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4. Dioniso e il Crocifisso: il Cristo nell‘ultimo Nietzsche

4.1 Dioniso contro il Crocifisso

La figura di Dioniso, applicata in un primo momento all‘ambito del discorso sull‘arte, e solo successivamente a un più ampio discorso sull‘esistenza umana, anima il pensiero di Nietzsche sin da La Nascita della tragedia, come emblema di un atteggiamento nei confronti della vita del tutto contrario alla visione cristiana dell‘esistenza. Il dionisiaco diventa progressivamente da concetto estetico applicato allo spirito greco il paradigma di un approccio all‘esistenza che sovverte le rigide strutture di cui l‘uomo è prigioniero, la metafisica e la morale, e libera definitivamente l‘individuo dalla condizione di schiavitù imposta dal cristianesimo. Nel dionisiaco, la vita è percepita nella sua integrità, nel suo essere eterno nel dolore e al di là del dolore, la zoé [―vita‖] dei greci, la vita immortale che vive delle vite finite [bios] dei singoli individui, delle loro morti. La crudeltà di questo eterno

ripetersi di vita e morte, di vita e dolore, è superata dal senso di eternità e vitalità che la zoé determina. Questo è il significato originario dei culti dionisiaci, nei quali l‘uomo diventa un tassello di quell‘infinito componimento che è la vita, e, quindi la natura. Egli quindi non è né il fine, né il centro della natura, bensì solo un caso.

Questa visione tragica dell‘esistenza che Nietzsche rinviene, al di là dell‘immagine della classicità greca come luogo dell‘armonia e dell‘equilibrio, visione che ha origine nell‘interpretazione che la sensibilità cristiana ha dato della cultura greca, è messa in scena dai greci nel mito di Dioniso, il Dio bambino, figlio di Zeus e Demetra, brutalmente smembrato dai Titani, dalle cui ceneri ha origine il genere umano. Dioniso è allora la zoé, la vita eterna, da cui continuamente prende forma ogni vita finita (bios), e a cui inevitabilmente ritorna alla fine del suo ciclo:

Dioniso: sensualità e crudeltà. La transitorietà potrebbe essere interpretata

come godimento della forza generatrice e distruttrice, come creazione continua.248

Una tale visione del rapporto tra physis e uomo, in cui l‘uomo non è più il centro e il fine della physis, ma solo un tassello, si contrappone, secondo Nietzsche, alla visione antropocentrica della tradizione cristiana. L‘uomo si trova gettato in una natura che non è lo spazio dell‘alleanza con Dio, bensí lo spazio della lotta, del conflitto con la natura stessa, con la vita. L‘uomo dunque, per sopravvivere, non deve sentirsi il fine della natura, bensì darsi uno scopo. La terra è il luogo del conflitto, ma anche l‘unico luogo dell‘esistenza.

Alla concezione dionisiaca dell‘esistenza e a Dioniso si oppone, invece, il crocifisso, in quanto negazione della vita terrena e promessa di un‘altra vita. Il crocifisso dunque è per Nietzsche la negazione stessa della physis e della vita, è

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l‘emblema dell‘assunzione e dell‘accettazione del dolore quale colpa universale da subire. In cambio tutto è rinviato ad un‘esistenza che va al di fuori della sfera terrena. In uno degli ultimi frammenti, dal titolo ricorrente I due tipi: Dioniso e il

crocifisso, Nietzsche chiarisce questa contrapposizione:

Dioniso contro il ―crocifisso‖ eccovi l‘antitesi. Non è una differenza in base al martirio – solo esso ha un altro senso. La vita stessa, la sua eterna fecondità e il suo eterno ritorno determinano la sofferenza, la distruzione, il bisogno di annientamento…

Nell‘altro caso il dolore, il ―crocifisso in quanto innocente‖ valgono come obiezione contro questa vita, come formula della sua condanna. Si indovina che il problema è quello del senso del dolore: il senso cristiano o del senso tragico… Nel primo caso sarebbe una via che porta ad un essere beato, nel secondo l‘essere è considerato abbastanza beato da giustificare anche un‘immensità di dolore… Il Dioniso fatto a pezzi è una promessa alla vita: essa rinascerà e rifiorirà eternamente dalla distruzione.249

Non è dunque il martirio in sé a opporre Nietzsche nei confronti del crocifisso, bensì il significato di quel sacrificio: se il martirio di Dioniso è essenzialmente l‘immagine della vita eterna che eternamente si rigenera attraverso il dolore, oltre il dolore, senza che esso abbia una determinata causa, un determinato significato, al contrario nel crocifisso s‘impone l‘immagine del sacrificio di un‘innocente che espia da solo i peccati di tutti gli uomini, le loro colpe. ―Il senso cristiano‖ del dolore si oppone, infatti, al ―senso tragico‖, perché in esso il dolore dilaga, e, perciò prevale sulla stessa vita, mentre nella concezione greca l‘esistenza del singolo (bios) supera il dolore e la sofferenza , la morte, perché parte della vita eterna (zoé).

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Nel nesso tra dolore e colpa Nietzsche rinviene, dunque, il discrimine che separa il cristianesimo dal mondo greco. L‘associare un dolore ad una colpa commessa determina, infatti, nell‘individuo un‘accettazione del dolore stesso e una sottomissione ad esso. L‘uomo in tal modo subisce il dolore, in quanto determinato da una propria colpa. Un dolore quindi può condannare l‘esistenza intera al risentimento e al senso di colpa. Al contrario il dolore, cosí com‘è inteso dal mondo greco, non ha una causa determinata, e, quindi, una colpa. Il dolore viene, così, affrontato come parte stessa della vita e superato: dalla morte del singolo trae infatti nutrimento quella vita eterna che anima la physis. Dalle ceneri di Dioniso nasce il genere umano, dalla sofferenza della partoriente ha origine la vita.

Attraverso il crocifisso il cristianesimo ha, quindi, instillato negli individui il senso di colpa e il risentimento, poiché nell‘immagine della vittima innocente l‘uomo assume su di sé il dolore, in quanto determinato da una propria colpa, e lo subisce. In una concezione dell‘esistenza come continua espiazione, il cristiano è costretto a disprezzare la vita terrena per aspirare ad un‘altra vita, superiore. Al contrario l‘uomo greco conscio della crudeltà dell‘esistenza, affronta il dolore, consapevole che la vita del singolo non è che un tassello di una vita che è eterna, e che va essenzialmente vissuta e non negata. Il sesso prescritto dai culti dionisiaci si oppone alla castità predicata dal cristianesimo. Dioniso è dunque ―la creazione continua‖, mentre il crocifisso la sua negazione.

Il nesso cristiano tra colpa e dolore ha secondo Nietzsche origine in una concezione di Dio del tutto nociva per l‘uomo. Il Dio dei cristiani è un Dio misericordioso nei confronti dell‘uomo ma nello stesso tempo distante, un Dio inattingibile, al contrario, dei membri del pantheon greco. Esso nasce dal Dio ebraico dei profeti, il quale è essenzialmente ―Dio di giustizia‖ prima che ―Dio

d‘Israele‖250

, il Dio delle origini, quello bellicoso e vendicativo, che tuttavia manteneva un rapporto privilegiato con il popolo eletto. Il Dio dei profeti come il Dio dei cristiani, al contrario, un Dio distante, inattingibile. Così in Umano troppo

umano Nietzsche chiarisce la differenza tra gli dei greci e il Dio ebraico-cristiano:

I greci vedevano sopra di sé gli dei omerici non come padroni, e se stessi sotto di loro non come servi, al modo degli ebrei. In un certo senso essi vedevano solo l‘immagine speculare dei più riusciti esemplari della loro casta, dunque una idealizzazione, non un opposto della natura. Ci si sentiva reciprocamente affini, esisteva un interesse reciproco, una sorta di simmachia. L‘uomo che si sé tali dei nutre una nobile opinione di sé, e si pone in un rapporto simile a quello che intercorre tra la piccola e l‘alta nobiltà […]. Il cristianesimo invece schiacciò e spezzò completamente l‘uomo, e lo gettò nel profondo di una palude: poi, nel sentimento di abiezione totale, fece d‘un tratto balenare lo splendore della divina misericordia, sicché l‘uomo, colto di sorpresa e stordito dalla grazia, proruppe in un grido di estasi e per un istante credette di portare in sé il cielo intero.251

Il rapporto tra gli dei greci e i greci è paritario; i pregi e i difetti degli dei non sono che i pregi e i difetti dell‘uomo. Nel cristianesimo, come nell‘ebraismo sacerdotale, esiste una frattura incolmabile tra Dio e l‘uomo, e tale condizione è vista come una diretta conseguenza del comportamento umano. Il dogma del peccato originale, assente nell‘ebraismo e introdotto da Paolo nel cristianesimo delle origini, ha interiorizzato il senso di colpa dell‘uomo nei confronti di Dio, fino al punto di negare ogni la stessa vita terrena. ―Il Cristianesimo‖, osserva Nietzsche, ―aveva […] detto che ogni uomo è concepito e generato nel peccato‖ (n. 141, p. 112), visione

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Id, Frammenti postumi 1887-1888, trad. it. di S. Giametta, in Opere, vol. VIII.2, Adelphi, Milano 1971, p. 374.

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Id., Menschliches, Alzumenschliches (1878) [trad. it. di S. Giametta, Umano troppo umano I, Adelphi, Milano 1979, n. 114 p. 98].

che si riflette pienamente nei due versi di Calderón ―la più gran colpa dell‘uomo/ è di essere nato‖ (ibid.). Nell‘immagine dell‘asceta è contenuto il modello di vita cristiano, un‘esistenza che accetta e subisce passivamente la sofferenza, dietro il quale in realtà si cela un profondo senso di vanità, perché più è grande l‘afflizione più si è vicini a quel Dio così inattingibile.

L‘idea cristiana di un Dio misericordioso e, nello stesso tempo, distante è per Nietzsche una pietra tombale sull‘esistenza umana. Il cristianesimo toglie dignità alla vita e quindi all‘uomo stesso, proiettando ogni aspettativa al di là dell‘esistenza terrena:

Il concetto cristiano di Dio – Dio come Dio degli infermi, Dio come ragno, Dio come spirito, - è uno dei concetti di Dio più corrotti che si siano avuti sulla terra; anzi rappresenta, forse, il livello più basso nella evoluzione discendente del tipo di divinità. Dio generato in contraddizione della vita; invece di essere la trasfigurazione medesima ed il suo eterno sì. Dichiarare in Dio, la guerra alla vita, alla natura, alla volontà di vivere! Dio, la formula di tutte le calunnie dell‘ ―al di qua‖. Il nulla divinizzato in Dio, la volontà per il nulla santificata!252

Il crocifisso è appunto l‘emblema di questa concezione del divino, che nega la vita e umilia l‘uomo e la sua carne, in nome del sacrificio in croce del Figlio di Dio. All‘interno di una tale concezione del divino, la Menschwerdung Gottes diventa, quindi, un momento unico e irripetibile in cui il divino misericordiosamente si abbassa al livello dell‘uomo per salvarlo. In realtà, come già Feuerbach, cosí Nietzsche rileva che non è Dio ad abbassarsi, bensí l‘uomo a elevarsi al rango di divinità. In Cristo, quindi, non è la kénōsis del divino a compiersi, bensì la divinizzazione dell‘umano: l‘uomo storico, Gesù, per sentirsi mediatore tra

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Id., Der Antichrist. Fluch auf das Christentum (1887) [trad. it. di F. Masini, L’Anticristo. Maledizione del cristianesimo, Adelphi, Milano 1970, n. 18 p. 21].

l‘umanità e Dio non può essersi sentito che Dio in persona, poiché tale è la distanza che separa Dio e l‘uomo, e ,solo sentendosi Dio, l‘uomo Gesù ha potuto vestire i panni del mediatore. Gesù è, infatti, Figlio di Dio in quanto l‘eletto, un uomo superiore, ma pur sempre un uomo. Tutto il resto, resurrezione, ascensione, peccato originale e altro, viene dunque in secondo piano. L‘uomo crocifisso è, infatti, per Nietzsche, come già per Strauss e per l‘amico teologo Franz Overbeck, il prodotto di un‘interpretazione, che la prima comunità di credenti ha operato dopo la morte di Gesù. La divinizzazione dell‘umano si palesa, quindi, agli occhi di Nietzsche come il frutto di una pura rappresentazione mitica.