• Non ci sono risultati.

AENIGMATA TATUINI

II. L’enigma e la sua struttura 1 La domanda irresistibile

II. 4 La testa del chiodo

Un’analisi strutturale degli indovinelli è possibile soltanto laddove si tenga ben presente che non esiste una regola generale per lo studio di questi testi, mentre coesistono diversi approcci, nati nell’ambito degli studi linguistici/folkloristici, che vi si possono applicare. Un buon punto di partenza per tentare un’analisi strutturale di un testo enigmatico potrebbe essere quella di individuare il meccanismo di composizione dell’indovinello, cioè il modo in cui l’oggetto enigmatico, la risposta da indovinare, viene “nascosto” all’interno del testo. Tzvetan Todorov, teorico della letteratura nato in Bulgaria nel 1939, allievo di Roland Barthes, è stato tra i diffusori delle teorie formaliste russe in Europa: in uno studio sul genere dell’indovinello ha riassunto i principali risultati ottenuti in tal senso dai folkloristi della seconda metà del ventesimo secolo.130 I nomi più ricorrenti sono quelli di R.A Georges e A. Dundes, E. Köngäs- Maranda e A. Taylor. Studi in questo campo sono stati compiuti soprattutto dalla metà in poi del secolo scorso, quando una forte tendenza interdisciplinare degli studi ha fatto sì che si collegassero teorie linguistiche e sociolinguistiche con studi folkloristici e più letterari nello specifico. L’idea di base di tutti gli studiosi è che l’enigma rappresenti, seguendo la definizione proposta da Aristotele nella Poetica,131 una complicazione ulteriore del linguaggio metaforico. Sarebbe a dire che, se la metafora, o translatio, opera una similitudine tra cose dissimili sfruttando una somiglianza percettiva di esse, l’enigma, nelle sue varie forme, fa la stessa cosa, ma comparando cose o concetti antitetici: ciò che permette di parlare di enigma è l’impossibilità apparente che ciò di cui si parla si verifichi o esista. Sulla scorta di queste considerazioni, gli studiosi individuano il vero enigma (true riddle, vd. infra) in quello che compara, e riesce a mettere insieme, due concetti o cose che si contraddicono. D’altra parte, è chiaro, sfogliando vari testi enigmistici, che questa non può essere la conditio sine qua non per la formazione degli indovinelli, in quanto non sempre si verifica. Elli Köngäs-

130 Cfr. Todorov 1993.

131“La natura dell’enigma è questa: nel dire cose reali, congiungere cose impossibili. Non è

possibile far questo, orbene, secondo la connessione dei nomi, ma secondo la metafora è possibile” (Poetica 1458 a, 26-30).

Maranda,132 in un suo articolo sulla struttura degli indovinelli, propone uno schema di analisi che divide l’enigma in cinque elementi, vale a dire : (a) il termine dato, il significante; (b) una premessa costante, che è vera sia per il significante che per il significato; (c) una variabile nascosta, non esplicitata, che caratterizza il significante ma non il significato: si tratta di un luogo comune, di un’evidenza; (d) una variabile data che caratterizza il significato ma non il significante, sebbene gli sia attribuita; (e) il significato, la risposta. Ad esempio

Un maiale, due grugni. Risposta: l’aratro.

La studiosa identifica così gli elementi di quest’indovinello: (a) significante: un maiale; (b) premessa costante: ha dei grugni; (c) variabile nascosta: il maiale ne ha uno solo; (d) variabile data: questo maiale ne ha due; (e) significato: l’aratro. Da notare che è stato appena proposto un indovinello che apparentemente non contiene nessuna contraddizione tra i suoi elementi, ma solo un legame metaforico tra gli elementi che compongono l’indovinello e la parte da indovinare: in realtà la variabile data contiene una contraddizione di un’evidenza logica, cioè che il maiale ha solamente un grugno. Il gioco enigmatico è messo in moto proprio da questa definizione paradossale.

R.A. Georges e A. Dundes,133 affrontando il problema dell’analisi strutturale degli indovinelli, scompongono i testi nel modo seguente: dapprima in elementi descrittivi (la parte presente) e referente (la parte assente). Gli elementi descrittivi sono a loro volta suddivisi in tema (topic) e commento (comment), ovvero la parola relativa all’oggetto da indovinare e l’asserzione che la concerne. Un’ulteriore distinzione operata dai due studiosi riguarda la presenza o meno della contrapposizione (opposition) negli elementi descrittivi, il che porta alla formazione di due grandi tipi di indovinelli: con contrapposizione o senza contrapposizione. In sostanza, negli enigmi con opposizione, la parte presente, quella che fornisce la chiave per la soluzione, è costituita da elementi che si contraddicono tra loro a varii livelli.

132 Köngäs-Maranda 1969. 133 Georges, Dundes 1963.

Negli indovinelli con opposizione, quest’ultima può essere legata alla definizione stessa dell’elemento descrittivo: secondo lo schema di Todorov, contraddire la definizione stessa comporta la negazione di “una verità analitica, inerente al linguaggio e non tratta dall’esperienza, in altre parole una tautologia (…) questo dà luogo al paradosso. “134 Ad esempio, dire, “Ha una schiena sul davanti”, contraddice il termine stesso di schiena, che è ciò che sta dietro, per definizione: la tautologia contraddetta in questo caso potrebbe essere quindi “Ciò che è dietro sta dietro”; affermando, invece, che ciò che è dietro sta davanti, abbiamo creato un paradosso. Secondo la definizione classica, un paradosso è invece qualcosa che contraddice un luogo comune, un’opinione generalmente diffusa e accettata. Per Todorov, la differenza è a livello logico: contraddicendo una verità sintetica, cioè un ragionamento che si fonda su un luogo comune, generalmente accettato e diffuso (quindi, la definizione classica di paradosso), si dà luogo a quella che lui chiama un’inverosimiglianza; ad esempio “un uomo che non mangia nulla” contrasta con il luogo comune per cui, per sopravvivere, bisogna mangiare. Ultimo tipo di opposizione, è quel che lui stesso definisce contraddizione, ed è legata al rapporto tra le proposizioni: si tratta del capovolgimento di “un ragionamento approssimativo, un’inferenza probabilista, che nella retorica classica si chiamerebbe entimema”. 135 Un esempio di contraddizione potrebbe essere: “un uomo che non mangia nulla eppure defeca”.136

Archer Taylor, uno degli studiosi che più ha scritto in merito agli indovinelli, ha definito come true riddle (che coincide sempre con il folk riddle, n.b.) una descrizione misteriosa e concisa di due soggetti irrelati,137 per esempio un oggetto inanimato con un

essere umano, con al suo interno una contraddizione evidente, che crea un paradosso nella descrizione. Qui di seguito un indovinello popolare inglese rende bene il senso di ciò che abbiamo appena detto:

134 Todorov 1993, p. 262. 135 Ibidem p. 264.

136 Ibidem p. 265 ss. 137 Taylor 1943.

As I was walking along the road I saw a black thing in a furrow, neither flesh or neither bone

yet it had four fingers and a thumb.138

La soluzione è glove, il guanto. L’indovinello, anche se non particolarmente difficile, contiene al suo interno una descrizione potenzialmente sviante: c’è qualcosa che non ha carne né ossa, eppure ha tutte le dita, compreso il pollice. Fondamentalmente, sembrerebbe che si stia parlando di qualcosa d’impossibile, perché le dita, come noi sappiamo bene, sono fatte di carne e d’ossa. Oppure no? Le estremità di un guanto, quelle dove “vanno” le dita, si chiamano anch’esse “dita”, poiché, anche se appartengono ad un oggetto e non ad una persona, svolgono la stessa funzione, hanno la stessa apparenza: di fatto, ne rappresentano l’analogo inanimato. Taylor prosegue individuando nell’enigma un elemento positivo, il quale va interpretato metaforicamente, e un elemento negativo, che va interpretato invece alla lettera. L’elemento positivo, che è dunque la chiave dell’inganno enigmatico, sfrutta quello che in retorica si definisce sillessi, la figura per cui una parola deve essere presa simultaneamente in senso proprio e in senso figurato.

Claude-François Ménestrier, un gesuita francese del XVIII sec., scrisse un trattato piuttosto significativo circa le immagini enigmatiche, cercando di illustrare il modo di creazione dell’enigma:

Il faut donc pour faire des énigmes choisir deux choses qui aient quelque ressemblance métaphorique, comme le soleil avec un monarque, les pastilles que l’on brûle avec les martyrs, un bateau avec une maison, etc. Et sur ces ressemblances entasser des contrariétés, des oppositions, des répugnances, qui embarassent, qui enveloppent, et de temps en temps reprendre des ressemblances qui rapprochent ce qu’on avait éloigné.139

138 “Mentre camminavo per la strada/ vidi una cosa nera in un canale/ non aveva né carne né

ossa/ ma quattro dita e un pollice.” in I. & P. Opie 1960, p. 77. In merito cfr. anche Taylor 1951.

139 Ménestrier, 1694, p. 39 ss.: “Dunque, per fare degli enigmi, bisogna scegliere due cose che

abbiano una qualche somiglianza metaforica, come il sole con un sovrano, i pani da bruciare con i martiri, una nave con una casa, eccetera. E su queste somiglianze impilare delle

Si può notare come nell’illustrazione di Ménéstrier il procedimento diventi molto semplice: la possibilità creatrice del linguaggio è pressoché infinita, poiché si basa anche sulla più piccola somiglianza tra due cose anche irrelate. Non esiste, forse, una cosa che sia completamente non paragonabile a un’altra, e dunque, su quella piccola somiglianza, o corrispondenza, si può costruire un’analogia sufficientemente calzante. All’esercizio puramente immaginativo, che opera delle connessioni percettive sulla realtà circostante, si associa l’elemento linguistico. Facciamo un esempio: un chiodo e un essere umano non hanno certamente niente in comune, poiché un chiodo è un utensile di ferro, senza vita, senza organi, mentre un uomo è un essere vivente, che respira, parla, pensa. In che modo possono essere avvicinati? Nella nostra lingua, l’estremità superiore di entrambi si chiama “testa”. Nella terminologia retorica, questa figura è detta catacrèsi (alla greca) o abusio (alla latina), e consiste nell’estendere una parola o una locuzione oltre i limiti del suo significato proprio; dovendo designare un certo oggetto o nozione per cui manca un termine specifico, si abusa di un termine già presente nella lingua e che designa un altro elemento, estendendone il significato140. La testa del chiodo di cui sopra ne è un esempio, così come le gambe del tavolo, il letto del fiume, il collo della bottiglia, la faccia della luna. La catacrèsi sopperisce ad una mancanza nel lessico di una lingua, di fatto rispondendo ad un’esigenza di economia: invece di coniare neologismi, si utilizzano termini già esistenti. Qui un esempio, certo non medievale, che mette in luce tutte le contraddizioni di espressioni catacretiche: La testa del chiodo

La palma della mano i datteri non fa, sulla pianta del piede chi si arrampicherà? Non porta scarpe il tavolo, su quattro piedi sta:

contrarietà, delle opposizioni, delle avversioni, che imbarazzino, che sconcertino, che avviluppino, e di tanto in tanto riprendere delle somiglianze che si avvicinino a quello da cui ci si era allontanati”.

il treno non scodinzola ma la coda ce l'ha.

Anche il chiodo ha una testa, però non ci ragiona:

la stessa cosa capita a più d'una persona.141

Nella filastrocca di Rodari, ogni verso presenta scherzosamente il paradosso dato dalla caduta del senso principale del termine “abusato”: si rende evidente il doppio significato, letterale e figurato, di ogni termine. Sebbene non rappresentino esattamente la stessa cosa, la catacrèsi è avvicinabile, e in alcuni casi assimilabile, ad un traslato la cui traslatio non è più riconoscibile: ovvero una metafora, sineddoche, metonimia, che definiamo spenta o morta, il cui potenziale retorico si è, per così dire, mimetizzato. Torniamo al nostro esempio precedente: il termine latino testa significava in origine “guscio di tartaruga”,poi passò, per estensione, a designare qualunque recipiente cavo, tra cui la pentola di coccio.142 Tale “pentola di coccio” divenne poi metafora per caput,

fino a divenirne sinonimo: tuttavia, questa metafora risulta ormai spenta e quindi non riconoscibile, se non attraverso la storia etimologica del termine. Da qui testa, parallelamente a caput, ha subìto un impiego catacretico, nell’indicare la parte superiore di oggetti (testa del chiodo, del ponte ecc.) o la preminenza di ruoli o posizioni in contesti sociali (caposcuola, capoclasse, essere a capo di qualcosa). Il gioco enigmatico (così come il gioco di parole, e in generale l’espressione poetica o narrativa), e soprattutto da un certo periodo in poi, si basa principalmente sulla possibilità di rivitalizzare metafore spente.

Se volessimo concepire un modo di descrivere enigmaticamente un chiodo, potremmo allora sfruttare questa polisemia del termine testa contrapponendovi l’assenza del suo corollario più logico, cioè il fatto che, nell’essere umano, la testa è la sede del pensiero:

Ho una testa, ma non penso. Risposta: il chiodo.

141 Rodari 1974.

La polisemia di testa ci permette, in questo caso, di immettere nella nostra descrizione una (apparente) contraddizione, generando un immediato malinteso: tutte le persone hanno la testa, e tutte pensano, quindi si sta parlando di qualcosa che non esiste. Eppure, allora cos’è che ha la testa, ma non pensa? Dobbiamo per forza, alla fine, dedurre che si tratti di un oggetto inanimato, cui la nostra descrizione ha infuso vita, come le dita del guanto di cui sopra. Porzig, in un suo saggio sugli indovinelli presenti negli inni sacri del Rig-Veda, ha esaminato la natura del linguaggio là espressa, definendolo Sondersprache, dunque lingua particolare o speciale:

Sia la lingua particolare che la lingua comune costituiscono un mondo, l’autentico mondo della comunità linguistica in questione. Tuttavia, mentre la lingua comune presenta le cose direttamente come tali e pertanto è assolutamente e strettamente univoca, la lingua particolare rende il senso delle cose, le loro intime implicazioni, e il loro significato, più profondi; per questo è così polivalente, come lo è sempre il mondo visto in una prospettiva interiore (…). Nella lingua comune, piede indica, nella sua presenza oggettiva, una parte del corpo dalla forma determinata. Nella lingua particolare, piede significa qualcosa la cui natura consiste esclusivamente nel sostenere e portare. Effettivamente riflettendo sulla natura del piede umano ci accorgiamo che la sua funzione è esattamente quella cui fa riferimento la lingua particolare. Tuttavia nella lingua comune il piede non viene inteso in base alla sua natura, bensì al suo aspetto esteriore (…).143

143 Porzig 1925.