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E‘ ormai chiaro come un‘esperienza religiosa che si legittimi nella contrapposizione alla Chiesa o alle Chiese, e quindi nell‘emancipazione dal dogmatismo e dalle istituzioni ecclesiastiche, come quella della spiritualità tedesca del XVI e del XVII secolo, ponga in primo piano la dimensione interiore, rispetto a quella puramente esteriore delle cerimonie e dei sacramenti, per scoprire una nuova pietà che supera persino la distinzione tra le religioni rivelate. Così è evidente in Franck, in Weigel e in Böhme quando riconoscono la possibilità di salvezza anche al di fuori del cristianesimo. E‘ proprio in questi secoli, in cui Cristo è contrapposto a se stesso, prendendo, in tal modo, più vesti e più apparenze, che attraverso la via della spiritualità, mai del tutto legittimata dalla tradizione cristiana, ma ora più viva che mai, sia in ambito protestante che in quello cattolico, si aprono le porte dell‘universalizzazione della fede. La svolta si compie definitivamente dopo la fine della guerra dei Trent‘anni, agli albori dell‘Aufklärung. Da un lato assistiamo ad una religione ricondotta nell‘ambito dei limiti della ragione come dottrina morale, e, quindi, all‘idea di una religione naturale in cui le religioni storiche o rivelate debbano convergere, nello stesso tempo ad una religione concepita come esperienza interiore e, quindi, individuale. Il cristianesimo moderno si polarizza, quindi, nei due aspetti antitetici di religione impersonale, e, nello stesso tempo, di religione personale e interiore, assumendo un duplice volto, che si legittima soprattutto

nell‘estraneità nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche73. Sia l‘idea di una religione impersonale o naturale sia l‘idea di una religione individuale nascono, quindi, come ha osservato Blumenberg, dalla consapevolezza del fallimento del dogmatismo teologico nei confronti di un Dio ingannevole e incomprensibile alla luce della ragione umana. ―Privato dell‘insondabilità divina delle sue garanzie metafisiche per quanto riguarda il mondo‖, osserva Blumenberg, ―l‘uomo si costruisce un contromondo di razionalità e disponibilità elementari‖74

. Da qui hanno origine l‘ateismo e il deismo dell‘illuminismo europeo. Entrambi sono aspetti dello stesso fenomeno, ovvero dell‘―autorinnegamento speculativo dell‘egoismo antropologico‖75

.

Il deismo più radicale76, come l‘ateismo, prende vita dall‘esigenza di ricondurre nei limiti della ragione umana, per quel che è possibile, i contenuti della rivelazione, e, quindi, la fede, di fronte al palesarsi dell‘opacità di Dio:

E‘ tutto un enigma, un indovinello, un mistero inesplicabile – osserva David Hume nel corollario alla Natural History of Religion (1757). Il risultato della nostra più accurata analisi sull‘argomento è il dubbio, l‘incertezza, la sospensione del giudizio. Ma tale è la fragilità dell‘umana ragione e tale l‘irresistibile contagiosità delle opinioni, che anche questo dubbio ponderato potrebbe a stento resistere, se non ampliassimo la nostra visuale e, opponendo una superstizione all‘altra, non le mettessimo a confronto; mentre noi stessi,

73

La questione dei ―cristiani senza Chiesa‖ è stata ampiamente indagata da L. Kolakowski, in Świadomość Religina i więź kościelna (1965) [trad. fr. par A. Poster, Chrétiens sans Elise, Gallimard Paris 1969]. 74 H. Blumenberg, La legittimità, p. 183. 75 Ivi, p. 187. 76

Più che a Locke, considerato erroneamente il precursore del deismo, e a Hume, per deismo radicale intendiamo quei pensatori, che come John Toland e a Matthew Tindal, tentano di purificare il cristianesimo dagli elementi irrazionali come da quelli sovrarazionali, ovvero da quelli che trascendono i limiti della ragione, ma non la negano.

durante l‘infuriare della contesa, ci rifugiamo felicemente nelle calme, sebbene oscure, regioni della filosofia77.

Il rifugio è, dunque, la filosofia stessa, in quanto territorio privilegiato della ragione umana. In tal modo la filosofia si rende autonoma nei confronti della teologia partendo appunto dalla stessa religione. La filosofia intesa come riflessione sulle realtà date è anche riflessione sull‘uomo e sul suo agire in rapporto ad un modello, ad un‘idea di perfetta moralità. In tal senso la filosofia approda ad una nuova Religionsphilosophie nella forma illuministico-liberale, che cerca di comprendere la religione sul terreno dell‘esperienza e della ragione. Il passaggio da una filosofia della religione tradizionalmente intesa come ermeneutica ad una filosofia della religione illuministico-liberale avviene in specifico nel Tractatus

theologicus politicus di Spinoza. Spinoza radicalizza e critica la tradizione ebraico-

cristiana per risolvere la religione ―nella semplicità dell‘animo e nell‘onestà‖78 . Tutto ciò non implica, tuttavia, solo una riduzione della religione a religione razionale, cosa che al contrario avviene nei deisti più radicali come John Toland e in Matthew Tindal79, ma anche l‘acquisizione di una piena consapevolezza dei limiti della ragione posta di fronte alla rivelazione. John Locke, anticipando ciò che affermerà Kant, si fa promotore della coscienza dei limiti della ragione umana nella comprensione di Dio, nonostante sia un empirista. Gli elementi sovrarazionali della religione, i miracoli ad esempio, sono, secondo Locke, segni offerti da Dio all‘unico

77

D. Hume, The Natural History of Religion (1757) , a. c. di A. Wayne Colver e J. V. Price, Clarendon Press, Oxford 1976 [tr. it. di A. Graziano, Storia naturale della religione, in La religione naturale, Editori Riuniti, Roma 1995, p. 164].

78

―Religio […] in animi simplicitate et veracitate constitit‖ [B. Spinoza, Tractatus theologicus politicus, cap. VII, p. 324-326].

79

Vedi J. Toland, Christianity not Mysteroius (1696), Garland Publishing, New York 1978; Id. Letter to Serena (1704), Taylor & Francis, London 1976; M. Tindal Christianity as old as the Creation (1730), Garland Publishing, New York 1978.

animale razionale che è l‘uomo: l‘essere coscienti della nostra finitezza è, quindi, già una dimostrazione dell‘esistenza di Dio80

.

Tuttavia, se la religione deve essere ricondotta nei limiti della ragione, come dimostrerà in seguito Kant, essa si dà essenzialmente come praxis. La religione razionale è, quindi, una dottrina morale, che privilegia le norme comportamentali, e, quindi, l‘uomo. Al contrario, la fede, in quanto esperienza interiore travalica la ragione, così come già affermava Hume, per aprirsi boehmianamente all‘immaginazione, non intesa come facoltà umana, ma come essenza stessa dell‘uomo, come individualità, come Io. In tal modo si arriva ―ad una comprensione di Dio quale condizione suprema della soggettività umana e della coscienza del mondo‖81

fino alla sostituzione della concezione teologica di Dio come soggetto assoluto con la soggettività stessa dell‘uomo. Questa nuova religiosità, che tende a sostituire l‘Io a Dio, è ampiamente espressa nell‘Émile di Rousseau dalla Vicario savoiardo, per il quale ―un cuore giusto è il tempio di Dio‖82

:

Servo Dio nella semplicità del mio cuore. Non cerco di sapere ciò che importa alla mia condotta. Per quanto riguarda i dogmi, che non influenzano né le azioni né sulla morale, e per i quali tante persone si tormentano, non me ne do alcuna pena. Guardo tutte le religioni particolari come delle istituzioni salutari che prescrivono in ciascun paese una maniera uniforme di onorare Dio

80

L‘idea che l‘esistenza di Dio possa essere colta dalla coscienza solo nel momento in cui essa è consapevole del proprio essere finito ritornerà in Kant, in Fichte e in Schleiermacher.

81

W. Pannenberg, Theologie und Philosophie. Ihr Verhältnis im Lichte ihrer gemeinsamen Geschichte, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1996 [tr. it. di Giuliano Sansonetti, Teologia e filosofia. Il loro rapporto alla luce della storia comune, Queriniana, Brescia 1999, p. 125].

82―[…] un coeur juste est le vrai temple de la Divinité […]‖ [J. Rousseau, Émile, l. IV, in Oeuvres de Rousseau, Bibliothèque de la Pléiade, t. IV, p. 631, trad. nostra].

attraverso il culto pubblico […]. Le considero tutte buone quando si serve convenientemente Dio. Il culto essenziale è quello del cuore […]83.

Il tempio di Dio è l‘Io, l‘interiorità, il soggetto che attraverso Dio si autodetermina. Da un lato, quindi, abbiamo una religione come istituzione che disciplina il culto di Dio, quella che i deisti inglesi definiscono come religione storica o rivelata, dall‘altro una religione del cuore, l‘esperienza della fede, che travalica i limiti della storicità, per abbracciare la dimensione interiore dell‘individuo. La nozione romantica di Gemüt [animo, cuore, ecc.], come luogo intimo della rappresentazione e delle idee, spesso associata o identificata con lo stesso spirito (Geist), è strettamente legata alla concezione moderna della fede, come evento privato, individuale. Siamo di fronte alla fondazione di un‘ontologia religiosa, attraverso la quale la prima modernità legittima l‘individuo e la sua sensibilità, e, quindi, la soggettività.

Georges Gusdorf84, nel descrivere la religiosità del secolo dei Lumi, estende il concetto di pietismo all‘intera spiritualità moderna. All‘interno del pietismo egli, quindi, comprende voci talvolta anche inconciliabili, da Pascal a Fénelon, da Bayle fino a Rousseau e Kant. Questa categoria, che Gusdorf riconosce come carattere specifico del cristianesimo dalle origini all‘età moderna, permette di comprendere, anche se in maniera forse un po‘ limitata, all‘interno della nuova spiritualità non solo movimenti spirituali istituzionalizzati, come il pietismo di Spener e il quietismo

83

―Je sers Dieu dans la simplicité de mon cœur […]. Je ne cherche à savoir que ce qui importe à ma conduite. Quant aux dogmes, qui n‘influent ni sur les actions ni sur la morale, et dont tant de gens se tourmentent, je ne m‘en mets nullement en peine. Je regarde toutes les religions particulières comme autant d‘istitutions salutaires qui prescrivent dans chaque pays une manière uniforme d‘honorer Dieu par un culte public […]. Je les crois toutes bonnes quand on y sert Dieu convenablement. Le culte essentiel est celui du cœur […]‖ [ivi, p. 627].

84

G. Gusdorf, Dieu, la nature, l’homme au siècle des lumières, in Les sciences humaines et la pensée occidentale, vol. V, Payot, Paris 1972.

di ispirazione cattolica, o il puritanesimo e il metodismo, ma anche quelle esperienze non riconducibili ad uno specifico ambito confessionale85. Il pietismo, così inteso, si pone come custode del messaggio originario di Cristo, la religio Christi, contro gli attacchi del dogmatismo ecclesiastico. Il cristianesimo storico fondato da Paolo è il nemico contro il quale si scaglia questa spiritualità86. L‘―internazionale du coeur‖ si traduce nella ricerca della verità, in tutta la sua pienezza, attraverso la dimensione interiore, al di fuori delle soluzioni offerte dall‘ortodossia ecclesiastica: da un lato una ricerca spirituale svolta dal singolo nell‘interiorità, alla scoperta della propria soggettività, dall‘altro una pratica della ragione volta all‘obbedienza dei principi morali.

L‘esito principale della spiritualità di matrice pietistica è sicuramente un rafforzamento dell‘idealizzazione della figura di Cristo. Come già in Boehme, Cristo è l‘archetipo (Urbild) della perfezione umana, dell‘uomo inabitato da Dio, che si fa modello (Vorbild) in Gesù di Nazareth:

Il redentore – affermerà Schleiermacher - è uguale a tutti gli uomini in forza della sua identità della natura umana, è differente da tutti gli uomini per il perenne potenziale della coscienza di Dio, che costituiva in lui un vero e proprio essere di Dio87.

L‘unità tra Cristo e Gesù di Nazareth di conseguenza tende in parte a dissolversi. Gesù è solo una manifestazione storica del Cristo, che, tuttavia, si dà eternamente,

85

―Néanmoins, et faute d‘un mot plus approprié, le terme «piétisme», dans sa signification étendue et en dehors de tout égoïsme confessionnel, paraît pouvoir s‘appliquer à un mouvement de spiritualité vivante, en lequel communient, sans distinction d‘étiquette religieuse, nombre d‘Européens, dont certains, parmi les plus représentatif, sont suspect à leurs orthodoxies d‘origine, et parfois déliés de toute allégeance à une quelconque église établie‖ [ivi, p. 61].

86

Ritroviamo l‘idea di un cristianesimo senza Cristo o storico che è altro dal reale messaggio di Cristo sia in Tolstoj che in Nietzsche, ma ancora prima in Fichte.

87

F. D. E. Schleiermacher, Die Glaubenslehre (1831), h. von M. Redeker, De Gruyter, Berlin 1960 [qui nella trad. it. di S. Sorrentino, La dottrina della fede, Paideia, Brescia 1981, p. 194].

come già affermava Böhme, in ogni uomo come incarnazione del Lógos divino. Sta all‘individuo realizzare l‘uomo nuovo o uomo interiore nella pienezza del

Lógos, che è luce, che è Cristo stesso. All‘interno di una religione in cui non più

Dio, ma l‘uomo divinizzato è l‘asse portante, Gesù è, allora, un modello, un maestro di morale a cui l‘uomo deve conformarsi. Da tali premesse ha origine il ―Gesù storico‖ che Albert Schweitzer cosí acutamente ha definito come una creatura dell‘immaginario moderno, una ―figura che il razionalismo ha costruito, il liberalismo ha ravvivato e la teologia moderna ha rivestito storicamente‖88. Come affermerà Strauss, riferendosi però alla prima comunità cristiana, agli occhi della spiritualità moderna l‘idea Christi s‘incarna non solo in Gesù di Nazareth, ma potenzialmente in tutti gli uomini: l‘universale che si realizza nell‘individuale.