la messa per iscritto di opere da rappresentare al posto delle antiche forme drammatiche indigene (fabula Atellana, Fescennini), basate su trame elementari e sull’improvvisazione250. I drammi serî, basati sui miti e modellati sugli originali greci, sono comunemente definiti
tragoediae o fabulae crepidatae, nome che fa riferimento al tipo di calzature indossate dagli
attori (κρηπίς, lat. crepida).
Secondo la tradizione il poliedrico poeta Lucio Livio Andronico (284-204 a.C.), duran-te i Ludi scaenici nel 240 a.C., indetti per celebrare la fine della I Guerra Punica, fu il primo a esordire con un dramma commissionato per l’occasione, la cui struttura e argomento erano mutuati dal mondo greco251.
250 Hor. Epist. II 1, 145; Porphyrio Comm. in Hor. Epist. II 1, 145.
251 Cic. Brut. 72: atqui hic Livius primus fabulam C. Claudio Caeci filio et M. Tuditano consulibus docuit
anno ipso ante quam natus est Ennius. Cfr. Cic. Tusc. I 3; Liv. V 7, 2; Gell. N.A. XVII 21, 42; Donat. de com. 5,
4: Comoediam apud Graecos dubium est quis primus invenit, apud Romanos certum: et comoediam et tragoediam et
togatam primus Liuius Andronicus repperit. Per la catalogazione dei generi drammatici a Roma vd. Caesius Bassus Poet. 312, 9: tragoedia, satira, praetextata, comoedia, tabernaria, Atellana, Rhintonica, mimica; Donat. Comm. Ter.
p. 25 Wessner: Comoedia autem multas species habet. Aut enim palliata est, aut togata, aut tabernaria, aut Atellana,
aut mimus, aut rhintonica, aut planipedia. Planipedia autem dicta, ob humilitatem argumenti eius, ac vilitatem actorum, qui non cothurno aut socco utuntur in scena aut pulpito, sed plano pede; Joannes Lydus De magistrati-bus populi Romani 60-62: ὁ δὲ μῦθος τέμνεται εἰς δύο, εἰς τραγῳδίαν καὶ κωμῳδίαν· ὧν ἡ τραγῳδία καὶ αὐτὴ τέμνεται
εἰς δύο, εἰς κρηπιδᾶταν καὶ πραιτεξτᾶταν· ὧν ἡ μὲν κρηπιδᾶτα Ἕλληνικὰς ἔχει ὑποθέσεις, ἡ δὲ πραιτεξτᾶτα Ῥωμαϊκάς. ἡ μέντοι κωμῳδία τέμνεται εἰς ἑπτά· εἰς παλλιᾶταν, τογᾶταν, Ἀτελλάνην, ταβερναρίαν, Ῥινθωνικήν, πλανιπεδαρίαν καὶ μιμικήν· καὶ παλλιᾶτα μέν ἐστιν ἡ Ἕλληνικὴν ὑπόθεσιν ἔχουσα κωμῳδία, τογᾶτα δὲ ἡ Ῥωμαϊκήν, ἀρχαίαν· Ἀτελλάνη δέ ἐστιν ἡ τῶν λεγομένων ἐξοδιαρίων· ταβερναρία δὲ ἡ σκηνωτὴ ἢ θεατρικὴ κωμῳδία· Ῥινθωνικὴ ἡ ἐξωτική· πλανιπεδαρία ἡ καταστολαρία· μιμικὴ ἡ νῦν δῆθεν μόνη σῳζομένη, τεχνικὸν μὲν ἔχουσα οὐδέν, ἀλόγῳ μόνον τὸ πλῆθος ἐπάγουσα γέλωτι. Vd. R. Cowan, 240 BCE and All That: The Romanness of Republican Tragedy, in G.W.M. Harrison (cur.), Brill's
Livio Andronico nacque in Magna Grecia, precisamente era originario di Taranto, fu fatto prigioniero dai Romani nel 272 a.C. ca. e ridotto in schiavitù; poi fu condotto a Roma da Livio Salinatore, dei cui figli fu precettore; in seguito fu emancipato e divenne liberto assumendo il nomen del proprio patronus.
Di quel primo esperimento drammaturgico non rimane né il titolo né il genere, mentre dei lavori successivi, restano nove titoli, che rinviano al ciclo troiano (Achilles, Aegisthus,
Aiax mastigophoros, Equos Troianus, Hermiona) oppure a racconti mitici avventurosi
dall’in-treccio complesso (Andromeda, Danae, Ino, Tereus). Dai miserrimi frammenti superstiti si nota una certa autonomia nei confronti degli originali greci e comunque l’influenza della letteratura ellenistica contemporanea, propensa a insistere sulla complicazione romanzesca delle trame e sugli elementi spettacolari, rendendo secondaria la dimensione etico-religiosa delle vicende. In effetti Andronico si avvalse della contaminazione nei suoi drammi: alcuni frammenti dell’Aegisthus presuppongono l’Agamennone come modello, altri le Coefore di Eschilo, spostando l’attenzione sull’antagonista dell’eroe tragico.
Un frammento dell’Aiax mastigophorus, messo a confronto con il corrispettivo verso del modello sofocleo evidenzia la capacità del tragediografo di adattare i testi greci alla menta-lità romana inserendovi valori peculiari del patriziato:
Praestatur laus virtuti, sed multo ocius verno gelu tabescit.
Si rende lode al valore, ma essa si dissolve piú velocemente del gelo a primavera252.
Livio Andronico faceva leva sugli elementi retorici, moduli stilistici e figure foniche per realizzare il patetico, dando ampio spazio ai cantica, agli a solo, alle monodie liriche, caratte-rizzate dalla polimetria di stampo euripideo, come si evince, per esempio, da un frammento dell’Equos Troianus:
Da mihi hasce opes, quas peto, quas precor: porrige, opitula.
Dammi questo aiuto che ti chiedo, che ti imploro: tendimi la mano, soccorrimi.
Né mancava la debita attenzione per la descrizione di specifiche situazioni, come si rileva nell’Aegisthus, in cui si indulge sul clima festoso del ritorno degli Achei dalla guerra troiana, con i delfini guizzanti fuori dall’acqua vicino alle navi:
Tum autem lascivum Nerei pecus ludens ad cantum classem lustratur.
Allora lo scherzoso gregge di Nereo giocando danza intorno alla flotta, al canto253.
252 Andr. Aiax mastigophorus 16-17 TRF. I corrispettivi versi dell’originale sofocleo sono Soph. Aiax 1266-1267: φεῦ, τοῦ θανόντος ὡς ταχεῖά τις βροτοῖς | χάρις διαρρεῖ καὶ προδοῦσ᾿ ἁλίσκεται (Ahimè, rapida scorre via la
Per lo scarso interesse suscitato dagli argomenti affrontati e per l’ineleganza dello stile i po-steri considerarono quei componimenti non meritevoli di essere riletti254.
Da allora i contatti con le corporazioni di artisti operanti in Magna Grecia si fecero meno sporadici255: almeno in tre occasioni furono allestite rappresentazioni a cura degli artisti di Dioniso durante i Ludi celebrati nel 186 a.C. da Marco Fulvio Nobiliore e da Lucio Cornelio Scipione, nel 167 a.C. da Lucio Anicio256. Probabilmente in una commedia di Plauto si allude al frastuono provocato da una recente rappresentazione dell’Alcmena euripidea257, andata in scena nel 190 a. C.
Generalmente gli autori successivi seguirono l’esempio di Livio, rielaborando modelli greci, con inserzioni di monodie e canti a solo, oppure con la trasformazione dei trimetri giambici in altri metri258. In effetti miravano a salvaguardare il vigore e l’efficacia degli ori-ginali attici, rispettandone la sostanza piuttosto che la forma259, anche se in casi specifici, come nella Medea di Ennio o nell’Antiopa di Pacuvio, furono mantenute le scene nello stesso ordine dei modelli e i testi greci furono tradotti quasi alla lettera260.
254 Cic. Brut. 71: Livianae fabulae non satis dignae quae iterum legantur.
255 Cic. Pro Archia 5: Erat Italia tum plena Graecarum artium ac disciplinarum, studiaque haec et in Latio
vehementius tum colebantur quam nunc isdem in oppidis, et hic Romae propter tranquillitatem rei publicae non neglegebantur. Itaque hunc et Tarentini <et Locrenses> et Regini et Neapolitani civitate ceterisque praemiis donarunt, et omnes qui aliquid de ingeniis poterant iudicare cognitione atque hospitio dignum existimarunt; Pro Archia 10: Etenim cum mediocribus multis et aut nulla aut humili aliqua arte praeditis gratuito civitatem in Graecia homines impertiebant, Reginos credo aut Locrensis aut Neapolitanos aut Tarentinos, quod scaenicis artificibus largiri solebant, id huic summa ingeni praedito gloria noluisse!
256 Per i Ludi del 186 a.C. vd. Liv. XXXIX 22, 2: multi artifices ex Graecia venerunt honoris eius causa; Liv. XXXIX 22, 10: tum collatas ei pecunias congregatosque per Asiam artifices, et quorum ludorum post bellum, in
quo votos diceret, mentionem non fecisset, de iis post legationem demum in senatu actum; Per i Ludi del 167 a.C.
vd. Polyb. XXX 22: (Λεύκιος Ἀνίκιος) ... μεταπεμψάμενος γὰρ τοὺς ἐκ τῆς Ἑλλάδος ἐπιφανεστάτους τεχνίτας καὶ σκηνὴν κατασκευάσας μεγίστην ἐν τῷ κίρκῳ πρώτους εἰσῆγεν αὐλητὰς ἅμα πάντας. οὗτοι δ᾿ ἦσαν Θεόδωρος ὁ Βοιώτιος, Θεόπομπος, Ἕρμιππος, Λυσίμαχος, οἵτινες ἐπιφανέστατοι ἦσαν.
257 Plaut. Rud. 86: non ventus fuit, verum Alcumenam Euripidi.
258 Cfr. Enn. Med. 219-221; 222-223; 225-231 (tetrametri trocaici); 234-236 (tetrametri dattilici) Jocelyn.
259 Cic. Acad. I 10: Quid enim causae est cur poetas Latinos Graecis litteris eruditi legant, philosophos non
legant? an quia delectat Ennius Pacuvius Accius multi alii, qui non verba sed vim Graecorum expresserunt poetarum, quanto magis philosophi delectabunt, si ut illi Aeschylum Sophoclem Euripidem sic hi Platonem imitentur Aristotelem Theophrastum.
260 Cic. Fin. I 4: Iis igitur est difficilius satis facere, qui se Latina scripta dicunt contemnere. in quibus hoc
primum est in quo admirer, cur in gravissimis rebus non delectet eos sermo patrius, cum idem fabellas Latinas ad verbum e Graecis expressas non inviti legant. Quis enim tam inimicus paene nomini Romano est, qui Ennii Medeam aut Antiopam Pacuvii spernat aut reiciat, quod se isdem Euripidis fabulis delectari dicat, Latinas litteras oderit? Synephebos ego, inquit, potius Caecilii aut Andriam Terentii quam utramque Menandri legam? Per esempio una
battuta pronunciata da Medea nell’omonimo dramma enniano (Enn. Med. 232-233 Jocelyn) è la traduzione letterale dell’originale (Eur. Med. 250-251).
Gneo Nevio era originario della Campania e nacque probabilmente intorno al 270 a.C. nella città osca di Capua. Fu attivo come poeta epico e drammaturgo a Roma, dove mise in scena la sua prima fabula nel 235 a.C., cinque anni dopo la rappresentazione della prima opera di Livio Andronico. La sua produzione letteraria comprende anche alcune tragedie, di cui restano sei titoli (Aesiona, Danae, Equos Troianus, Hector proficiscens, Iphigenia,
Lycur-gus) e alcuni versi, che si richiamano ai poeti attici, tra i quali figurano Eschilo, Sofocle ed
Euripide.
Dal ripetersi di titoli liviani (Danae, Equos Troianus) si nota la propensione di Nevio a misurarsi con il predecessore sui medesimi argomenti. Con Lycurgus, che è un adattamento degli Edoni eschilei, portò in scena per la prima volta a Roma il tema dei riti dionisiaci, che si stavano affermando nella penisola e che sarebbero stati vietati successivamente nel 186 a.C. con il senatusconsultum de Bacchanalibus. Morí probabilmente esule a Utica nel 201 a.C.
Gli antichi apprezzarono soprattutto il raffinato e misurato senso della forma con la qua-le Nevio dominava la propria inventiva linguistica, che si manifestava nell’impiego di chia-smi, allitterazioni, elenchi, paragoni, sintagmi insoliti, perifrasi, calchi di composti greci.
L’Hector proficisciens potrebbe essere la ripresa dell’Ettore di Astidamante, che rielaborava il medesimo episodio iliadico del commiato dell’eroe dai suoi cari prima del duello fatale con Achille. Cicerone ne ammirava soprattutto l’ultimo saluto al padre Priamo, del quale riporta un verso:
laetus sum laudari me ads te, pater, laudato viro. Son contento di essere stimato da te, padre, uomo tanto stimato261.
Tono altrettanto solenne, specifico dei magistrati romani, traspare dal discorso di Licurgo rivolto alle guardie nell’omonimo dramma:
vos qui regalis corporis custodias
agitatis, ite actutum in frundiferos locos, ingenio arbusta ubi nata sunt, non obsita.
Voi che state a guardia del corpo regale, andate immediatamente nei frondosi luoghi, dove sono nati gli alberi spontaneamente, senza essere stati piantati262.
261 Nev. Hector proficiscens 15 TRF. La dipendenza da Astidamante è stata sostenuta da F.G. Welcker, Die
griechischen Tragödien mit Rücksicht auf den epischen Cyclus, Bonn 1839-1841, p. 1343. Per il saluto a Priamo vd.
Cic. Tusc. IV 67; cfr. Ad Fam. V 12, 7 e 16, 1; Sen. Epist. ad Lucil. XVII 102, 16.
262 Naev. Lycurgus 21-23 TRF. Il dramma neviano ha significative analogie con le scene raffigurate sul cratere a calice apulo, datato alla metà del IV a.C. (London, British Museum, F 271).
Le sue opere seguitarono a essere gradite dal pubblico, tanto da essere replicate per molto tempo, e nel 55 a.C. fu rappresentato l’Equos Troianus insieme alla Clytaemestra di Accio, per l’inaugurazione del primo teatro in pietra fatto costruire da Pompeo. In quella cir-costanza l’apparato scenico fu reso sfarzoso dall’impiego di tremila crateri per il dramma neviano e di seicento muli per quello acciano263.
Come inventore del dramma di argomento romano con struttura greca, Nevio compose tre praetextae, in cui erano celebrati le tradizioni nazionali e gli antichi valori morali:
Romu-lus e Lupus sulla leggenda della fondazione di Roma, Clastidium rappresentata nel 208 a.C.
durante i funerali di Marco Claudio Marcello per ricordare la vittoria ottenuta a Casteggio dal console plebeo sugli Insubri nel 222 a.C. In tarda età compose anche il poema epico
Bellum Poenicum sulla I Guerra contro Cartagine.
Il poliedrico scrittore Quinto Ennio nacque a Rudiae nel 239 a.C. e proveniva da una nobile famiglia messapica, crescendo in un ambiente dove coesistevano accanto alla cultura osca, quella greca e quella latina. Secondo la tradizione nel 204 a.C. fu portato a Roma da Marco Porcio Catone, che lo incontrò in Sardegna, mentre faceva il servizio militare. A Roma si dedicò all’insegnamento del greco e del latino entrando in amicizia con Publio Cornelio Scipione l’Africano e con Marco Fulvio Nobiliore. Nel 189 a.C. accompagnò quest’ultimo nella campagna in Etolia e nel 184 a.C. ricevette la cittadinanza romana dal figlio Quinto per meriti militari. Come era toccato a Livio Andronico, per le sue beneme-renze di poeta storico e drammaturgo ottenne di abitare nel tempio di Minerva sull’Aventi-no, condividendo la dimora con il poeta comico Cecilio Stazio. Nel 169 a.C. morí a Roma all’età di settanta anni264.
Ennio fu l’ultimo poeta arcaico a coltivare l’epica, componendo gli Annales, e a praticare entrambi i generi teatrali, nei quali si avvalse della tecnica della cosiddetta contaminazione265.
La Medea exul, nella quale adattò la Medea e l’Egeo euripidei, era un dramma in due quadri, corrispondenti a due distinti e successivi momenti dell’esilio della protagonista, prima a Corinto poi in Atene, con l’inevitabile e drastico mutamento di scena. La prova dell’unificazione dei modelli euripidei in un’unico dramma è data dalla battuta con la quale una persona loquens invita l’interlocutore ad ammirare la città di Atene:
263 Cic. Ad fam. VII 1, 2: Nosti enim reliquos ludos; qui ne id quidem leporis habuerunt quod solent mediocres
ludi. apparatus enim spectatio tollebat omnem hilaritatem; quo quidem apparatu non dubito quin animo aequissimo carueris. Quid enim delectationis habent sescenti muli in ‘Clutaemestra’ aut in ‘Equo Troiano’ creterrarum tria milia aut armatura varia peditatus et equitatus in aliqua pugna? Quae popularem admirationem habuerunt, delecta-tionem tibi nullam attulissent. Cfr. Hor. Epist. II 1, 53-54: Naevius in manibus non est et mentibus haeret paene recens? | adeo sanctum est vetus omne poema.
264 Gell. N.A. XVII 17, 1; Cornelius Nepos Cat. 1, 4; Fronto Aur. Eloq. I 2: In poetis <aut>em quis ignorat
ut gracilis sit Lucilius ... mediocris Pacuvius, inaequalis Accius, Ennius multiformis? 265 Ter. Andria 18.
asta atque Athenas anticum opulentum oppidum contempla et templum Cereris ad laevam aspice.
Fèrmati e l’antica Atene, città opulenta, ammira; e il tempio di Cerere a sinistra osserva266. L’esordio riprende quasi alla lettera l’originale greco con significative varianti dettate dall’in-tento di presentare in modo ordinato e chiaro un mito poco noto al pubblico romano. Esso, per la carica di pathos, rimase celebre nel repertorio teatrale e le sue parole iniziali divennero quasi proverbiali per deprecare un avvenimento foriero di sventure:
utinam ne in nemore Pelio securibus caesa accidisset abiegna ad terram trabes, neve inde navis inchoandi exordium cepisset, quae nunc nominatur nomine Argo, quia Argivi in ea delecti viri vecti petebant pellem inauratam arietis Colchis, imperio regis Peliae, per dolum.
nam numquam era errans mea domo efferret pedem Medea animo aegro amore saevo saucia.
Non fossero mai caduti a terra, recisi dalle scuri nel bosco del Pelio, i tronchi d’abete, né avesse mai preso inizio a cominciare la nave che ora è chiamata col nome di Argo, poiché trasportati in essa scelti eroi argivi andavano a prendere con l’inganno ai Colchi il dorato vello d’ariete, per ordine del re Pelia. Giammai la mia padrona, errando avrebbe messo il piede fuori di casa, Medea, dall’animo tormentato, ferita da un amore crudele267.
Analogo è il caso degli Hectoris lytra, che racchiudendo l’intera trilogia eschilea
(Mirmido-ni, Nereidi, Il riscatto di Ettore), erano scanditi in tre momenti autonomi, ispirati alla prassi
ellenistica dei recitals, i quali si basavano su vicende o su personaggi tragici: il primo era incentrato sulla vittoria di Ettore, la successiva uccisione di Patroclo in battaglia, il pianto dei Mirmidoni; il secondo si soffermava sulla consegna delle armi fabbricate da Efesto ad Achille da parte della madre Teti accompagnata dalle Nereidi; il terzo era imperniato sull’episodio della visita di Priamo alla tenda del Mirmidone per riscattare il cadavere del proprio figlio.
Sono rimasti numerosi frammenti di venti tragedie coturnate i cui titoli, in qualche caso, rinviano a drammi di Livio Andronico e di Nevio: Achilles, Aiax mastigophoros, Alcmeo,
Ale-xander, Andromacha aechmaliotis, Andromeda, Athamans, Cresphontes, Erectheus, Eumenides, Hectoris lytra, Hecuba, Iphigenia, Medea exul, Melanippa, Nemea, Phoenix, Talamo, Telephus, Thyestes.
266 Enn. Med. 243-244 Jocelyn.
267 Enn. Med. 208-216 Jocelyn; vd. A. Gullo, L’incipit della Medea di Ennio, «Dioniso» n.s. 1, 2011, pp. 133-154.
In esse i protagonisti erano presentati come figure esemplari per carattere, azione, pas-sione, sentimenti esasperati, come nel caso dell’imprecazione che Tieste lancia contro Atreo, quando gli augura di perire in un naufragio:
ipse summis saxis fixus asperis, evisceratus,
latere pendens, saxa spargens tabo sanie et sanguine atro neque sepulcrum quo recipiat habeat, portum corporis, ubi remissa humana vita corpus requiescat malis.
Pendere possa sulle punte aguzze di scogli, sviscerato, per il fianco sospeso, i dirupi sparga di nero marcido sangue e di putredine. Né sepolcro, che l’accolga, lo abbia, porto del corpo, dove trovi alfine requie dai mali l’umana vita ormai perduta.
Cicerone, che riporta la raccapricciante maledizione pronunciata da Tieste, evidenzia come essa fosse di grande effetto, ma al tempo stesso fosse viziata dall’insensatezza di voler arrecare sofferenze a un cadavere268.
L’elemento religioso faceva spazio al patetico alla maniera di Euripide e al retorico, fina-lizzati alla celebrazione dell’eroico e del sublime. Oltre al resto prevaleva la magniloquenza per esaltare gli intenti pedagogici e moralistici269, nonché quelli filosofici e ideologici. Talora per soddisfare l’esigenza didascalica di dare ordine e chiarezza alle vicende Ennio semplifica-va gli originali, senza spogliarli della forte carica di pathos.
Profezie, sogni, visioni e deliri caratterizzano la presenza dei personaggi femminili in scena, come nell’Alexander:
mater gravida parere se ardentem facem visa est in somnis Hecuba. quo facto pater rex ipse Priamus somnio mentis metu perculsus curis sumptus suspirantibus exsacrificabat hostiis balantibus. tum coniecturam postulat pacem petens, ut se edoceret obsecrans Apollinem quo sese vertant tantae sortes somnium. ibi ex oraclo voce divina edidit
Apollo puerum primus Priamo qui foret postilla natus temperaret tollere;
eum esse exitium Troiae, pestem Pergamo.
In sogno a mia madre Ecuba sembrò di partorire una fiaccola accesa; dal che il re in persona, mio padre Priamo, sgomento per il sogno, preso da affannosi sospiri, faceva continui sacrifici con vittime belanti. Poi domanda un’interpretazione ad Apollo, cercando pace, scongiura il dio di rivelargli il significato di un sogno cosí gravido di presagi. Dal suo oracolo Apollo con voce divina
268 Enn. Thyestes 296-299 Jocelyn apud Cic. Tusc. I 106.
comunicò che Priamo si guardasse dall’allevare il primo figlio che in seguito gli fosse nato, poiché sarebbe stato la rovina di Troia, una sciagura per Pergamo270.
La sua lunga e fortunata carriera si concluse nell’anno della sua morte con la composizione del Thyestes rappresentato ai Ludi Apollinares271.
L’Achilles, che era impostato sull’ambasceria ad Achille narrata nel canto IX dell’Iliade, è ricordato nel prologo del Poenulus, dove Plauto ne riprese alcune espressioni desunte dall’esordio272. Le sue opere erano ancora applaudite a teatro durante la tarda repubblica: l’Andromacha aechmalotis, ripresentata ai Ludi Apollinares del 54 a.C., dopo oltre un secolo suscitava nel pubblico ancora una forte commozione, soprattutto quando la protagonista lamentava la rovina della patria, la reggia distrutta e il cadavere straziato del marito Ettore:
ex opibus summis opis egens Hector tuae ... * * *
quid petam praesidi aut exequar? quove nunc auxilio exili aut fugae freta sim?
arce et urbe orba sum. quo accedam? quo applicem? cui nec arae patriae domi stant, fractae et disiectae iacent, fana flamma deflagrata, tosti alti stant parietes,
deformati atque abiete crispa ... * * *
o pater, o patria, o Priami domus, saeptum altisono cardine templum. vidi ego te adstante ope barbarica, tectis caelatis laqueatis,
auro ebore instructam regifice ... * * *
haec omnia vidi inflammari, Priamo vi vitam evitari, Iovis aram sanguine turpari.
Somma fortuna avevo, Ettore, e ora del tuo sostegno sono privata ... Dove potrò chiedere, dove potrò cercare protezione? O quale aiuto potrei confidare nell’esilio o nella fuga? Rocca o città non ho piú. Dove posso prostarmi, dove posso rivolgermi? Nella mia terra non sono piú in piedi gli al-tari dei miei padri, giacciono fatti a pezzi e dispersi; i templi sono inceneriti dalle fiamme, gli alti muri si innalzano arsi e sfigurati, le travature sono contorte ... O padre, o patria, o casa di Priamo, sacra dimora da porte altisonanti racchiusa. Io vidi te quando si reggeva la tua barbarica potenza,
270 Enn. Alexander 50-61 Jocelyn.
271 Cic. Brut. 78.
272 Plaut. Poen. 1 ss.: Achillem Aristarchi mihi commentari lubet: | inde mihi principium capiam ex ea
tragoe-dia. Ancora Plauto fece la parodia di Enn. Andromacha 90 Jocelyn: o patria, o patria, o Priami domus. in Bacch.
933: o Troia, o patria, o Pergamum, o Priami periisti senex. Vd. N.W. Slater, Roman Tragedy through a Comic Lens, in G.W.M. Harrison (cur.), Brill's Companion to Roman Tragedy, cit., pp. 283-308.
con i soffitti cesellati a cassettoni, d’oro e d’avorio regalmente adorna ... Tutto questo vidi consu-marsi in fiamme, a Priamo la vita strappata a forza, l’ara di Giove deturpata dal sangue273. Cicerone, testimone del passo, ricorda che Esopo e Roscio, i due attori piú importanti del