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4. Dioniso e il Crocifisso: il Cristo nell‘ultimo Nietzsche

4.2 Gesù contro Paolo

Il ―cristianesimo‖ è qualcosa di fondamentalmente diverso sa ciò che il suo fondatore fece e volle.

NF VIII.2 II [294]

Gli ultimi momenti della vita di Nietzsche, che precedono la follia, vedono il filosofo rivedere le proprie posizioni a proposito della figura di Gesù, e un acuirsi del risentimento nei confronti del cosiddetto cristianesimo storico. Le ragioni di questo cambiamento, com‘è stato provato dall‘edizione critica delle opere di Nietzsche, sono da ascriversi alla lettura di un saggio di Tolstoj pubblicato in Francia nel 1885, Ma religion253 (1885) [La mia religione], e alla folgorante scoperta delle opere principali di Dostoevskij, tra cui Idiot (1869) [L’idiota] e Besy (1871) [I demoni]. Da queste letture Nietzsche tra una nuova visione del cristianesimo e del rapporto che esso intrattiene con il presunto fondatore.

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Le tesi esposte da Tolstoj in Ma religion sul cristianesimo non sono certamente così innovative rispetto al dibattito critico di matrice razionalistica della fine del Settecento e degli inizi dell‘Ottocento, tuttavia, colpiscono Nietzsche, il quale si ritrova pienamente nella visione critica tolstojana del cristianesimo paolino. Così, all‘interno di Der Antichrist (1887) [L’Anticristo] e nei frammenti di quello stesso periodo, ritroviamo posizioni analoghe a quelle espresse da Tolstoj nei confronti della Chiesa e del cristianesimo paolino. Nietzsche, come già Tolstoj, distingue ora la figura di Gesù dal cristianesimo, vale a dire il fondatore dalla religione che avrebbe fondato. Non è infatti Gesù l‘ideatore del cristianesimo, bensí l‘apostolo Paolo. Paolo diventa il bersaglio privilegiato delle critiche rivolte da Nietzsche nei confronti del cristianesimo e del suo messaggio. Se Gesù proponeva una superamento della legge mosaica, al contrario, Paolo riporta il cristianesimo in seno all‘ebraismo. In tal modo il cristianesimo di Paolo non corrisponde al vero messaggio di Cristo. Così Nietzsche ricostruisce ―la storia autentica del cristianesimo‖:

Già la parola ―cristianesimo‖ è un equivoco , in fondo è esistito un solo cristiano e questi morí in croce. Il ―Vangelo‖ morì sulla croce. Ciò che a cominciare da quel momento è chiamato ―Vangelo‖, era già l‘antitesi di quel che lui aveva vissuto: una ―cattiva novella‖, un Dysangelium. […] In realtà

non sono esistiti affatto dei cristiani. Il ―cristiano‖, quel che da due millenni è

chiamato cristiano, non è null‘altro che un fraintendimento psicologico. (A n. 39 p. 50)

Non esiste un vero cristiano, così come è concepito originariamente da Gesù, né i Vangeli possono dirsi testimonianze autentiche di quel messaggio perduto. Essi sono il frutto di un‘ermeneutica dell‘immagine della croce, totalmente estranea alla predicazione di Gesù:

La sorte del Vangelo fu decisa con la morte – restò sospesa alla ―croce‖ …. Soltanto la morte, questa morte inattesa e obbrobriosa, soltanto la croce, che in generale era riservata esclusivamente alla canaglia – soltanto questo atrocissimo paradosso portò i discepoli di fronte al vero enigma: ―chi era

costui? Che significava tutto questo?‖ […] In lui tutto doveva essere

necessario, tutto doveva avere un senso, una ragione, una suprema ragione […]. Ma i suoi discepoli erano lontani dal perdonare questa morte – il che sarebbe stato evangelico nel più alto senso [….]. (A n. 40 pp. 52-53)

Come il giovane Hegel dello Spirito del cristianesimo e il primo Strauss, così Nietzsche descrive i momenti cruciali della formazione della prima comunità cristiana dopo la morte di Gesù. La turpissima mors di Gesù, l‘attesa messianica del popolo ebraico, il vuoto lasciato dall‘improvvisa scomparsa del capo della comunità non sono, tuttavia, secondo Nietzsche, i motivi principali, contrariamente a ciò che avevano affermato Hegel e Strauss, per cui gli apostoli hanno idealizzato e divinizzato l‘uomo Gesù, bensí la ―vendetta‖ (p. 53), il rancore provato nei confronti dei farisei. Ma proprio questa ―ritorsione‖ dalla quale prende vita l cristianesimo, osserva Nietzsche, è fondamentalmente anticristiana, antievangelica. E‘ cosí che nasce il Cristo dei Vangeli, un Cristo, che, però, non ha nulla a che vedere con Gesù, colui che si opponeva all‘ebraismo dei farisei: ―in quel preciso momento vennero trasferiti nel tipo del maestro tutto il disprezzo e l‘acredine contro i farisei e i teologi – e con ciò si fece di lui un fariseo e un teologo!‖ (ibid.). Paolo è allora ―il genio dell‘odio, nella visione dell‘odio, nella spietata logica dell‘odio‖ (A n. 42 p. 55). A lui va addebitata la formulazione dei principali predicati cristologici, in primis il più aberrante agli occhi di Nietzsche, il Cristo come capro espiatorio:

Fu allora che emerse un assurdo problema: ―come poté Dio permettere questo!‖. A questo la turbata ragione della piccola comunità trovò una risposta di un‘assurdità addirittura spaventosa: Dio dette uo figlio per la remissione dei

peccati, come vittima. Fu di punto in bainco la fine del Vangelo! Il sacrificio espiatorio, e proprio nella sua forma più ripugnante e più barbara, il sacrificio

dell’innocente per i peccati dei rei! Quale raccapricciante paganesimo! (A. n.

41 p. 54)

Ritorniamo dunque alla contrapposizione tra Dioniso e il crocifisso, intendendo per crocifisso il Cristo dei predicati dogmatici. L‘immagine del capro espiatorio, secondo Nietzsche, impone l‘idea della colpa, una colpa che viene espiata da un singolo per tutti. Il dolore del mondo è, quindi, determinato da una colpa, da un peccato, il peccato originale. Gesù, afferma ora Nietzsche, invece «aveva abolito precisamente la nozione di colpa […] ha negato ogni frattura tra Dio e uomo, ha

vissuto questa unità di Dio e uomo come la sua ―lieta novella‖» (ibid.). Il concetto di

colpa rinvia immediatamente all‘infinito l‘incontro tra il divino e l‘umano, perché Dio diventa inattingibile, un ―Dio degenerato fino a contraddire la vita, invece che esserne la trasfigurazione e l‘eterno sì‖. La colpa, il sacrificio espiatorio e l‘immagine cristiana del crocifisso negano Dioniso, quale simbolo dell‘eterna zoé della natura, in cui nasce e muore la vita terrena (bios).