3. Il parametro del «consumatore medio»
3.3. Ruolo e significato attuale della nozione come recepita nella direttiva
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Al momento dell’introduzione di una regolazione generale in materia di pratiche scorrette la nozione di «consumatore medio» riceve un significativo riconoscimento normativo: essa viene inclusa in ciascuna fattispecie di divieto e costituisce il parametro esplicito alla stregua del quale effettuare il giudizio di scorrettezza, rivelandosi un elemento chiave per la comprensione delle ragioni e della potenzialità applicative della disciplina.
Il significato del concetto è affidato alla descrizione del considerando n. 18, il quale cristallizza in particolare le due conquiste ermeneutiche più consolidate nella giurisprudenza comunitaria, come dimostrato nell’excursus storico sul punto: da un lato, l’identificazione del parametro in un consumatore «tipico» e «virtuale», «normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto»; dall’altro, la necessità di tenere conto, nel delineare tale nozione, «di fattori sociali, culturali e linguistici».
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90 Corte di giustizia, sentenza del 4 aprile 2000, C-465/98, Adolf Darbo, in
Racc. giur., I-2297, parr. 22 e 27-28.
91 Conclusioni dell’avvocato generale L. A. Geelhoed nel procedimento C-
239/02, Douwe Egberts (sentenza della Corte di giustizia del 15 luglio 2004, in Racc. giur., I-7007), par. 54.
Queste indicazioni, per esplicita statuizione del testo del preambolo, devono essere interpretate alla luce degli orientamenti della Corte di giustizia, la quale rappresenta un irrinunciabile metro di confronto per le autorità degli Stati Membri chiamate a dare attuazione alla normativa, anche quando operino nell’esercizio della discrezionalità loro riconosciuta come risultato dell’interazione dei criteri esposti.
Una simile conclusione discenderebbe comunque dalla corretta applicazione dei principi ormai consolidati in materia di diritto dell’Unione Europea, in particolare per quanto riguarda l’efficacia extra-processuale e normativa delle pronunce della Corte stessa92: così, nonostante il valore non immediatamente vincolante del preambolo, l’assenza di una definizione di «consumatore medio» nella sezione precettiva della direttiva non impedisce di ritenere che la nozione corrispondente sia proprio quella contenuta nel considerando n. 18, nella misura in cui questo riflette e continua a riflettere il dictum dei giudici di Lussemburgo93.
Per il periodo precedente all’innovativa disciplina comunitaria la sentenza Gut Springenheide ha confermato che tale fosse il valore da attribuire al concetto anche al di là delle disposizioni di settore in cui viene in rilievo; successivamente, con riferimento specifico alla direttiva 2005/29, la Corte non ha ritenuto di doversi discostare dall’impostazione tradizionale94.
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92 Il punto è ormai pacifico, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza: cfr. G.
MARTINICO, Le sentenze interpretative della Corte di giustizia come fonte di produzione normativa, in Riv. dir. cost., 2004, pp. 249 ss.
93 Cfr. S. WEATHERILL, in S. WEATHERILL, U. BERNITZ, The Regulation,
cit., p. 134.
94 Una conferma recente in H.-W. MICKLITZ, Unfair Commercial Practices
and Misleading Advertising, in N. REICH ET AL., European Consumer Law, II ed., Intersentia 2014, p. 94.
Una simile lettura del parametro astratto implica, in concreto, che l’integrazione delle fattispecie di pratiche scorrette è tutt’ora subordinata «a requisiti adeguatamente elevati», secondo una prospettiva di «politica legislativa» mirante al raggiungimento di un rapporto equilibrato tra gli obiettivi di tutela dei consumatori e di promozione della circolazione delle merci95.
Risulta immediato comprendere come una simile applicazione del principio di proporzionalità (richiamato dallo stesso considerando n. 18), tradottasi in una certa nozione di consumatore medio, risulti sbilanciata verso il secondo termine del rapporto, a maggior ragione alla luce della circosanza per cui lo standard rilevante costituisce un modello normativo fondato sulla previsione astratta di un comportamento desiderato, prescindendo da riscontri empirici nel caso di specie.
Inoltre questi, anche qualora fossero ammessi, nelle ipotesi eccezionali solo richiamate ma non definite dalle pronunce della Corte — che pure vi ravvisano uno degli spazi più ampi di esercizio concreto del margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati nel giudizio di ingannevolezza — assumerebbero un ruolo soltanto secondario.
Il considerando n. 18, infatti, oltre a ribadire, come accennato, il dovere per gli organi nazionali di «esercitare la loro facoltà di giudizio tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia, per determinare la reazione tipica del consumatore medio nella fattispecie», riprende, al periodo immediatamente precedente, con formula pregnante, un concetto già avanzato in termini simili dall’Avvocato generale nelle conclusioni al caso Lifting: «la nozione di consumatore medio non è statistica».
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95 Conclusioni dell’avvocato generale V. Trstenjak nel procedimento C-
540/08, Mediaprint (sentenza della Corte di giustizia del 9 novembre 2010, in Racc. giur., I-10909), par. 103.
Entrambe le precisazioni possono ritenersi applicabili con particolare riferimento all’ipotesi ora considerata e si rivelano pertanto utili nel ricostruire i contorni sfumati del rapporto tra la versione uniforme e astratta dello standard comunitario e quella nazionale, empirica e potenzialmente derogatoria verso il basso.
L’Avvocato generale aveva sostenuto come la necessità di individuare quale giustificazione di eventuali ostacoli agli scambi soltanto un rischio sufficientemente grave di pregiudizio agli interessi dei consumatori richiedesse al giudice nazionale di convincersi «che sarebbe indotto in errore il consumatore ragionevolmente informato e attento al prodotto di cui trattasi e ragionevolmente accorto nell’impiego del proprio senso critico». Rispetto a tale verifica, i risultati ottenuti sulla base di ricerche di mercato, pur ammesse in casi eccezionali dalla Corte di giustizia, devono ritenersi non decisivi, non ultimo in ragione dei limiti intrinseci ad ogni accertamento di tipo empirico: «di conseguenza, esse non esimono il giudice nazionale dall’obbligo di esercitare la propria capacità di giudizio in base allo
standard del consumatore medio definito dal diritto comunitario»96. Sulla base di queste riflessioni si può desumere che un sondaggio eventualmente disposto dovrebbe comunque essere interpretato dall’autorità competente alla luce del parametro astratto e normativo del «consumatore medio»97: questo pertanto il significato effettivo dell’affermazione, ora riprodotta nel preambolo della direttiva, per cui «non si tratta di un criterio statistico»98.
Anche ove agli Stati fosse concesso, in linea con le dichiarazioni enfatiche della Corte di giustizia, di determinare liberamente la !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
96 Conclusioni dell’avvocato generale N. Fennelly nel procedimento C-
220/98, Lifting, cit., par. 29.
97 A questa conclusione perviene B. B. DUIVENVOORDE, The Consumer
Benchmarks, cit., p. 48.
percentuale di consumatori ingannati da una comunicazione commerciale sufficiente per giustificarne il divieto, sembra difficile escludere un sindacato della Corte stessa basato su parametri rigorosi e comunque informati agli obiettivi di politica del diritto in materia di mercato unico99.
La formula in esame, dunque, di per sé neutra, opera di fatto come limite alle tendenze eccessivamente protettive che potrebbero svilupparsi a livello nazionale.
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