4. Dioniso e il Crocifisso: il Cristo nell‘ultimo Nietzsche
4.3 Gesù: ―l‘idiota‖
Non sempre la critica concorda sull‘influenza decisiva di Dostoevkij sull‘ultimo Nietzsche254. Comunque la definizione di Gesù come ―l‘idiota‖ da lui offerta nell‘Anticristo è un evidente richiamo all‘opera dell‘autore russo. Si può certamente porre a confronto la figura letteraria del principe Myškin con il ritratto che Nietzsche
254
Per un approfondimento del rapporto tra Nietzsche e Dostoevskij rimandiamo a W. A. Kaufmann, Nietzsche, Philosopher, Psycologist, Antichrist, Princeton University Press, Princeton 1950; C. A. Miller, Nietzsche’s “Discovery” of Dostoevskij, Nietzsche-Studien, Bd. 2, de Gruyter, Berlin 1973, pp. 202-257. Per un parere contrario alla tesi Kaufmann e Miller rimandiamo a P. Valadier, Nietzsche et la critique radicale du christianisme, Cerf, Paris 1974 [trad. it. di V. Alletti Petrucci, Nietzsche e la critica del cristianesimo, Edizioni Augustinus, Palermo 1991].
offre di Gesù. La connessione tra santità e follia è un motivo tipico della cultura russa, per non dire paolino. Il principe Myškin, evidente figura Christi, attraverso la malattia, l‘epilessia, e la sua innocenza fanciullesca, incarna l‘ideale di bellezza e purezza, colui che per avere tanto amato in questo mondo arriva alla follia. Malattia, epilessia e follia come forme di espressione del divino sono immagini che affascinano Nietzsche. Non dimentichiamo che la follia dionisiaca, la follia sacra e divina, è l‘elemento peculiare del culto di Dioniso. Follia e divino s‘incontrano nel
dionisiaco formando un connubio inscindibile. Nel principe Myškin Nietzsche
ritrova il tipo psicologico di Gesù, nel quale follia dell‘innocenza e divinità convergono per dare vita ad una figura ideale. Così, in polemica con Renan che usa l‘aggettivo impérieux [―imperioso‖] a proposito della psicologia di Gesù, Nietzsche scrive:
La ―buona novella‖ consiste precisamente nel fatto che non vi sono più contrasti; il regno dei cieli appartiene ai fanciulli; la fede che qui si rivela non è una fede acquistata con le lotte – esiste invece, è sin da principio, è, per così dire, una ingenuità infantile divenuta spirituale. Il fenomeno della pubertà ritardata, che resta allo stato latente nell‘organismo, è familiare almeno ai fisiologi come sintomo risultante dalla degenerazione. (A § 32 p. 41)
E‘ soprattutto l‘aspetto psicologico di Gesù ad interessare Nietzsche, il suo modo di affrontare l‘esistenza cosí simile a quello dei fanciulli. Il fanciullo ha un approccio nei confronti della vita totalmente diverso rispetto a quello degli adulti. Libero dal senso di colpa e dalla nozione di peccato, egli può vivere senza alcuno ostacolo quel sentimento di universale amicizia che è sentimento immediato del divino, al di là della nozione di individuo, e di persona: ―la grandezza dell‘uomo‖, afferma Zarathustra, ―è di essere un ponte e non uno scopo: nell‘uomo si può amare che egli sia una transizione [Ürbergang] e un tramonto [Untergang] (Z pref. § 4 p.
8). Gesù sa che l‘uomo non è uno ―scopo‖, bensí un ―ponte‖, un momento transitorio di quella zoé eterna che anima la natura. Il messaggio di Gesù non è dunque una dottrina, bensì una prassi, quella prassi che porta a sentirsi figli di Dio non nel senso tradizionale del termine, ma in un senso del tutto differente, come condizione eterna dell‘essere umano, nell‘essere umano:
Che cosa significa ―lieta novella‖? La vita vera, la vita eterna è trovata, - non viene promessa, esiste, è in voi: come vita nell‘amore, nell‘amore senza detrazioni o esclusioni, senza distanza. Ognuno è figlio d‘Iddio – Gesù non pretende assolutamente nulla per sé solo – ognuno, in quanto figlio di Dio, è eguale all‘altro […]. (A § 30 p. 38)
A questa prassi si oppone invece il cristianesimo tradizionale, quello di Paolo, un cristianesimo che si fa dottrina e legge, dalla quale scaturisce quella grande menzogna che è la morale a cui l‘Occidente è incatenato. L‘uguaglianza di tutti gli uomini affermata da Gesù ha fine nel momento in cui Gesù diventa un capro espiatorio, quando diventa ―il Crocifisso‖ per opera di Paolo e della prima comunità di credenti. Il capro espiatorio impone, infatti, il concetto di colpa universale: Cristo muore sulla croce come l‘innocente per redimere il peccato. Il cristianesimo autentico è invece un altro: ―esso non è legato a nessuno dei dogmi spudorati che si sono adornati del suo nome‖, scrive Nietzsche, ―non ha bisogno né della teoria del
Dio personale, né del peccato, né dell‘immortalità, né della redenzione, né della
fede‖ (NF VIII.2 p. 365). La fede di cui parla Gesù ―non inveisce, non biasima, non castiga, non si difende‖ (p. 367), ―non porta la spada‖ (ibid.)255: ―Cristo come «spirito libero»‖:
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Nei frammenti appena citati Nietzsche si rivolge polemicamente nuovamente contro Renan, il quale aveva definito Gesù come un eroe.
Questo ―lieto messaggero‖ morí come visse, come aveva insegnato; non per ―redimere gli uomini‖, ma per mostrare come si deve vivere. La pratica della
vita è ciò che egli ha lasciato in eredità agli uomini: il suo contegno dinanzi ai
giudici, agli sgherri […], a ogni specie di calunnia e di scherno – il suo contegno sulla croce. Egli non resiste, non difende il suo diritto, non fa un passo per allontanare da sé il punto estremo, fa anzi qualcosa di più, lo
provoca […]. (A § 35, p. 46)
Un aspetto rilevante dell‘innocenza di Gesù è secondo Nietzsche dato dal linguaggio con cui egli si esprime, un linguaggio simbolico:
Se capisco qualcosa di questo grande simbolista, capisco questo, che egli vedeva e ammetteva solo realtà interiori; che intendeva il resto (ogni cosa naturale, storica o politica) solo come segno e occasione di un simbolo – non come realtà, non come ―vero mondo‖. (NF VIII.2 p. 358)
In tal senso espressioni come ―figlio dell‘uomo‖, ―regno dei cieli‖ e ―Padre‖ non sono dunque da intendersi come riferimenti alla realtà, come invece afferma la tradizione cristiana, ma puri simboli: «il figlio dell‘uomo non è una persona concreta nella storia», scrive Nietzsche, «ma un ―fatto eterno‖, un simbolo psicologico non imprigionato nel tempo» (ibid.). Allo stesso modo «il ―regno di Dio‖ non è qualcosa che si attende: non ha un ieri e un dopodomani non giunge tra ―mille anni‖ – è l‘esperienza di un cuore; esiste ovunque e in nessun luogo…» (A § 34, p. 46). Il linguaggio simbolico di Cristo è il linguaggio dei fanciulli, quello che arriva direttamente alle cose. Cosí il senso del ―mangiare e bere dell‘ultima cena‖, il senso della transustanziazione non è da circoscriversi all‘evento rituale dell‘eucaristia durante la messa, ma da estendere ad ogni comunione di pane e vino tra gli uomini:
Il cristianesimo non ha capito l‘ultima cena: la communio attraverso la carne e la bevanda, che si transustanziano per via naturale in carne e sangue. Ogni
comunità è una comunità di sangue. Questa non è solo innata, ma anche si acquista. Chi mangia e beve con gli altri, rinnova il sangue attingendo alla stessa fonte, da entrare lo stesso sangue nelle sue vene. Uno straniero e magari un nemico che divida il nostro pasto (anche senza o contro la nostra volontà) viene perciò accolto, almeno per un certo tempo, nella comunità della nostra carne e del nostro sangue. (NF VIII.2 p. 318)
Il senso di questi simboli, rileva Nietzsche, tuttavia, può essere facilmente alterato e snaturato, perché ―in fondo non c‘è più nessuna realtà‖ (p. 332). ―Il pericolo di sbagliare su tali simboli‖ è, quindi, ―straordinario‖ (ibid.). In tal modo la Chiesa ha completamente alterato il senso del linguaggio simbolico di Gesù dando vita a ―adattamenti, falsificazioni, palinsesti, confusioni‖ (p. 333), che solo la critica razionalista ha smascherato nel loro essere ―favole‖ (ibid.): ―il cristianesimo sin dal principio‖, afferma Nietzsche, ―ha trasformato il simbolico in crudezze‖ (p. 320).
Il Gesù ritratto da Nietzsche negli ultimi scritti ha molti tratti in comune con la figura nietzschiana per eccellenza, Zarathustra. Nietzsche sembra in qualche modo riconciliare Gesù con Zarathustra, Gesù con Dioniso, separandolo dal Cristo di Paolo. Il Gesù dell‘ultimo Nietzsche è sicuramente tantum homo. La divinità che lui incarna è la divinità che ogni uomo incarna, la divinità della vita, e per questo egli muore. Nel Crocifisso paolino invece la divinità della vita è negata, sacrificata in nome di una colpa. Nella prassi di Gesù il peccato non c‘è, anzi è negato: Gesù supera la nozione ebraica di colpa per affermare ―il sentimento della divinità, dell‘uguaglianza a Dio‖ (p. 381). ―Nietzsche […]‖, scrive Karl Jaspers,
si avvale espressamente di Gesù per la sua propria posizione ―al di là del bene
e del male‖, per la sua amoralità nella lotta contro la morale: ―Gesù prese
266). ―Gesù diceva: che cosa importa a noi figli Dio della morte?‖ (VII, 108), ed espressamente: ―Dio come l‘Aldilà del bene e del male‖ (XVI, 379).256
Allo stesso modo nel 1922 Franz Brentano in Die Lehre Jesu und bleibende
Bedeutung257 (1922) [L’insegnamento di Gesù e il suo significato duraturo]
definisce Nietzsche come ―Nachahmer Jesu‖ [―imitatore di Gesù‖]. Alcuni hanno, infatti, visto negli ultimi biglietti scritti da Torino e firmati ―Dioniso‖ o ―il Crocifisso‖ una prova di questa identificazione di Nietzsche in Gesù. Rimane comunque il fatto che nel ritratto di Gesù dell‘ultimo Nietzsche scorgiamo alcuni tratti fondamentali della ―filosofia del mattino‖ di Zarathustra.
256
K. Jaspers, Nietzsche e il cristianesimo, p. 63. Le citazioni di Jaspers si rifanno all‘edizione delle opere curata dalla sorella Elisabeth Föster-Nietzsche [vedi Grossoktavausgabe Nietzsches Werke, XX voll., Naumann poi Kröner, Leipzig 1895-1926].
257
F. Brentano, Nietzsche als Nachahmer Jesu, in Die Lehre Jesu und bleibende Bedeutung, Meiner, Leipzig 1922.
II PARTE
CAPITOLO III
Rappresentare il Cristo