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Il Cristo della fede simbolo dell‘umanità: il primo Leben Jesu di D F Strauss

8. Idea Christi: cristologia idealista e cristologia filosofica

8.4 Il Cristo della fede simbolo dell‘umanità: il primo Leben Jesu di D F Strauss

La cristologia speculativa di Hegel, così come appare formulata nelle Lezioni sulla

filosofia della religione, si propone come un distacco della dogmatica cristiana dalle

proprie radici storiche, senza, tuttavia, che esse vengano negate. Il superamento hegeliano della storicità del cristianesimo non si pone, in effetti, come un annullamento o un rifiuto della storia, bensí come una tappa necessaria nell‘ambito dello sviluppo dello Spirito assoluto. Il Gesù storico è messo da parte, in quanto, ora, ininfluente all‘interno di tale processo. Se già nei frammenti di Francoforte Hegel distingueva il Cristo della fede dal Gesù storico, e, quindi, i Vangeli dai Vangeli intesi come testimonianza storica, il problema della validità storica dei testi sacri non sembra mai essere al centro dell‘attenzione del filosofo di Stoccarda. Piuttosto è il loro contenuto, che è Dio stesso, la verità, il quale si presenta, non come concetto [Begriff], ma in forma di rappresentazione [Vorstellung] a interessare Hegel, in vista di un passaggio al piano speculativo, e, quindi, al concetto stesso, e al sapere assoluto. A proseguire la via tracciata dal giovane Hegel è, invece, David Friedrich Strauss, giovane teologo formatosi presso il seminario teologico di Tubinga, lo Stift, lo stesso frequentato in età giovane da Hegel, e dagli amici Schelling e Hölderlin. Partendo dalla distinzione hegeliana tra Vorstellung [rappresentazione] e Begriff [concetto], Strauss introduce all‘interno dell‘esegesi evangelica la nozione di Mythus [mito], mettendola in stretta relazione con quella di

Vorstellung. I risultati di questa nuova forma di critica delle fonti sacre hanno dato

vita al celebre e tanto contestato Leben Jesu150 apparso per la prima volta nel 1835,

150

D. F. Strauss, Das Leben Jesu, kritisch bearbeitet, hrsg. von W. Zager, Spenner Hartmut, Berlin 2003; per una visione completa delle quattro versioni del Leben rimandiamo a D. F. Strauss, Das Leben Jesu, kritisch bearbeitet, 2 Bdd., Osiander, Tübigen 1835-1836, 18372, 18393, 18404. Le

opera che, più di quanto abbia mai pensato lo stesso Strauss, ha aperto la strada ad un rinnovamento radicale degli studi biblici. Ciononostante le ripercussioni negative sulla vita dello stesso Strauss, causate dalla pubblicazione di un‘opera cosí provocatoria per quel tempo, condizionarono le stesure seguenti (1837, 1839, 1840), fino all‘elaborazione di un nuovo Leben Jesu151

a distanza di quasi trent‘anni dal

primo, una vera e propria ritrattazione delle tesi giovanili.

Come alcuni studiosi e teologi, quali Albert Schweitzer e Karl Barth, hanno osservato, il primo Leben Jesu di Strauss ha il merito di aver chiarito definitivamente l‘inutilità dell‘indagine storica su Gesù per la fede, e di aver, nello stesso tempo, considerato i Vangeli come fonti storiche, non sulla vita di Gesù, ma sulle prime comunità cristiane, all‘interno delle quali sono nati i racconti evangelici. La categoria del mito ha appunto la funzione di chiarire il meccanismo con cui la narrazione si è sviluppata. Ma cosa intende Strauss col termine mito? L‘interesse che la cultura tedesca del primo Ottocento manifesta nei confronti del mito greco, e il dibattito sviluppatosi negli ambienti filosofico-letterari influenzano sicuramente le tesi di Strauss. Tuttavia, stiamo ancora considerando trattazioni che hanno per

uniche due traduzioni in italiano del Leben risalgono alla seconda metà del XIX secolo: D. F. Strauss, La vita di Gesù, a cura di G. Oddo, Francesco Sancito, Milano 1863; D. F. La vita di Gesù. Esame critico sulle Parabole e sui Miracoli per D. F. Strauss, confutata e completata nel Nuovo e Vecchio Testamento, a cura di C. M. Curci, Tipografia Editrice, Roma 1886. A proposito di queste due pubblicazioni, come ha rilevato Umberto Regina, ci troviamo di fronte a un evidente caso di plagio sia nella traduzione che nelle note. Possiamo dunque affermare che, al momento, esiste solo una traduzione italiana del Leben a cura di G. Oddo, risalente al 1863.

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D. F. Strauss, Das Leben Jesu, für das deutsche Volk bearbeitet [La vita di Gesù, elaborata per il popolo tedesco] Brockhaus, Leipzig 1864. A differenza del primo Leben non esiste al momento una traduzione italiana dell‘opera se non per citazione [vedi U. Regina, La vita di Gesù e la filosofia moderna, Morcelliana, Brescia 1979, pp. 447-503]. Sulla scia del Leben Jesu del 1864, l‘anno seguente Strauss pubblica un nuovo scritto teologico che ha per oggetto la distinzione tra il Cristo della fede e il Gesù storico [vedi D. F. Strauss, Der Christus des Glaubens und Jesu der Geschichte (1865) (Il Cristo della fede e il Gesù della storia), hrsg. von A. Dörfler-Dierken und J. Dierken, Spenner Hartmut, Berlin 2000; anche di questa opera non esiste una traduzione italiana, ma alcuni passi sono stati tradotti sempre da Umberto Regina, op. cit.].

oggetto prevalentemente il mito greco e la grecità. In Schelling, Hölderlin152 e Hegel il mito greco e la classicità costituiscono l‘unico termine di paragone per l‘età moderna, figlia, invece, del cristianesimo. L‘idea di una rottura e di una decadenza nel passaggio dal mondo classico a quello cristiano è il motivo dominante della produzione poetica di Hölderlin, e degli scritti del primo Hegel. Tra i tre amici è Schelling153 colui che applica la nozione di mito a quei racconti evangelici apparentemente non attendibili dal punto di vista razionale154. Successivamente alcuni studiosi, tra cui Wilhelm Martin Leberecht de Wette, individuano una nuova prospettiva nei confronti di quei passi dei Vangeli che sembrano sfuggire ad una spiegazione razionale, e che, al contrario, sono riconducibili alla categoria ermeneutica del mito. Strauss parte da questi presupposti e dalla distinzione hegeliana tra Vorstellung e Begriff per estendere la lettura mitica a tutti i racconti evamgelici. In tal modo, i Vangeli si configurano come un racconto mitico unitario, sviluppatosi nell‘arco di un tempo sicuramente non breve, prima per via orale, poi in forma scritta. Il mito è per Strauss essenzialmente una non storia in forma di storia, elaborata nei secoli non da singoli individui, come sembrerebbero invece attestare i

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Hölderlin considera Cristo come l‘ultimo e, nello stesso tempo, il più autorevole degli dei antichi, con il quale tramonta il mondo classico. In Der Einzige [L’unico] scrive Hölderlin: ―Ich liebe unter euch,/ Wo ihr den letzten eures Geschlechts./ Des Hauses Kleinod, mir/ dem fremden Gaste bewahret./ Mein Meister und Herr!/ O du, mein Lehrer!/ Was bist du ferne/ Geblieben? und da/ Ich sahe, mitten, unter den Geistern, den Alten/ Die Helden und/ Die Götter, warum bliebest/ Du aus?‖ [―Io cerco ancora Uno,/ colui che amo tra voi,/ dove è l‘Ultimo della vostra stirpe,/ il gioiello della casa/ che voi celate all‘ospite straniero./ Mio maestro e signore,/ mia guida,/ come rimanesti così lontano?/ e venni per te tra gli antichi gli eroi e gli Dei:/ perché rimanesti in disparte?‖] (F. Hölderlin, Der Einzige [L’unico] seconda stesura, in Le liriche, trad. it. di E. Mandruzzato, Adelphi, Milano 1977, pp. 644-645).

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Vedi F. W. J. Schelling Über Mythen, historische Sagen und Philosopheme der ältesten Welt (1793) [Sui miti, le leggende storiche e i filosofemi del mondo più antico], im Schellings Werke, I Hauptband, hrsg. von M. Schröter, Verlag C. H. Beck, München 1927.

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Anche Schleiermacher nella Weihnachtsfeier (1806) considera i racconti dell‘infanzia riportati nei Vangeli Sinottici come una ―mythische Lebensbeschreibung‖ [―biografia mitica‖] di Gesù (D. E. Schleiermacher, Weihnachtsfeier , cit. in G. Moretto, Etica e storia, Bibliopolis, Napoli 1979, p. 454).

Vangeli, ma da una collettività. Attorno al contenuto essenziale del mito la comunità dei credenti converge, riconoscendovi la propria irriducibile identità. L‘applicazione di tale concetto ai Vangeli spiega la loro genesi in termini del tutto nuovi rispetto alla tradizione: i testi evangelici sono resoconti elaborati all‘interno delle prime comunità cristiane sulla vita di Gesù di Nazareth, riconosciuto come il Messia profetizzato nell‘Antico Testamento dai credenti, e, quindi, anche da coloro che, in un secondo momento, hanno redatto i testi a partire da una tradizione orale. ―L‘attesa messianica‖ del popolo ebraico sulla quale si fonda in gran parte la tradizione dei racconti veterotestamentari ha agito prima sulla coscienza di Gesù poi su quelle dei discepoli, in modo tale da creare una corrispondenza tra la figura mitica del Messia e la stessa persona di Gesù. Strauss individua due momenti fondamentali nella genesi del mito: in un primo tempo lo stesso Gesù si riconosce nella figura veterotestamentaria del ―figlio dell‘uomo‖ profetizzata nell‘Antico Testamento (Dn 7,13-14)155, ma, intuita la fine imminente, egli rimanda la sua venuta ―sulle nubi del cielo‖ post-mortem; in un secondo momento i discepoli associano la visione gloriosa di Daniele alla fine tragica narrata in Isaia 53156 e al primo versetto del Salmo 22 gridato da Gesù sulla croce, ―Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato‖. Di qui ha orgine l‘«impressione messianica» [messianischer

Eindruck] che dà vita al mito, prima in forma orale, poi in forma scritta.

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―Ancora di notte notai che sulle nubi del cielo veniva come un figlio dell‘uomo. Giunse fino all‘anziano, e fu a lui presentato. Gli furono dati dominio, gloria e regno perché la gente di ogni paese, nazione e lingua lo potesse servire. Il suo dominio durerà per sempre, non avrà mai fine e il suo regno non verrà mai distrutto‖ (Dn 7, 13-14).

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―Noi lo abbiamo rifiutato e disprezzato come un uomo pieno di sofferenze e di dolore. Come uno che fa ribrezzo a guardarlo, che non vale niente, e non lo abbiamo tenuto in considerazione. Eppure egli ha preso su di sé le nostre malattie, si è caricato delle nostre sofferenze […]. Egli si è lasciato maltrattare, senza opporsi e senza apri bocca, docile come un agnello condotto al macello […]. E‘ stato arrestato, giudicato e condannato […]. Lui suo [di Dio] servo, ha dato la vita come un sacrificio per gli altri. […] Ha preso su di sé le colpe di tutti gli altri ed è intervenuto a favore dei peccatori‖ (Is 53, 3-12).

L‘identificazione che nasce dalla corrispondenza tra il mito veterotestamentario e la figura di Gesù è, dunque, motivo di produzione mitica all‘interno delle prime comunità:

Attorno ad un grande individuo, soprattutto se ad esso è legata una rivoluzione che penetra profondamente nella vita degli uomini, si forma rapidamente, anche nell‘epoca più asciuttamente storica, un complesso non storico di glorificazione mitica. Si immagini una giovane comunità che onora il proprio fondatore [Gesù] con tanto maggior entusiasmo quanto più repentino e tragico p stato strappato via dalla vita, una comunità resa fertile da una massa di idee nuove che dovevano cambiare il mondo […]; ed ecco che si dovrà allora riconoscere che da queste circostanze doveva sorgere ciò che ne è effettivamente venuto fuori; una serie di santi racconti con la quale l‘intera massa di idee sia nuove, provocata da Gesù, sia vecchie [attesa messianica] su di lui trasferita, fu resa intuibile, facendo di esse i singoli momenti della sua vita.157

I Vangeli non sono, quindi, che il risultato finale di un lungo proliferare di narrazioni orali sulla vita di Gesù di Nazareth riconosciuto come il Messia annunciato nell‘Antico Testamento, ed i racconti che ne scaturiscono sono plasmati in base all‘idea messianica incarnata da Gesù. Ciò che i mitologi del XIX secolo osservano a proposito del mito greco può dunque essere applicato, secondo Strauss, anche ai racconti evangelici:

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―[…] Um ein grosses Individuum, zumal wenn an dasselbe eine in das Leben der Menschen tief eingreifende Umwälzung geknüpft ist, sich frühzeitig, selbst in der trockensten historischen Zeit, ein unhistorischer Kreis sagenhafter Verherrlichung bidet. Man denke sich eine junge Gemeinde, welche ihren Stifter um so begeisterter verehrt, je unerwarteter und trgischer er aus seiner Laufbahn herausgerissen worden ist; eine Gemeinde, geschwängert mit einer Masse neuer Ideen, die eine Welt umschaffen sollten; [….] so wird man erkennen: es mufte unter diesen Umständen entstehen was entstanden ist, eine Reihe heiliger Erzählungen, durch welche man die ganze Masse neuer, durch Jesum angeregterm so wie alter, auf ihn übertragener Ideen als einzelne Momente seines Lebens sich zur Anschauung brachte‖ (Kap. I1 § 12 , p. 71).

Questo impercettibile produrre comune [del mito] è reso possibile dalla funzione di tramite comunicativo esercitata dalla tradizione orale, mentre, infatti se messa per iscritto, la saga cessa di crescere e diviene possibile dimostrare ciò che spetta all‘intervento di ciascun successivo scrittore, per la tradizione orale accade che il tramandato diversifichi nella seconda bocca forse di poco rispetto alla prima, e che ugualmente poco si aggiunga nella terza rispetto alla seconda […]; e che tuttavia nella terza e nella quarta l‘oggetto può essere diventato completamente diverso da ciò che era nella prima, senza che nessun singolo narratore abbia consapevolmente percepito tale mutamento, che deve essere addebitato a tutti.158

I Vangeli nascono dall‘unione del ―semplice canovaccio storico della vita di Gesù‖159

con la dottrina da lui predicata, il tutto riletto alla luce dell‘attesa messianica della tradizione biblica. Perciò per ―mito neotestamentario‖, afferma Strauss, ―non si intende nient‘altro che il rivestimento in forma storica, formatosi nella spontanea saga poetica, di primitive idee cristiane‖160. La posizione di Strauss è dunque ormai chiara: diversamente dai razionalisti come Reimarus, egli né mette in dubbio la buona fede di coloro che componevano la prima comunità cristiana, né nega le radici storiche della figura di Gesù. Tuttavia, Gesù di Nazareth, osserva Strauss, non è colui che è rappresentato nei Vangeli, o, forse, lo è solo in minima

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―Ein solches unmerrkliches gemeinsames Produciren wird dadurch möglich, dass dabei die mündliche Ueberlieferung das Medium der Mittheilung ist; den während durch die Aufzeichnung das Wachsthum der Sage sistirt, oder doch nachweisbar gemacht wird, wie viel jedem folgenden Schreiber Antheil an den Zuthaten gebühre: so kommt bei mündlicher Ueberlieferung die Sache so zu stehen, dass das Ueberlieferte im zweiten Munde vielleicht nur um Weniges anders sich gestaltet als im ersten, im dritten ebenfalls nur Weniges hinzukommt im Verhältniss zum zeiten […]: und doch kann im dritten und vierten Munde der Gegenstand ein ganz andrer geworden sein, als er im ersten war, ohne dass irgend ein einzelner Erzähler diese Änderung auf bewusste Weise vorgenommen hätte, sondern sie kommt auf Rechnung aller zusammen […]‖ (p. 74).

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―Das einfache historiche Gerüste des Lebens Jesu‖ (p. 72). 160

―[…] Welcher zufolge unter neutestamentlichen Mythen nichts Andres, als geschichtartige Einkleidungen urchristilicher Ideen, gebildet in der absichtslos dichtenden Sage, zu verstehen sind‖ (p. 75).

parte; il resto è fede e credenza consolidata da secoli, dalla quale scaturisce il mito. Il fondamento di verità assoluta del mito evangelico non viene, quindi, mai messo in discussione da Strauss. Ricordiamo, infatti, che la nozione straussiana di mito è estremamente affine a quella hegeliana di Vorstellung. Non a caso Strauss usa talvolta al posto del termine Mythus quello di Vorstellung. La rappresentazione hegeliana è la ―forma‖ nella quale ―la religione presenta essenzialmente il suo contenuto‖ (R I, p. 257). Essa ha gli ―oggetti in comune‖ con la religione, ―perché oggetto di entrambe è la verità, e nel senso altissimo della parola – in quanto cioè

Dio, e Dio solo, è la verità‖ (E I, intr. §1 p. 2). La rappresentazione è uno dei modi

della conoscenza umana, quello più prossimo al concetto [Begriff] e all‘Assoluto. Per giungere al concetto la coscienza deve per forza passare dalla rappresentazione: in altre parole la Vorstellung, e, quindi, la religione sono momenti imprescindibili del cammino dello spirito verso l‘Assoluto.

L‘idea hegeliana della rappresentazione come ―metafora‖ dei pensieri e dei concetti si riflette nella nozione straussiana di mito. In tal modo Strauss può affermare che il mito evangelico è ―il rivestimento in forma storica, formatosi nella spontanea saga poetica, di primitive idee cristiane‖ (p. 75)161

. Ciò di cui Strauss vuole liberarsi non è il mito, che, al contrario contiene in sé il concetto, e, quindi, la verità assoluta, bensì di quella storia dietro alla quale si cela lo stesso mito. Mettere in luce il mito evangelico significa, infatti, mettere da parte tutto ciò che lo riveste e che gli dà la veste di un racconto storico. Solo l‘idea messianica o l‘Idea Christi del

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Non sempre, tuttavia, Strauss riesce a rimanere del tutto aderente alla distinzione hegeliana tra rappresentazione e idea. Per esempio nell‘indicare il mito ebraico del Messia Strauss si avvale spesso del termine Idee [idea], quando invece dal punto di vista hegeliano esso è solo una rappresentazione, e non ancora un concetto. L'ambiguità su cui gioca Strauss ha, tuttavia, il compito di sostenere sul piano speculativo le conclusioni a cui egli perviene nella parte finale dell‘opera. In tal modo l‘idea messianica, o idea Christi, si configura, nello stesso tempo, sia come puro mito, nato dalla tradizione orale ebraica, sia come concetto, nel senso hegeliano del termine, quale verità assoluta.

mito procede verso la verità assoluta, non la storia. Il compito dell‘esegesi mitica è quello di liberare il testo dal velo della storia, ponendolo su un altro piano, quello della verità che si cela, invece, al di là della rappresentazione. L‘esito finale è il palesarsi del concetto, del senso spirituale, razionale, del messaggio evangelico, trattato da Strauss nella seconda ed ultima parte del Leben: l‘idea Christi quale idea di umanità, come unità tra l‘uomo e Dio.

Ad un primo sguardo sembrerebbe, quindi, che il percorso di Strauss ricalchi il programma hegeliano del ―Venerdí santo speculativo‖; tuttavia, la prospettiva straussiana si limita esclusivamente all‘ambito teologico e a quello antropologico. Hegel fa dell‘idea della croce e della resurrezione il principio epistemologico che regge e chiarisce un sistema di pensiero che vuole abbracciare la verità, che è Dio stesso, lo Spirito assoluto, il Sapere, la Ragione. Nonostante il tentativo di radicalizzare la cristologia speculativa hegeliana, Strauss, invece, s‘impegna soprattutto a demistificare il valore di testimonianza storica dei Vangeli.

Veniamo, dunque, alla figura di Gesù Cristo che emerge dal Leben e alla via speculativa intrapresa nella parte finale dell‘opera. La Schlussabhandlung [Trattazione finale], spiega lo stesso Strauss, rappresenta il secondo ed ultimo momento della critica evangelica, la critica ai dogmi. Se Hegel trasferisce sul piano speculativo integralmente la dogmatica cristiana, senza abolirla, ma facendone il principio del proprio sistema di pensiero, Strauss, al contrario, vuole liberare dall‘apparato dogmatico, per lui obsoleto e deviante, il contenuto assoluto del cristianesimo, vale a dire il senso spirituale della Menschwerdung Gottes. In tal modo l‘ultima parte del Leben si configura come un‘analisi critica dei dogmi e della tradizione cristologica, dalle origini fino alla contemporaneità, rappresentata in

ermeneutica del mito ai racconti evangelici, sottolinea lo stesso teologo, è solo un primo momento della critica ai Vangeli. La nozione di mito, inteso come quella non storia che si dà in forma apparente di racconto storico, ha il compito di liberare la rappresentazione collettiva, e, quindi, l‘idea Christi dalla storicità nella quale è andata sedimentandosi. Individuare all‘interno dei Vangeli un nucleo mitico, costituito prevalentemente dall‘attesa messianica, significa anche espungere tutto ciò che la Chiesa ha costruito attorno al mito, dietro al quale si cela il significato ultimo della Menschwerdung Gottes.

Lo sviluppo della cristologia moderna è intesa da Strauss come l‘emancipazione della scienza su Cristo dalla storia e dalla tradizione dogmatica della Chiesa. Se a Spinoza, Kant, e de Wette Strauss rimprovera la tendenza a rendere il Cristo come qualcosa che risiede esclusivamente nel pensiero, un‘idea astratta, un‘ideale privo di alcuna realtà, a Schelling e Hegel va il merito di aver dato vita ad una nuova cristologia, che ha nell‘eternità dell‘incarnazione il suo unico significato. Dio che si fa carne dall‘eternità, questo è il senso ultimo dell‘incarnazione, dell‘idea Christi che il mito o la rappresentazione collettiva mette in scena prima nei Vangeli poi nella dogmatica, un‘idea reale, rispetto all‘idea Christi kantiana, che, invece, si dà solo come dovere, e, quindi, come un modello astratto:

Questa la chiave di tutta la cristologia. Il soggetto degli attributi che la Chiesa dà al Cristo è un individuo, un‘idea, ma un‘idea reale, e non un‘idea senza realtà, alla maniera di Kant. Poste in un individuo, in un Dio-uomo, le proprietà e le funzioni che la Chiesa attribuisce al Cristo si contraddicono, esse concordano con l‘idea del genere [Gattung]. L‘umanità è l‘unificazione delle