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AENIGMATA TATUINI

III. Aenigmata Tull

III. 2 Nota al testo

Il presente lavoro non intendeva proporsi come una nuova edizione critica degli Aenigmata Tullii, poiché il suo scopo principale era quello di indagare i contenuti di questa raccolta, commentandola e fornendole un contesto. Per questo motivo il testo non è corredato di apparato critico. Tuttavia è impossibile affrontare uno studio del genere senza una revisione attenta delle precedenti edizioni e un vaglio accurato dei manoscritti. Le edizioni principali di riferimento restano quella di Strecker 1914 e di Glorie 1968, e laddove si sia proposta una soluzione alternativa o siano stati rinvenuti errori, tali modifiche all’edizione di riferimento sono giustificate nel testo. In caso di passi problematici o discussi ho riportato le varianti e le eventuali proposte degli editori, in qualche caso la mia opinione. Per quanto riguarda la numerazione degli enigmi, i manoscritti spesso li riportano in ordine diverso, salvo alcune serie tematiche che sono spesso riunite (per esempio gli enigmi sui fiori): per questo motivo ho preferito raggrupparli per tema, fornendo accanto al titolo la numerazione che si ritrova nell’edizione Strecker e in Glorie. Normalmente gli indovinelli presentano la soluzione come titolo, anche se spesso non è riportata in tutti i manoscritti e in rari casi è diversa tra l’uno e l’altro: ho dato conto delle differenze tra i mss. quando la soluzione proposta fosse completamente diversa, non considerando rilevanti oscillazioni di scarso peso. Alcuni enigmi sono senza soluzione, e dove è stato possibile, la mia proposta è riportata nel commento.

1.DE OLLA

Ego nata duos patres habere dinoscor; Prior semper manet, alter, qui vita finitur. Tertia me mater duram mollescere cogit Et tenera giro formam adsumo decoram. Nullum dare victum frigenti corpore possum, calida sed cunctis salubres porrego pastos.

LA PENTOLA

Quando nasco ho ben due padri;

il primo c’è sempre, il secondo è ormai morto. Terza, mia madre mi rammolisce, dura come sono, e, intenerita, con un giro prendo una bella forma. Se il mio corpo è freddo niente ho da offrire, ma, quando son calda, do buon cibo a tutti.

Per olla (<aula, s. f.) si intende un recipiente utilizzato già in epoca antica per cuocere le pietanze sul fuoco e per conservare il cibo, o talvolta le ceneri dei morti. In epoca altomedievale le pentole e le casseruole, stando alle testimonianze archeologiche,151 si

presentano sia in ceramica, quindi in creta poi cotta, sia in pietra ollare: con questa denominazione si designano vari tipi di rocce dell’area alpina, morbide e facili da lavorare, molto resistenti al calore, parenti del talco, utilizzate già dall’età tardoantica per foggiare pentole e recipienti. I contenitori in ceramica venivano originariamente lavorati a mano, svolgendo in anse circolari un pezzo di creta arrotolato a formare una specie di lungo serpentello.152 In un secondo momento si diffuse l’uso del tornio, prima

manuale e poi a pedali: azionato direttamente dal vasaio, permetteva di modellare la creta con le mani, come avviene anche oggi; il risultato veniva poi cotto nei forni. Per quanto riguarda invece la pietra ollare, anche quest’ultima veniva fissata su un tornio, mentre lo scalpellino ne definiva la forma con gli attrezzi.

1-2. Ego nata...vita finitur: Nel nostro enigma non sembra facilissimo individuare tutti gli elementi che riescano a spiegare la soluzione, almeno per quanto riguarda la prima parte, in cui si parla di “due padri” dell’olla. Per i criteri precedentemente esposti (vd. supra), l’autore utilizza normalmente la forma “padre” quando la causa, o la materia prima da cui si forma l’oggetto parlante, è maschile. Tornando ai padri, dunque, dovremmo forse indagare sulle materie prime della ceramica che abbiano un nome maschile o neutro in latino. In tal senso, il Meyer153 ipotizzò che il secondo indizio, il

“pater che non c’è più”, indicasse il fuoco, ignis, che bruciando si consuma; tuttavia, se uno dei patres fosse il fuoco, sarebbe necessariamente alterato l’ordine di “creazione” della ceramica, che prima è grezza, poi viene modellata con l’aiuto dell’acqua e del tornio, e solo alla fine del processo viene cotta. Altrimenti potremmo ipotizzare che si tratti della terra (solum) e della pietra (lapis), che sono due dei materiali di cui è composta la creta. Non essendoci altre raccolte di indovinelli che trattino questo tema è difficile dare un’interpretazione più precisa.

151

Cfr. Lusuardi 1994, pp.32 ss. 152 Ibidem.

3-4. Tertia me mater...decoram: Per quanto riguarda la “madre”, potremmo affermare con una certa sicurezza che si tratti dell’acqua, che si usa per ammorbidire la creta e renderla più lavorabile. Se interviene l’acqua nella modellazione, è certo che si sta parlando di una pentola da fuoco in ceramica. Al verso 4 si allude certamente al tornio. 5-6. Nullum dare victum...porrego pastos: Le frequenti allitterazioni in c e p rendono veloci gli ultimi versi, dove si descrive la cottura dei cibi sul fuoco.

4. DE SCAMNO

Mollibus horresco semper consistere locis, ungula nam mihi firma, si caute ponatur. Nullum, iter agens, sessorem dorso requiro, plures fero libens, meo dum stabulo versor. Nulla frena mihi mansueto iuveni pendas, calcibus et senem nolo me verberes ullis.

LA PANCA

Detesto sempre star ferma in luoghi molli,

infatti il mio zoccolo è stabile, se s’appoggia con cautela. Andando per via, non voglio nessuno che sieda sul dorso, ma volentieri porto più d’uno, quando sto nella mia dimora. Non voglio che tu mi metta le briglie, a me giovane e mite, né che, da vecchio, tu mi prenda a calci.

In questa prima parte della raccolta si delinea l’attenzione del poeta per gli oggetti più semplici, che costituiscono i compagni della vita di tutti i giorni. Dopo la pentola, un indovinello sulla panca. Il termine scamnum indica variamente il sedile, la panca o lo sgabello di legno154. In questo caso si tratta della panca o scanno, che si distingue dallo sgabellum per il fatto di avere più posti.

L’indovinello è costruito seguendo una similitudine che rimane costante: la panca è paragonata ad un cavallo, le persone che vi si siedono a coloro che lo cavalcano.

1-2. Mollibus horresco...ponatur: I piedi della panca sono definiti ungulae, come gli zoccoli dell’animale. La res loquens afferma di non tollerare i “luoghi molli”, dove non c’è stabilità.

3-4. Nullum...versor: La seduta viene descritta come il dorso dell’animale: come un vero cavallo, che, poveretto, è gravato dal peso del cavaliere, la panca non ama che nessuno la “cavalchi” quando cammina, cioè quando viene spostata, mentre accetta più di un ospite quando è ferma a terra.

5-6. Nulla frena mihi...ullis: Gli ultimi versi, come spesso capita nel nostro autore, risultano piuttosto oscuri: si intende forse che, una volta che la panca sarà ormai vecchia e il legno più fragile, è caso di trattarla con delicatezza? I frena sembrano di difficile interpretazione. Potrebbe qui trattarsi di una perdita del valore metaforico del paragone con il cavallo: il poeta continua la metafora, che però non pertiene più all’oggetto metaforizzato.

154

5. DE MENSA

Pulchra mater ego natos dum collego multos, cunctis trado libens, quicquid in pectore gesto. Oscula nam mihi prius qui cara dederunt Vestibus exutam turpi me modo relinquunt. Nulli sicut mihi pro bonis mala redduntur; quos lactavi, nudam pede per angula versant

LA TAVOLA

Sono una bella madre, e raccolgo molti figli, do a tutti volentieri ciò che porto in seno. Quelli che prima mi diedero amorosi baci mi lasciano spogliata delle vesti in modo turpe.

A nessuno, come a me, sono dati dei mali in cambio di beni: coloro che ho allattato, col piede mi rovesciano, nuda, negli angoli.

Nella rassegna degli oggetti quotidiani non può mancare la descrizione della tavola da pranzo, sede del convito. In quest’enigma il poeta fa largamente uso di un “lessico di maternità” volto a descrivere la relazione tra tavola, cibo e commensali. La tavola è infatti descritta come una madre, il cui principale compito è quello di sfamare i propri figli. Lo stesso soggetto si ritrova in un enigma di Tatuino, certamente legato agli Aenigmata Tullii: anche qui le suppellettili sono intese come i “vestiti” che vengono strappati di dosso alla tavola.