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Et incisa guttam: Al verso 4 si fa riferimento alla buccia molto spessa del cedro, che costituisce quasi la totalità del frutto, considerato che la polpa è effettivamente

AENIGMATA SYMPOSII XC

4. Et incisa guttam: Al verso 4 si fa riferimento alla buccia molto spessa del cedro, che costituisce quasi la totalità del frutto, considerato che la polpa è effettivamente

piuttosto scarsa: quindi, affondando il coltello nella buccia del frutto, ce ne vuole perché sprizzi del succo.

237 Cfr. Carnevale-Schianca, 2011, p. 146-7. 238 Ibidem.

239 Cfr. Plinio, Nat. Hist., XI, 278. 240 Cfr. Ateneo, Deipnosofisti, 83c, 26. 241 Cfr. Apicius, De re coquinaria, IV, 169. 242 Meyer, 1905 p. 166.

5-6. Mellea cum mihi...conclusa saporem: La carne “di miele” del cedro potrebbe riferirsi al suo colore dorato, o alla dolcezza del frutto, che tuttavia, in quasi tutte le sue varietà, era famoso per la sua asprezza, anche se una varietà di cedri di Genova era conosciuta per la sua dolcezza.243 Non sono d’accordo qui con la traduzione tedesca di K. Minst,244 che propone di leggere caro come ablativo dell’aggettivo carus, riferito quindi a sanguine: a mio avviso si tratta senza dubbio del sostantivo caro, -nis, che nel corpus di indovinelli è frequentemente usato per indicare la polpa, il corpo, in generale la sostanza di cui è fatto l’oggetto parlante. Le “interiora schiacciate” rappresentano invece la polpa del frutto, che, spremuto, dona un succo dal sapore estremamente aspro.

243 Cfr. Carnevale-Schianca, 2011, p. 147.

27. DE PAPIRO

Amnibus delector molli sub cespite cretus Et producta levi natus columna viresco. Vestibus sub meis non queo cernere solem, alieno tectus possum producere lumen. Filius profundi dum fior lucis amicus, sicque vitam dedit mater, et lumina tollit.

IL PAPIRO

Cresciuto sotto una morbida zolla, mi diletto tra i fiumi,

e, una volta nato, verdeggio su una colonna leggera e allungata. Sotto le mie vesti non sono capace di distinguere il sole,

ma coperto da qualcos’altro posso produrre luce. Figlio delle profondità, sono però amico della luce, e mentre mia madre mi diede la vita, la luce me la toglie.

Il papiro (cyperus papyrus) è una pianta palustre dell’ordine delle Ciperacee, dal fusto a sezione triangolare, che si sviluppa in luoghi umidi e caldi, raggiungendo altezze fino a tre metri. Il paese di produzione per eccellenza era l’Egitto, soprattutto nella zona del delta del Nilo, dove l’acquitrino limaccioso e fertile lasciato dalle piene del fiume costituiva la condizione ideale per la crescita del papiro. I suoi usi erano molteplici: oltre che al suo impiego più famoso, per creare rotoli cartacei, Teofrasto ci racconta che in Egitto veniva utilizzato anche come alimento, avendo un valore nutritivo molto ricco in zuccheri semplici,245 ed essendo piuttosto economico. Veniva inoltre utilizzato, intrecciandolo, per creare gli oggetti più svariati, dai cesti, alle stuoie, alle corde, alle barche, fino ai vestiti e ai sandali.246 Inoltre, il papiro serviva da stoppino per le candele, una volta ricoperto di pece o di sego o altra materia grassa. Si tratta proprio di quest’ultimo uso del papiro a figurare nel nostro enigma. Isidoro sostiene che il nome papyrum, che ricorda il fuoco (πῦρ), sia appunto legato al suo utilizzo come combustibile per accendere il fuoco e per la fabbricazione di ceri.247 L’uso del papiro come stoppino per le candele è ricordato anche in un epigramma di Antipatro di Tessalonica, tramandato nel VI libro dell’Anthologia Palatina:

Anth. Gr. VI, 249, 1-3

Λαµπάδα κηροχίτωνα, Κρόνου τυφήρεα λύχνον, σκοίνῳ καὶ λεπτῇ σφιγγοµένην παπύρῳ,

Ἀντίπατρπος Πείσωνι φέρει γέρας.(...) Una candela, rivestita di una tunica di cera,

fiaccola fumosa di Crono, fatta di giunco intrecciato e leggero papiro, Antipatro la offre in dono a Pisone (...).

245 Cfr. Teofrasto, Hist. Plant., IV, 8, 2, 4. In generale sugli usi del papiro si veda Montevecchi 1988, e anche Capasso 2009.

246 Cfr. Erodoto, Hist., II, 92, 5, e Plinio, Nat. Hist., XIII, 22 ss.

247 Cfr. Isidoro, Etym., XVII, 96: Papyrum dictum quod igni et cereis est aptum; πῦρ enim Graeci ignem dicunt.

1-2. Amnibus delector...viresco: Il papiro è tipico di zone palustri e umide, come appunto il limo lasciato dal Nilo dopo le sue piene. Il termine c(a)espes, ĭtis indica propriamente la zolla erbosa, mentre la zolla di terra nuda è invece detta gl(a)eba, e qui si riferisce quindi alla fertile umidità del terreno su cui può nascere il papiro. Il suo fusto, che arriva anche a tre metri, è formato da lunghe fibre verticali.

3-4. Vestibus sub meis...producere lumen: si fa riferimento al v. 3 alle foglie del papiro, che, disposte a raggiera, coprono il sole. Divenuto stoppino, il papiro, coperto di pece o sego, prende fuoco, producendo luce.

5-6. Filius profundi...lumina tollit: gli ultimi versi sono tutti giocati sul contrasto buio/luce, dove la luce, che normalmente corrisponde alla vita, in questo caso, bruciando e consumando lo stoppino, è diventata per la pianta portatrice di morte.

18. DE SCOPA

Florigeras gero comas, dum maneo silvis, et honesto vivo modo, dum habito campis. Turpius me nulla domi vernacula servit Et redacta vili solo depono capillos:

cuncti per horrendam me terrae pulverem iactant, sed amoena domus sine me nulla videtur.

LA SCOPA

Porto chiome fiorite, finché rimango nei boschi, e vivo in modo dignitoso, finché abito nei campi.

In casa nessuna domestica serve in modo più umile di me E, ridotta al vile suolo, vi depongo i capelli;

tutti mi gettano a terra nella polvere orrenda, ma nessuna casa appar bella senza di me.

Il termine scopa, incontrato più frequentemente come pluralia tantum, in senso stretto indica il nome di una pianta (Chenopodium scoparia o bassia schoparia) simile all’achillea (Achillea millefolium) ma con le foglie più larghe. In senso lato indica un fascio d’erbe, private dell’infiorescenza, o di rametti, che venivano usate per fabbricare scope per pulire i pavimenti.248 L’enigma di Tullio vede un precedente in quello di Simposio, n. 79:

AENIGMATA SYMPOSII LXXIX

Scopa

Mundi magna parens, laqueo conexa tenaci, iuncta solo plano, manibus compressa duabus

ducor ubique sequens et me quoque cuncta sequuntur.

La scopa

Grande genitrice di ciò che è mondo, legata da un laccio tenace, attaccata al suolo piatto, stretta da due mani,

ovunque vengo trascinata al seguito, e tutto segue anche me.

L’enigma di Simposio si apre con un raffinato gioco di omofonia tra mundus inteso come aggettivo, che vale quindi come “pulito”, e mundus inteso invece come sostantivo, quindi “mondo”.249 Se in Simposio è presente un’allusione alla condizione di costrizione, quasi la scopa fosse una donna prigioniera, nella versione di Tullio essa è rappresentata come un’umile serva, memore di un tempo in cui, in campagna, la sua vita si svolgeva in modo dignitoso. Una volta entrata “a servizio”, le chiome fiorite le vengono tagliate, ed è talmente degradata nelle mansioni più vili da ricordare un’antica Cenerentola, sempre con la testa nella polvere.

248 Cfr. Forcellini, LTL, ad vocem. 249 Cfr. Bergamin 2005, p. 177.

1-2. Florigeras gero comas...habito campis: La scopa è colta nella sua vita da “pianta libera” e ancora bella. Forse il secondo verso allude all’utilizzo del Sorgum vulgare, una pianta della famiglia delle graminacee, più comunemente denominata saggina, che ancor oggi si usa per fare scope e spazzole.

3-4. Turpius me nulla...depono capillos: Come un’antica Cenerentola, la scopa è effettivamente investita dei compiti più umili: le paglie della scopa diventano i “capelli” di una serva, così umiliata e disprezzata da gettarsi a terra a capo chino.

5-6. Cuncti per horrendam...nulla videtur: Al colmo di questa pietosa descrizione, la fanciulla-scopa è colta nell’atto di essere gettata a terra, nella polvere, luogo a lei deputato: eppure, senza questa domestica così umile, nessuna casa potrebbe mai splendere di bellezza e pulito.

10. DE SCALA

Singula si vivens firmis constitero plantis, viam me roganti directam ire negabo; gemina sed soror meo si lateri iungat,

coeptum valet iter velox percurrere quisquis. Unde pedem mihi nisi calcaverit ille

Manibus quae cupit numquam contingere valet.

LA SCALA

Se, da viva, me ne starò da sola e ben piantata, negherò una via diretta a chi la chiede;

ma se la mia sorella gemella si attacca al mio fianco, chiunque, agile, è capace a percorrere la strada iniziata. Da lì, se non calca il piede su di me,

Continua la rassegna degli oggetti più utili e presenti nella vita di tutti i giorni. La scala, come la scopa, era già presente nella raccolta di Simposio. Nella descrizione degli Aenigmata Tullii è assente qualunque accenno ad un valore allegorico della scala, incarnata nell’immagine della scala del cielo, la scala di Giacobbe: “viditque [scil. Iacob] in somnis scalam stantem super terram et cacumen illius tangens caelum, angelos quoque Dei ascendentes et descendentes per eam et Dominum innixum scalae.”.250 Nell’indovinello di Tullio il nome al singolare, scala, è testimone di un’evoluzione nell’uso termine che, come scopa dell’enigma precedente, era più diffuso in latino classico e post-classico piuttosto come pluralia tantum, trattandosi del nome di un oggetto costituito da due parti, e quindi collettivo.251 In Simposio invece si ritrova al plurale: