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Criteri della traduzione e del commento

AENIGMATA TATUINI

III. Aenigmata Tull

III.1 Criteri della traduzione e del commento

Della raccolta degli Aenigmata Tullii esiste una sola traduzione in lingua moderna, quella tedesca di Karl Minst, approntata per l’edizione Glorie. Come tutte le traduzioni, quella di Minst presenta pregi e difetti che non è il caso adesso di elencare. La scelta di proporre una traduzione in italiano è legata alla convinzione che l’interesse e la fruibilità di testi enigmatici passi in primis per la loro comprensibilità. Trattandosi di testi antichi, dal linguaggio difficile e disordinato, è a mio avviso arduo studiarli senza una mediazione, perché si corre inevitabilmente il rischio che testi di questo genere, che negli studi non sono mai stati corredati di commento, finiscano per essere dimenticati. Con questa traduzione ho cercato di rendere conto di sensi spesso oscuri dell’originale latino, cercando, nei limiti del possibile, di rispettare la ritmica e il tono dell’originale, consapevole che, talvolta, il ritmo è sacrificato alla necessità di rendere comprensibile il testo, e viceversa. Omissioni, libertà e bizzarrie sono la traccia del fatto che, purtroppo o per fortuna, non esiste una corrispondenza perfetta tra una lingua e l’altra, specialmente tra una lingua antica (probabilmente artificiosa) e una lingua moderna, pur parenti come l’italiano e il latino. È inoltre evidente che, se per tradurre bene un poeta ci sarebbe bisogno di un altro poeta, per tradurre bene la poesia enigmistica latina altomedievale servirebbero contemporaneamente un latinista, uno storico, un poeta e un detective. Non potendo fregiarmi altro che del titolo di studiosa, le rispettive mancanze saranno certo palesi in alcuni punti. Per dirla come Umberto Eco, la traduzione di un testo comporta un’ipotesi sui mondi possibili che esso rappresenta: se un testo “è una giungla dove il parlante indigeno talora assegna per la prima volta un senso ai termini che usa, e questo senso potrebbe non corrispondere al senso che gli stessi termini potrebbero assumere in un altro contesto”, 148 il testo enigmistico prevede inoltre già in partenza la consapevolezza che il significato cui si fa riferimento sarà altro rispetto al senso (o ai molteplici possibili sensi) comune. I “mondi possibili” messi in campo in una raccolta enigmistica sono quelli dati dal contesto, talvolta oscuro o addirittura incomprensibile.

Lo sforzo in tal caso deve essere molteplice: non si può tradurre bene se non si capisce bene di cosa si tratta, e non si può capire di che parla un testo enigmistico se non si svelano, ad uno ad uno, gli indizi che lo compongono, cercando di decifrarli. Per questo motivo si è ritenuto indispensabile approntare un commento sistematico alla raccolta degli Aenigmata Tullii, che finora ne è stata priva. L’assenza di commento puntuale per testi del genere ha sicuramente contribuito alla loro oscurità, il che ha avuto come conseguenza, a lungo andare, un oblio inevitabile. Come per le altre raccolte mediolatine e bizantine, fatta eccezione per l’opera di Simposio, e per la raccolta di Aldelmo, gli editori si sono normalmente mantenuti nel riserbo. Evitare di commentare, oltre che di tradurre, nella maggior parte dei casi, parrebbe da considerarsi “una sorta di scappatoia da parte dell’editore, che si nasconde dietro il testo (...) senza fornire quel particolare tipo di attenzione che un indovinello necessariamente richiede”.149

Lo scopo di questo lavoro era principalmente quello di fornire un contesto ed una chiave di lettura a questa raccolta, spesso criticata dagli studiosi per i barbarismi della lingua, del metro, delle soluzioni poetiche, quanto invece importante per lo studio del genere dell’enigma nel periodo altomedievale. Il problema dell’interpretazione di questi testi è legato sia alla comprensibilità del testo in sé, sia alla conoscenza dell’oggetto enigmatico, che, vivendo noi nel ventunesimo secolo, inevitabilmente viene meno: se un enigma medievale tratta della tavola, non è troppo difficile dare conto delle componenti che vengono descritte enigmaticamente. Invece, se come soluzione troviamo un oggetto antico, come, mettiamo, la lucerna a olio, che non ha più parte nell’immaginario moderno perché non viene più usata, interpretare l’indovinello sarà più difficile. Per non parlare poi degli enigmi senza soluzione, che rappresentano una sfida ancora più ardua: ci costringono ad immaginare qualcosa che forse, nella nostra vita di tutti i giorni, non abbiamo mai visto né usato, ma che magari era un comunissimo strumento del VII o dell’VIII secolo, il cui nome è lì, dietro l’angolo, e per noi lettori moderni è quasi inaccessibile. Da qui il valore della raccolta come testimonianza diretta di una cultura materiale per noi quasi completamente perduta. Il commento è articolato in un breve excursus sul soggetto dell’enigma, che dia ragione storico-materiale dell’oggetto enigmatico, sommato ad un’analisi più approfondita dei singoli versi. Per quanto riguarda le fonti utilizzate per operare il commento, meritano

di essere ricordate le opere di Isidoro di Siviglia, doctor egregius tra i maggiori rappresentanti dell’erudizione medievale. La sua opera principale, le Origines o Etymologiae, che avrà fortuna per tutto il medioevo, rappresenta una summa della conoscenza antica e tardoantica circa le cose del mondo. Isidoro cerca, attraverso l’etimologia delle parole, sovente inventata, di riunire tutta la conoscenza intorno alle cose che descrive: si tratta di una sorta di “grammatica di tutto il sapere”,150 frutto di un sistematico studio delle testimonianze classiche, spesso elaborate o “corrette” per meglio accostarsi all’interpretazione cristiana. Nonostante l’uso a volte arbitrario che Isidoro fa delle sue fonti, che sono le più svariate, da scritti tecnici a letterari, con una frequente ripresa degli enciclopedisti antichi come Plinio il Vecchio o Teofrasto, la sua opera resta fondamentale non solo per lo studio diacronico della cultura materiale, ma anche per verificare quale tipo di nozioni circolassero in ambito scolastico: non è un caso, come si è già notato, che in molti codici in cui sono presenti i nostri enigmi siano presenti anche le Etymologiae di Isidoro.

Argomenti di aspetto più marcatamente tecnico sono stati trattati vagliando dati archeologici e studi pertinenti. Lo studio degli enigmi non è certamente esente dal confronto con altri testi poetici, ma è mia opinione, e questo sarà evidente nel lavoro che segue, che la ricerca forzata dell’intertestualità, che ho talvolta rinvenuto negli studi, sia spesso pretestuosa e privi completamente il testo in esame di un senso proprio. Le espressioni che si possono condensare in sei versi di quattoridici sillabe, legati oltretutto alla necessità di descrivere un oggetto enigmatico in modo intelligente, non possono essere considerate frutto di infinite reminescenze e rielaborazioni letterarie di altri testi noti. Iuncturae di due o tre parole, a volte banali, che non siano così scolpite nella memoria testuale da essere riconoscibili, non possono essere messe a confronto con l’intero panorama letterario latino alla ricerca di somiglianze spesso volute più dallo studioso che dall’autore stesso. Si è quindi cercato più spesso un confronto poetico a livello tematico, che aiutasse la comprensione del testo.

Molto spesso il commento, come è inevitabile, trattandosi di indovinelli, è purtroppo (o per fortuna) legato alla mia sola intuizione e perspicacia, o all’assenza di entrambe: il che però al contempo dimostra come un testo del genere sia ancora in grado di sfidare e irretire il lettore moderno.

150 Cfr. Polara 2008.