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X.XIII La notte apre i miei occhi – A noite abre os meus olhos

I.XV.I Cristina Campo e Etty Hilleum

Sempre nel 2005, José Tolentino Mendonça diventa coordinatore editoriale della collana “Teofanias”, pubblicata dalla casa editrice Assírio & Alvim. Dedicata specialmente ai saggi di carattere teologico, in questa collana - con sedici titoli pubblicati fino al 2012380 - saranno pubblicati

insieme ad autori cari, conosciuti e citati altre volte da Tolentino - come Simone Weil (Espera de

Deus, 2005), Rainer Maria Rilke (O Livro de Horas, 2009) o San Tommaso di Aquino (Credo, 2010)

- due volumi con prefazione del poeta.

Il primo di questi è Os Imperdoáveis (Gli imperdonabili) nella traduzione di José Colaço Barreiros (2005), della scrittrice e poetessa italiana, Cristina Campo (pseudonimo di Vittoria Guerrini, 1923-1977), anche traduttrice di autori cari a Tolentino, in primis Simone Weil - Venezia salva (Brescia, Morcelliana, 1963) e, con Margherita Harwell Pieracci, La Grecia e le intuizioni

precristiane (Milano, Rusconi, 1974). Nella recensione pubblicata per l'edizione del 1987 di Gli Imperdonabili, scrive Kleiner:

Il volume raccoglie le varie "cose scritte" di Cristina Campo, nome d'arte eletto da Vittoria Guerrini; sono testi in gran parte pubblicati già precedentemente, per lo più negli anni Sessanta. L'intenzione costante, sotterranea che lega gli argomenti trattati, a dire il vero assai distanti fra loro, anzi, apparentemente disparati, come la fiaba, i tappeti orientali, il destino, le figure retoriche o la perfezione estetica, è il riferimento tacito ad una esperienza interiore, alla quale, attraverso i vari temi, viene alluso senza che essa si espliciti mai fino in fondo. Non v'è quindi da stupirsi che la figura centrale e ricorrente - retorica, argomentativa e speculativa - in questa smagliante prosa, sia la litote.

Il saggio che dà titolo al volume qualifica come "imperdonabili", agli occhi dei loro contemporanei, quelle poche persone, poeti in prevalenza, che oggi sappiano ancora, non soltanto sopportare, ma "guadagnare alla mente" la bellezza e la perfezione perdute in una epoca di "massacro universale del simbolo, [di] inespiabile crocefissione della bellezza" (p. 121). Nello stesso senso vanno intese le osservazioni sulla perdita del destino individuale, in questa "epoca di progresso puramente orizzontale" (p. 73) e il conseguente tentativo di ricostruire i luoghi e gli estremi di una esperienza interiore che il proprio destino, lo sappia cogliere, accogliere.381

380 Espera de Deus di Simone Weil (2005); Ensaio a favor de uma gramática do assentimento di John Henry Newman

(2005); Os Imperdoáveis di Cristina Campo (con prefazione di Tolentino, 2005); A nuvem do não-saber (2006) Adquirir

a sua alma na paciência dos quatro discursos edificantes (1843) di Sören, Kierkegaard (2007); Ética di Dietrich

Bonhoeffer (2007); Diário: 1941-1943 di Etty Hilleum (con prefazione di Tolentino, 2008); Só o amor é digno de fé di Hans Urs von Balthasar (2008); Cartas: 1941-1943 di Etty Hilleum (2009); Sob um falso nome di Cristina Campo (2008);

O livro de horas di Rainer Maria Rilke (2009); Córdula ou o momento decisivo di Hans Urs von Balthasar (2009); Os Melhores Contos do Padre Brown di G.K. Chesterton (2010); Credo: exposição do símbolo dos apóstolos di Tommaso

d’Aquino (2010); Diapsalmata di Sören, Kierkegaard (2011); Três prantos di Giovanni Testori (2012).

381 B. Kleiner, Il varco aperto, “L’Indice”, 1988, n. 1. citato in http://www.ibs.it/code/9788845902567/campo-cristina/gli-

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Riguardo all’edizione portoghese, è Guilherme d'Oliveira Martins ad esprimere parole di elogio per quello che considera una “sorprendente testimonianza della ricerca sul senso dell’esistenza” (febbraio del 2006, sul sito del Centro Nacional de Cultura)382:

Como salientou João Bénard da Costa em dois textos luminosos sobre Cristina Campo e como refere J. Tolentino Mendonça no prefácio da obra, começamos por presenciar um encontro singular com Simone Weil (de quem a nova coleção publicou “Espera de Deus”) e é a partir dessa referência conhecida que podemos acompanhar um espraiar fantástico e incómodo por um conjunto de temas e pessoas (desde as “Mil e Uma Noites” a Hoffmannstahl, Proust, Pound e Borges) que não nos deixam indiferentes e levam-nos a admirar o talento e a espiritualidade de uma autora que se revela em todo o seu esplendor quase trinta anos depois da sua morte prematura. E vemos que Cristina Campo cultiva o equilíbrio da forma, a inteligência das palavras e das ideias e fala de transcendência, de perfeição, de atenção, de espera ou de perda. Mas não estamos perante uma autora fácil. O paradoxo e o excesso encontram-se nesta admiradora dos padres do deserto ou dos grandes místicos, como S. João da Cruz. “A atenção é o único caminho para o inexprimível, a única estrada para o mistério”. Em cada tema, sobre cada autor, a escritora procura ir mais além do que seria previsível, e não se deixa arrastar pelas vozes do mundo ou pelo “espírito do tempo”.383

Ma Cristina Campo non era solo un’autrice già nota alle pubblicazioni della Assírio & Alvim - rammentiamo la prefazione e cura ai Ditos e Feitos dos Padres do Deserto, 2004. Era, in particolare, una poetessa molto vicina a Tolentino, che ne è stato il traduttore - sempre per la stessa casa editrice, nella collana “Documenta Poetica”, tre anni addietro - del suo libro di poesia O Passo do Adeus /

Passo d'addio, edito per la prima volta nel 1956 a Milano per i tipi di Scheiwiller. Nella prefazione

di questo libro, dal soggetto religioso e tellurico, e dedicato a sguardi e trafitture sul mondo, sull’amore e sull’allontanamento - che Tolentino stesso firma e a cui dà il titolo di “La bellezza che ci Salva” - il Poeta prende le mosse da un accostamento: Cristina Campo si specchia in una

382 Altri intellettuali portoghesi ne parlano nei giornali, come ad esempio la poetessa Ana Marques Gastão nel quotidiano

Diário de Notícias: «Não há que proceder à distinção entre textos críticos e literários quando falamos da ensaística de

Cristina Campo, nem mera tradutora nem intérprete linear das obras que lê. A escritora move-se no território da epistemologia da escrita e da urgência de uma poética, sem derramar paixões que obstruam a interrogação, a sobriedade do saber. Penetra no mundo da sua escrita é uma experiência secreta, iluminante.»

383 «Come ha sottolineato João Bénard da Costa in due testi luminosi su Cristina Campo e come riferisce J. Tolentino

Mendonça nella prefazione dell’opera, cominciamo col presenziare a un incontro singolare con Simone Weil (di cui la nuova collana ha pubblicato “Espera de Deus”) ed è a partire da tale riferimento esplicito che possiamo accompagnare una deambulazione fantastica e scomoda per un insieme di temi e persone (dalle “Mille e Una Notti” a Hoffmannstahl, Proust, Pound e Borges) che non ci lasciano indifferenti e ci portano ad ammirare il talento e la spiritualità di un’autrice che si rivela in tutto il suo splendore quasi trent’anni dopo la sua morte prematura. E vediamo che Cristina Campo coltiva l’equilibrio della forma, l’intelligenza delle parole e delle idee e parla di trascendenza, di perfezione, di attenzione, di aspettazione o di perdita. Ma non siamo davanti ad un’autrice facile. Il paradosso e l’eccesso si trovano in questa ammiratrice dei Padri del deserto o dei grandi mistici, come San Giovanni della Croce. “L’attenzione è l’unico cammino per l’inesprimibile, l’unica strada del mistero”. In ogni tema, su ogni autore, la scrittrice cerca di andare più in là di ciò che sarebbe prevedibile, e non si lascia trascinare dalle voci del mondo o dallo “spirito del tempo”.» in http://www.cnc.pt/artigo/1456 (ultima visualizzazione 31.03.2015).

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rassemblance oublié con un’icona della poesia portoghese contemporanea, sempre molto presente nell’universo tolentiniano: Sophia de Mello Breyner Andresen.

28. Copertina della versione portoghese di O passo do adeus di Cristina Campo.

Vi vários retratos seus, nas edições da Adelphi, que tem publicado as suas obras, mas também em pequenos volumes saídos noutras editoras (...) ou, muito mais raramente, em páginas literárias dos jornais.

Uma vez, mostrei esses retratos a um amigo que me disse que a achava muito parecida com Sophia de Mello Breyner, mas com uma Sophia que nunca tivesse ido à Grécia. Para dizer a verdade, já nem sei se todas estas imagens são assim tão importantes. Lembro-me de ter lido, sobre este assunto, um comentário de Pietro Citati que dizia: «a verdadeira Cristina Campo era uma outra». 384

E dopo aver chiarito che l’immagine con cui davvero l’autrice si identifica è quella dell’aristocratica del Trittico Portinari (di Van der Goes, negli Uffizi, a Firenze), e aver citato i vari nomi con cui lei ha firmato prima di Cristina, «portatrice di Cristo», Campo, in riferimento ai campi di concentramento, dopo aver parlato delle sue città biografiche - Firenze385 e Roma386 -, Tolentino

384 «Ho visto tanti dei suoi ritratti, nelle edizioni Adelphi, che pubblica le sue opere, ma anche in piccoli volumi usciti da

altre editrici (...) o, molto più raramente, nelle pagine letterarie dei giornali. Una volta ho fatto vedere questi ritratti ad un amico che mi ha detto che la trovava molto simile a Sophia de Mello Breyner, ma ad una Sophia che non fosse mai stata in Grecia. A dire il vero, non so nemmeno se tutte queste immagini sono così importanti. Mi ricordo di aver letto, su questo tema, un commento di Pietro Citati che diceva: “la vera Cristina Campo era un’altra”.» J.T. Mendonça, A beleza

que nos salva, in C. Campo, O passo do Adeus, Assírio & Alvim, 2002, p.9.

385 «Florença, ali passou a juventude, teceu amizades; ali, num jardim o poeta Mano Luzi ofereceu-lhe o primeiro e tão

importante livro de Simone Weil.» Ibidem.

386 «Roma, para onde se transfere, com grande sofrimento, acompanhando o pai que foi dirigir o Conservatório de Santa

Cecília, e que se torna, pouco a pouco, o seu lugar da terra, amado com aquela desolada e irreversível paixão que era, talvez, a sua forma não apenas de amar, mas de viver. (Sei de cor a sua geografia de Roma: o Vicolo dei Divino Amore, «o mais belo caminho de Roma»; a ilha Tiberina, com as pontes estreitas e o lajedo de mármore à beira rio; o Lungotevere, onde ia encontrar Maria Zambrano; o seu tão querido Aventino, o n.º 3 onde viveu, mesmo ao lado da Abadia de Santo Anselmo, que foi para ela tudo: ermitério, salão, campo de batalha, exílio; a bela e silenciosa Trapa, já nos arredores...).»

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riflette sulle città lontane (Samarcanda, Bassora, Colono, Bagdad, Colono, Bisanzio), quelle dei racconti che l’accompagnavano:

Cristina Campo era de Bizâncio, quer dizer, buscava a perfeição como uma trapista, com as garras daqueles leões que são representados junto aos Padres do Deserto. «Acostava-se à linguagem como o crente ao texto sagrado», numa realeza intransigente, numa elegância recôndita, num fascínio lento e meticuloso, com aquele luxo de que só é capaz um asceta. «Escrevi pouco e agradar-me-ia ter escrito menos», ouvimo-la dizer. A propósito da poesia (e do destino), é de renúncia, abstenção e interdição que fala. A poesia identifica-se com o exercício destas virtudes negativas: «a paciente acumulação de tempo e de segredo transtornada subitamente naquele milagre de superior energia: eis a precipitação poética». Mas, o ‘pouco’ que a ocupa, era trabalhado na sua oficina de ourives até esplender de verdade, até alcançar uma delicadeza ofuscante, o desperto silêncio das revelações. Para isso, vivia concentrada como a luz que os mineiros levam à cabeça, quando se aventuram por semelhantes profundidades, estado a que ela, evocando Simone Weil, uma das suas influências centrais, denomina ‘atenção’.387

Ora, è utile segnalare come in quegli anni l’arte contemporanea fosse dominata da una tendenza e una prevalenza dell’immaginazione sul reale, vale a dire da “contaminazione caotica di elementi e piani”. La Campo scelse – imperdonabilmente – una stella polare di altro spessore e diversamente orientata: in luogo dell’immaginazione è, infatti, l’attenzione a guidare la sua scrittura e la sua vita, e l’imperdonabilità della scelta risiede nella spericolatezza e nell’estremismo del gesto, ma anche e soprattutto nel fatto che “chiedere attenzione” fosse in allora - e in senso assoluto - un chiedere “qualcosa di molto vicino alla santità”. Per tali ragioni la Guerrini avrà timore circa gli effetti del Concilio Vaticano II in relazione all’introduzione del Novus Ordo Missæ (cui dedicherà un breve esame critico) e proseguirà a vivere riparata dal mondo, chiusa in un’esistenza scandita quotidianamente dalla Liturgia delle tenebre e dal Libro delle Ore, quasi in eremitaggio. Tolentino conclude così il suo testo:

Olhando para a descrição de um dos seus dias, ninguém parecia mais dissociado do seu tempo (...) E, contudo, poucos como ela mergulharam, até ao fundo, no mistério do próprio tempo, com igual desabalo pela verdade, entregues, a cada instante, à labareda da atenção suprema. Talvez se lhe deva aplicar o que, uma vez, a própria Cristina Campo escreveu a Djuna Barnes, elogiando muito, mas mesmo muito, o vasto testemunho do seu silêncio: «sabe, você tornou- se o espírito desta terra».388

387 «Cristina Campo era di Bisanzio, voglio dire, cercava la perfezione come un trappista, con gli artigli di quei leoni che

sono rappresentati insieme ai Padri del Deserto. «Si accostava al linguaggio come un credente al testo sacro», in una maestà intransigente, in un’eleganza recondita, in un fascino lento e meticoloso, con quel lusso di cui è capace unicamente l’asceta. «Ho scritto poco e mi sarebbe piaciuto aver scritto meno», l’ascoltiamo dire. A proposito di poesia (e del destino), è di rinuncia, astensione e interdizione che parla. La poesia s’identifica con l’esercizio di tali virtù negative: «il paziente accumulo di tempo e di segreto trasformato immediatamente in quel miracolo di superiore energia: ecco la precipitazione poetica». Ma, il “poco” che l’occupa era lavorato nella sua fucina da orefice fino a splendere di verità, fino a raggiungere una delicatezza offuscante, lo svegliato silenzio delle rivelazioni. Per tanto, viveva concentrata come la luce che i minatori portano in testa, quando si avventurano in così grandi profondità, stato a cui lei, evocando Simone Weil, una delle sue influenze centrali, chiama “attenzione”.» Ibidem.

388 «Oservando la descrizione di uno dei suoi giorni, nessuno ci sembra più dissociato dal suo tempo (...) Eppure pochi

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Il volume numero 7 della collana “Teofanias”, a cui si faceva riferimento all’inizio, è la traduzione portoghese del Diário degli anni 1941 a 1943, di Etty Hilleum, che precede di un anno la pubblicazione delle sue Cartas, dello stesso triennio (Lisboa, Assírio & Alvim, 2009). Esther Hillesum, detta Etty (1914-1943), scrittrice olandese di origine ebraica che finirà vittima della Shoah in Auschwitz, inizia il 9 marzo 1941 a scrivere il primo di 8 quaderni a quadretti di quello che sarà il suo diario - aveva 27 anni e abitava ad Amsterdam, con le finestre che davano sul Rijksmuseum. Nel 1942, dattilografa presso il Consiglio Ebraico, preferisce condividere la sorte degli ebrei a salvarsi, forte delle sue convinzioni.

Il progetto di scrivere un diario è una proposta terapeutica di Julius Spier e lungo le sue pagine si trovano i suoi insegnamenti - come questi: la “parola di Dio” non si circoscrive alla Bibbia; “aiutati che Dio ti aiuta”; è importante portare gli altri dentro di sé; alla fine della giornata, ci si deve raccogliere per farne una valutazione; - che sfociano nella grande trasformazione che Etty realizza, dalla «Paura di vivere su tutta la linea.» (10 novembre 1941) alla coscienza di poter vivere una vita piena ed intera, anche nelle drammatiche circostanze in cui si trovava - «Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato.» (3 luglio 1942). Tolentino scrive:

Olhamos para ela em Westerbork e vemos a eleita do Senhor, passeando-se na solidão e na lama, escrevendo algumas das orações mais extraordinárias que um ser humano pode proferir, mas não na amplidão majestosa de um templo, antes no espaço putrescente da latrina comum, onde se refugiava de madrugada em busca de um instante de silêncio e de concentração. Vemos a enamorada de Deus esgotar-se em atenções aos deportados, curando, intercedendo, ela própria ferida por dores violentas, sempre à procura de uma janela donde se alcance um fragmento de céu, ou de uma tábua onde, por fim, possa sentar-se a ler umas frases de Rilke. Seguimo-la na leitura que faz do Evangelista Mateus, «o meu bom Mateus», nos comentários aos textos de Paulo e de Santo Agostinho como se de uma mestra experimentada nos caminhos do espírito se tratasse. Lemos «Gostaria muito de viver como os lírios do campo. Se as pessoas entendessem esta época, seriam capazes de aprender com ela a viver como os lírios do campo», e é difícil recordar que quem nos fala é aquela rapariga de Amesterdão que ali chegou há poucos meses.389

ogni istante, al fuoco dell’attenzione suprema. Forse gli si deve applicare ciò che, una volta, la stessa Cristina Campo ha scritto su Djuna Barnes, elogiando molto, ma proprio molto, la testimonianza del suo silenzio: “sa, lei è diventata spirito di questa terra.”» Ibidem.

389 «La guardiamo in Westerbork e in lei vediamo la eletta del Signore, passeggiando nella solitudine e nel fango,

scrivendo alcune delle preghiere più straordinarie che un essere umano possa proferire, non nella grandezza maestosa di un tempio, ma nello spazio putrescente della latrina comune, dove si rifugiava all’alba alla ricerca di un istante di silenzio e di concentrazione. La vediamo innamorata di Dio sfinirsi in attenzioni verso i deportati, curando, intercedendo, lei stessa colpita da dolori violenti, sempre alla ricerca di una finestra da dove si veda un frammento di cielo, o di una tavola dove, alla fine, si possa sedere e leggere delle frasi di Rilke. La seguiamo nella lettura che fa dell’Evangelista Matteo, “il mio buon Matteo”, nei commenti ai testi di San Paolo e di Sant’Agostino come se di una maestra sperimentata nei cammini dello spirito si trattasse. Leggiamo «Mi piacerebbe tanto vivere come i gigli del campo. Se le persone capissero questa epoca, sarebbero capaci di imparare con essa a vivere come gigli del campo” ed è difficile ricordare che chi ci parla è quella ragazza di Amsterdam che è arrivata lì da pochi mesi». J.T. Mendonça, Prefácio in E. Hilleum, Diário, 1941-1943, Lisbona, Assírio & Alvim, 2008.

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