• Non ci sono risultati.

L‘idea Christi simbolo dell‘identità uomo-Dio: Ludwig Feuerbach

8. Idea Christi: cristologia idealista e cristologia filosofica

8.5 L‘idea Christi simbolo dell‘identità uomo-Dio: Ludwig Feuerbach

In Teologia e filosofia Wolfhart Pannenberg167 individua l‘inizio della svolta antropologica della filosofia non nel deismo settecentesco, né in Kant o in Fichte, bensì nella reazione critica della sinistra hegeliana al sistema dello stesso Hegel. Tuttavia, Locke, Hume, Kant e Fichte, osserva Pannenberg, hanno posto le premesse perché l‘uomo fosse l‘unico punto di riferimento per la riflessione, pur rimanendo ancorati ad una concezione ancora eminentemente teocentrica. L‘inintelligibilità del Dio ingannevole è per Kant, come per Fichte e Schleiermacher il segno della supremazia del divino sull‘umano, della dipendenza del finito dall‘infinito. L‘uomo, afferma Fichte, può concepire Dio se non come ordine morale del mondo. La ragione non può dunque pervenire alla conoscenza del divino, se non kantianamente sul piano della ragion pratica e della morale. Hegel, al contrario, tenta di risolvere il dissidio tra la ragione umana e il divino, elaborando l‘idea di un doppio vincolo che lega l‘uomo a Dio, senza che l‘uomo, in quanto essere finito, si senta partecipe dell‘infinito mediante il sentimento di assoluta dipendenza da esso: la scissione tra finito e infinito, tra natura e spirito è intesa da Hegel come l‘alienazione di Dio da se stesso. Solo prendendo la forma sensibile, e, quindi, facendosi uomo Dio ritorna a se stesso, riconciliando natura e spirito, finito e infinito, l‘umano e il divino. Farsi uomo significa, tuttavia, assumere la finitezza e, quindi, anche ciò che la caratterizza, vale a dire la morte. Dio muore in croce, e, nella sua morte l‘infinito si nega nel finito ricongiungendosi con se stesso, mentre il finito si glorifica nell‘infinito. L‘esistenza di Dio ha quindi un vincolo di dipendenza rispetto a quella dell‘uomo: solo nell‘incarnazione, infatti, Dio si riconcilia con se stesso. Se

167

all‘interno di questo processo, che è la storia stessa di Dio, al posto del termine Dio poniamo quello di uomo, perveniamo alle medesime conclusioni di Feuerbach, e, quindi, alla svolta antropologica del pensiero moderno. L‘uomo rinuncia a Dio per porre se stesso come unico oggetto della riflessione, partendo dall‘idea che Dio non sia che una proiezione immaginaria della stessa essenza assoluta [absolute Wesen] dell‘uomo. Nell‘Essenza del cristianesimo scrive Feuerbach

La religione, almeno quella cristiana, è il rapporto dell’uomo con se stesso, o più esattamente, con la sua essenza [Wesen] (e questa soggettiva), ma tale rapporto con la sua essenza è come un‘essenza diversa da lui. L’essenza divina

non è altro che l‘essenza umana o, meglio, l’essenza dell’uomo purificata,

liberata dai limiti dell‘individuo, obiettivata, cioè intuita e adorata come

un’altra essenza, da lui distinta, particolare – tutte le determinazioni

dell‘essenza divina sono perciò determinazioni umane168

.

Con il termine Wesen Feuerbach intende fondamentalmente l‘essenza universale [absolute Wesen] dell‘uomo, che è altro dall‘uomo come individualità. L‘essenza umana è l‘essenza del genere [Gattung], dell‘umanità, ed è questa essenza che distingue l‘uomo dall‘animale. L‘uomo a differenza dell‘animale ha coscienza di sé, intesa non come coscienza della propria individualità, ma come coscienza dell‘infinito, come coscienza del genere

La coscienza in senso stretto o proprio e la coscienza dell’infinito si

identificano. Una coscienza limitata non è coscienza; la coscienza è

essenzialmente di natura infinita. […] In altri termini: nella coscienza dell‘infinito l‘ente cosciente ha come oggetto solo l‘infinità della sua propria

essenza (p. 26).

168

L. Feuerbach, Das Wesen des Christentums (1841), hrsg. von W. Schuffenhauer, im Gesammelte Werke, Bd. V, Akademie-Verlag, Berlin 1984 [trad. it. di F. Tomasoni, L’Essenza del cristianesimo, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 38].

La religione nasce, quindi, dalla proiezione della perfezione e dell‘infinità che caratterizzano il genere umano su un‘entità separata, Dio. L‘idea cristiana della

Menschwerdung Gottes ha, appunto, per Feuerbach il merito di chiarire la realtà

ultima del divino come frutto dell‘immaginazione umana. Se per Hegel la religione cristiana riconcilia l‘uomo con Dio come ritorno di Dio a sé stesso, in Feuerbach, invece, essa disvela l‘identità di essenza divina e essenza umana. Il panteismo positivo attribuito da Feuerbach a Hegel consiste nella realizzazione dell‘identità tra Dio e mondo: ―l‘essenza divina‖ è intesa da Hegel, secondo Feuerrbach, ―non come un‘essenza distinta dal mondo, ultraterrena, celeste, ma come un‘essenza reale, identica al mondo‖169

. Tuttavia Hegel rimane ancora ancorato ad una concezione che distingue ragione divina e ragione umana. Feuerbach intende, invece, rovesciare il panteismo di Hegel in ateismo, sostituendo al termine Dio il termine uomo: ―la coscienza di Dio è l‘autocoscienza dell‘uomo, la conoscenza di Dio l‘autoconoscenza dell‘uomo‖ (Wesen, p. 15). Il concetto cristiano di

Menschwerdung Gottes diventa per Feuerbach la prova più autorevole di tale verità.

L‘idea di incarnazione nell‘immagine dell‘Uomo-Dio disvela il carattere illusorio dell‘idea di Dio, e l‘identità dell‘essenza divina con l‘essenza del genere:

L‘incarnazione – scrive Feuerbach – non è altro che l‘apparire effettivo, sensibile della natura umana di Dio. […] Se nell‘incarnazione si pone e si considera come prioritario il Dio, fattosi uomo, essa appare certamente come un evento inatteso, stupefacente, meraviglioso, misterioso. Tuttavia, il Dio

fattosi uomo è soltanto l‘apparizione dell‘uomo fattosi Dio che sta alle spalle della coscienza religiosa; infatti l‘abbassarsi di Dio all‘uomo è

169

L. Feuerbach, Sämtliche Werke, hrsg. von W. Bolin und F. Jödl, II Bd., Bad Cannstatt, Stuttgart 1959, p. 379.

necessariamente preceduto dall‘innalzarsi dell‘uomo a Dio. Prima che Dio diventasse uomo, l‘uomo era già in Dio, era già Dio stesso. (p. 61)

La Menschwerdung Gottes, in quanto prova dell‘illusorietà dell‘idea di Dio, assume anche un ruolo decisivo all‘interno della storia dell‘uomo. Lo sviluppo dialettico dello spirito o della ragione, così come viene descritto da Hegel nella

Fenomenologia dello spirito e nelle Lezioni sulla filosofia della religione, inteso

come il processo per cui Dio si aliena da sé, per poi, attraverso l‘incarnazione, e, quindi, attraverso l‘uomo, tornare a se stesso, in Feuerbach diviene il processo per cui l‘uomo, alienatosi nell‘immagine di Dio, torna a se stesso. La rivelazione dell‘identità Uomo-Dio è, dunque, contenuta nell‘idea di incarnazione. Solo il cristianesimo, rispetto alle altre religioni, assume il valore di religione assoluta, in quanto disvela il meccanismo rappresentativo con cui l‘homo religiosus immagina l‘essenza assoluta del genere come Dio. L‘idea cristiana di Dio come il Dio dell‘amore è, secondo Feuerbach, la riprova del proprio asserto:

In questo si fonda l‘esaltante impressione dell‘incarnazione: l‘essenza suprema, priva di bisogni si umilia, si abbassa per me. Perciò in Dio compare la mia propria essenza; io ho valore per lui; l‘importanza divina della mia essenza mi si rivela. Come del resto – si chiede Feuerbach – si potrebbe maggiormente esprimere il valore dell‘uomo se non affermando che Dio diventa uomo per l‘uomo, che l‘uo è fine ultimo, l‘oggetto dell‘amore divino? L‘amore di Dio per l‘uomo è una determinazione essenziale dell‘essenza divina: Dio è un Dio che ama me, l’uomo in generale. (p. 68)

L‘incarnazione, in tal modo, si dà essenzialmente come atto d‘amore dell‘uomo per se stesso. Il Dio cristiano è l‘ ―essenza del cuore‖ umano che si riconcilia con sé, osserva Feuerbach, mentre il Dio delle legge è la coscienza umana alienata da sé. Per questo, come già Hegel negli scritti giovanili, Feuerbach può contrapporre l‘idea

di un Dio d‘amore alla concezione kantiana di un Dio come ordine morale, e, quindi, come legge, nel quale l‘essenza umana è in realtà scissa da se stessa. Il Cristo, l‘Uomo-Dio, è, allora, l‘emblema di questa ―essenza del cuore‖ umano che riconcilia l‘uomo con se stesso, dell‘amore. ―Dio come Dio è ancora l‘animo chiuso in sé, nascosto‖, afferma Feuerbach, ―soltanto Cristo è l‘animo o il cuore dischiuso,

aperto, oggettivo a se stesso‖ (p. 160).

Il concetto di incarnazione in Feuerbach è essenzialmente un tutt‘uno la figura del Cristo. L‘idea Christi è l‘idea dell‘incarnazione, l‘idea che Dio si fa uomo, che l‘uomo alienato torna a se stesso:

Cristo è l‘immagine prima, il concetto vivente di umanità, il compendio di tutte le perfezioni morali e divine, è l‘uomo puro, divino, senza peccato, con l‘esclusione di tutto ciò che è negativo e imperfetto, è il concetto universale di uomo, ma non riguardato come la totalità della specie, dell‘umanità, bensí immediatamente come un individuo, come una persona.

Il riconoscimento dell‘identità uomo-Dio si attua nell‘immagine del Cristo, in modo tale che egli, in quanto ―coscienza del genere‖ (p. 279), rappresenta il genere non più come un concetto astratto, come invece avviene nell‘idea di Dio, ma come individualità vivente, come persona. Tuttavia il Cristo come persona è altro dal Cristo come individuo storicamente vissuto, esso è, invece, ―l‘immagine sotto la quale il genere viene inculcato nel popolo come legge della sua vita, la coscienza del genere stesso‖ (ibid.). Il Cristo di Feuerbach è solo il Cristo ideale, nel quale si realizza l‘idea dell‘identità Uomo-Dio, un simbolo, o, per meglio dire, un‘allegoria mediante la quale la religione rappresenta il senso dell‘essenza divina, il suo essere unicamente umana:

Soltanto in Cristo perciò si realizza il supremo desiderio della religione, si rivela il mistero del sentimento religioso: si rivela però nel caratteristico

linguaggio allegorico della religione. In Cristo infatti si fa manifesto l‘essere di Dio. A questo riguardo si ha il pieno diritto di definire la religione cristiana la religione assoluta, perfetta. Che Dio, che in sé non è altro che l‘essere dell‘uomo, venga anche a realizzarsi come tale, venga oggettivato come uomo, è la meta della religione.

Cristo è dunque paolinianamente ―l‘immagine del Dio invisibile‖, intendendo per ―Dio invisibile‖ l‘animo umano alienato che supera la propria alienazione e perviene alla rappresentazione:

Cristo è l’identità di cuore e fantasia. In questo si differenzia il cristianesimo dalle altre religioni: mentre in esse cuore e fantasie divergono, nel cristianesimo coincidono. Qui la fantasia non vaga attorno, lasciata a se stessa; essa segue l‘impulso del cuore; descrive un cerchio il cui centro è l‘animo. […] Questa allenza della libertà della fantasai con la necessità del cuore è Cristo. (p. 164)

L‘incarnazione è il farsi immagine, il rivelarsi dell‘essenza divina come unicamente umana. Rivelazione e incarnazione sono, quindi, per Feuerbach un

unicum nel quale la verità dell‘uomo si manifesta, si palesa. Il Cristo è, allora,

―l‘onnipotenza della soggettività, il cuore redento da tutti i vincoli e le leggi della natura, l‘animo concentrato soltanto e unicamente su di sé con l‘esclusione del mondo‖ (p. 166).

L‘influenza della parte conclusiva del Leben di Strauss è qui evidente. Feuerbach sembra, infatti, voler proseguire idealmente il discorso lasciato aperto da Strauss nella Schlussabhandlung. La nozione di Gattung associata all‘idea Christi è diretta eredità del Leben del 1835. Tuttavia, il concetto di incarnazione di Dio e il Cristo come idea dell‘Anthropos universale in Strauss, non hanno ancora assunto quel senso radicale che, invece, Feuerbach gli attribuisce. Dio per Strauss, come per

Hegel, è ancora Dio. Feuerbach, al contrario, rivoluziona il senso dell‘incarnazione e dell‘immagine dell‘uomo-Dio, attribuendole come unico significato l‘identità tra l‘uomo e Dio come autocoscienza del genere. Il problema del Gesù storico se per Strauss è obsoleto, mentre per Feuerbach non ha ragione di essere.

8.6 L’Uomo-Dio come “paradosso”: la cristologia di Kierkegaard, tra rottura