusioni dell’avvocato generale C. Gulman nel procedimento C-

315/92, Clinique, cit., par. 25.

76 Sentenza C-315/92, Clinique, cit., parr. 21-22.

77 Corte di giustizia, sentenza del 26 novembre 1996, C-313/94, Graffione, in