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Et volventi domo delector: Ancora un’eco di Simposio, stavolta dell’enigma n 12 (vd supra) Il nostro anonimo autore riporta lo stesso Leitmotiv del mare o del fiume

AENIGMATA LAURESHAMENSIA X Saeva nefandorum non gessi furta latronum

4. Et volventi domo delector: Ancora un’eco di Simposio, stavolta dell’enigma n 12 (vd supra) Il nostro anonimo autore riporta lo stesso Leitmotiv del mare o del fiume

come “casa” del pesce, qui però definita volvens, dal movimento ondulatorio costante dei flutti.

300 Cfr. Platone, Fedro, 67d, e Cicerone, Tusculanae Disp., I, 75. Cfr. anche Cic., Repubblica, 6, 14: hii vivunt qui e corporum vinculis tamquam e carcere evolaverunt, vestra vero quae dicitur vita mors est. Cfr. anche Bergamin 2005, p. 123.

5-6. Numquam ego...sub frigora condo: il “caldo letto” cui si fa riferimento è sicuramente quello della pentola dove finisce il povero pesce, una volta pescato. Restando in mare, invece, nel freddo delle acque profonde, vive indisturbato.

7.DE VESICA

Teneo liquentem, sequor membrana celatum: verbero nam cursu, visu quem cernere vetor. Impletur invisis domus, sed vacua rebus permanet dum vicem nullo sub pondere gestat.

Quae dum clausa fertur, velox ad nubila surgit. Patefacta nullum potest tenere manentem.

LA VESCICA

Contengo un liquido, lo proteggo, nascosto da una membrana. Sferzo col flusso quel che mi è impedito di distinguere con la vista. La casa si riempie di cose invisibili, ma poi rimane svuotata

quando invece non porta più alcun peso.

Ciò che sta dentro quando è chiusa, veloce va verso le nuvole. Una volta aperta, non può più trattenere niente.

A chiudere il gruppo di enigmi sull’acqua e le creature marine, poniamo un indovinello molto particolare, che non ha paralleli in altre raccolte latine. Il soggetto trattato, la vescica, rende ragione dell’amore del nostro anonimo autore per gli oggetti più semplici, anche a contatto con una materia non proprio onorevole, come l’urina. Il termine vesica, secondo Isidoro, deriverebbe da vas, vaso, giacché, come il vaso raccoglie l’acqua, la vescica raccoglie l’urina prodotta dai reni.301

Il testo dell’enigma è decisamente tenebroso: per quanto l’intenzione del poeta sia chiara (la vescica è paragonata ad una casa che poi si svuota), il linguaggio resta spesso difficile da interpretare, e rendere conto di ogni verso non sembra semplicissimo.

1-2. Teneo liquentem...vetor: Il secondo verso risulta un po’ oscuro, forse da intendersi con il getto di urina (cursus) che colpisce qualcosa che la vescica, res loquens dell’enigma, non può vedere giacché essa si trova all’interno del corpo.

3-4. Impletur invisis...gestat: La vescica è paragonata ad una casa piena di “cose”, che, in seguito, si svuota. Si è preferita qui la lezione vicem, riportata solo da L, ritenuta più funzionante della variante civem accettata dagli editori: quest’ultima si sarebbe certo riferita al “proprietario” della vescica,302 tuttavia, a mio avviso sarebbe una soluzione incredibilmente tortuosa persino per il nostro autore.

5-6. Quae dum clausa...manentem: Gli ultimi versi descrivono in modo piuttosto interessante l’atto dell’urinare: una volta iniziato, non ci si può fermare, e ciò che si produce evaporerà rapidamente, veso il cielo.

301 Cfr. Etym., XI, I, 137: (...) Vesica dicta, quia sicut vas aqua, ita de renibus urina collecta conpletur, et humore distenditur.

33. DE VIOLA

Parvula dum nascor, minor effecta senesco Et cunctas praecedo maiori veste sorores. Extremos ad brumae me primo confero menses Et amoena cunctis verni iam tempora monstro. Me reddet inlustrem parvo de corpore spiritus, et viam quaerendi docet, qui nulli videtur.

LA VIOLA

Quando nasco sono piccina, e invecchio facendomi ancora più piccola; precedo tutte le mie sorelle dalla veste più maestosa.

Arrivo per prima negli ultimi mesi dell’inverno

e mostro a tutti che è ormai arrivato il bel tempo di primavera. Lo spirito mi renderà illustre, venendo da un piccolo corpo, e mostra la via da trovare, lui che a nessuno appare.

L’enigma sulla viola apre la sezione dedicata ai fiori, che comprende, oltre appunto alla viola, la rosa, i gigli, il croco. La viola odorata, volgarmente detta mammola, è una pianticella erbacea perenne, alta una decina di centimetri, appartenente alla famiglia delle Violaceae, che comprende almeno 300 specie. Fiorisce verso la fine dell’inverno o all’inizio della primavera, disseminando i prati di meravigliosi fiorellini violetti dall’intenso profumo. Nell’antichità classica, la viola è legata a molti miti, tra cui quello di Iò, la fanciulla, figlia di Inaco, amata da Zeus e per questo trasformata da Era in giovenca. Per lei, il cui nome ricorda il nome greco della viola, ἴον, Zeus approntò come cibo delle violette. Le viole sono presenti anche nell’antico mito frigio di Attis, il quale, evirandosi, sprizzò sangue sulla terra, da cui nacquero le viole. Nel calendario romano a lui era dedicata una festa, il 22 marzo, detto dies violae.

Già in Simposio è presente un enigma sulla viola, cui l’indovinello di Tullio è fortemente debitore:

AENIGMATA SYMPOSII XLVI

Viola

Magna quidem non sum, sed inest mihi maxima virtus; spiritus est magnus, quamvis sim corpore parvo. Nec mihi germen habet noxam nec culpa ruborem.

La viola

Grande certo non sono, ma in me c’è una grandissima virtù; lo spirito è grande, benché io sia di piccola corporatura. Né il mio germoglio fa danno, né è la colpa a farmi arrossire.

1-2. Parvula dum nascor...veste sorores: La prima caratteristica messa in risalto della viola è la sua piccola taglia, in contrasto con il suo intenso profumo (vd. infra). L’”invecchiamento” del fiore, cioè il suo appassire, ne riduce ancor di più le dimensioni. La viola è quindi immaginata come una piccola figura femminile che, all’inizio della primavera, fiorisce prima delle sue sorelle, cioè gli altri fiori, che pure hanno una “veste più grande”, cioè petali di dimensioni maggiori.

3-4. Extremos ad brumae...tempora mostro: La mammola fiorisce molto presto, negli ultimi mesi dell’inverno, di fatto segnando la fine dei freddi e l’inizio della primavera. 5-6. Me reddet inlustrem..qui nulli videtur: Si concorda qui con l’edizione Glorie, che propone di stampare spiritus e non sumptus come fanno gli altri editori seguendo i codici.303 Strecker, che concorda con la lezione dei manoscritti, attribuisce piuttosto arbitrariamente al termine sumptus il significato di odor,304 quando non si hanno attestazioni di questo uso del termine.305 Resta quindi migliore, a mio avviso, la congettura di Glorie, che si basa oltretutto sulla forte somiglianza dell’enigma con quello di Simposio, che usa spiritus in senso ambiguo, per alludere sia al valore spirituale, sia al profumo della viola. Nel caso del nostro enigma, sembra essere l’interpretazione migliore, poiché rende conto anche del contrasto, che è già in Simposio, tra la minutezza del corpo del fiore e la potenza della fragranza che emana.306 L’ultimo verso allude ancora al profumo della viola, che, pur invisibile, guida il passante verso i fiori.

303 Cfr. Glorie 1968, p. 579. L’editore francese ipotizza una cattiva interpretazione di un’abbreviazione nell’apografo, per cui da sptus> sumptus.

304 Cfr. Strecker 1914, p. 748, nota ad XXXIII, 6. 305 Cfr. ad esempio Carisio, Ars, V, 57.

306 In Isidoro, anzi, l’intenso profumo della viola è alla base del suo stesso nome: cfr. Etym., XVII, 9, 19: ...viola propter vim odoris nomen accepit.

34. DE ROSA

Pulchra in angusto me mater concipit aluo et hirsuta barbis quinque conplectitur ulnis. Quae licet parentum paruo sim genere sumpta, honor quoque mihi concessus fertur ubique. Vtero cum nascor, matri rependo decorem et parturienti nullum infligo dolorem.

LA ROSA

La mia bella madre mi concepisce in un utero angusto E, irsuta per le barbe, mi stringe con le sue cinque braccia. E anche se sono l’erede di un’umile schiatta di genitori, persino a me si porta un rispetto dovunque concesso. Quando nasco dall’utero, ricompenso il decoro della madre E alla partoriente non infliggo alcun dolore.

Sulla scia del profumo della violetta un’altra fragranza ci rapisce, quella della rosa, immagine eterna e poetica della fuggevole bellezza. I tòpoi poetici dedicati alla rosa, nella storia della letteratura, sono innumerevoli:307 attributo di Afrodite nella classicità,

simbolo della beltà e dell’illibatezza delle fanciulle, per poi incarnare l’immagine del sangue dei martiri e di Cristo stesso nella cristianità, fino ad essere associata al culto della Madonna. Forse non esiste fiore con un valore simbolico più pregnante e ricco della rosa, regina tra i fiori, soggetta a una vita tanto breve quanto luminosa è la sua bellezza, tanto da divenire emblema della caducità della vita e della fuggevolezza del bello, della gioventù e delle sue passioni. Nella poesia tardoantica il motivo della rosa diviene molto diffuso, comparendo in particolare in svariati testi della poesia epigrammatica, dove la correlazione rosa/virgo appare molto sfruttata.308 In particolare, essa compare, come la maggior parte degli enigmi di questa sezione, anche in un indovinello di Simposio, il n. XLV, che precede quello sulla viola di cui supra:

AENIGMATA SYMPOSII XLV

Rosa

Purpura sum terrae, pulchro perfusa rubore, saeptaque, ne violer, telis defendor acutis. O felix, longo si possim vivere fato!

La rosa

Sono la porpora della terra, perfusa di un bel rossore,

e mi difendo, per non essere violata, protetta da dardi appuntiti. Felice sarei se potessi vivere a lungo!

L’enigma di Simposio si fonda tutto su quest’ambivalenza rosa/virgo, accogliendo i principali tòpoi poetici sulla rosa, donde la bellezza purpurea, l’immagine della fanciulla che protegge la sua virtù con temibili spine (v. 2), fino al makarismòs finale

307 Cfr. Cattabiani 1996, p. 15-32; Mello 2003. 308 Cfr. Bergamin 2005, p. 139.

dove ella lamenta la brevità della sua vita.309

Sebbene sia indubbiamente debitore a quello di Simposio, l’enigma di Tullio si sviluppa su dei temi diversi, insistendo sul motivo della genitorialità e del parto, che pervade tutta la silloge. Pare anche presente un’allusione alla simbologia cristiana della rosa, una delle poche all’interno della raccolta (vd. infra ).

1-2. Pulchra in angusto...complectitur ulnis: La “bella madre” porta lo stesso nome della figlia, rosa. Il bel fiore rosso nasce sviluppandosi dal bocciolo, l’infiorescenza non ancora dischiusa che, nel nostro dizionario enigmistico, diviene lo stretto utero che dà alla luce il feto. Il secondo verso, oltre ad alludere alle spine, sembra fare riferimento ad uno degli elementi della cristologia intorno a questo fiore, che, come si è detto, è stato molto sfruttato dalla simbologia cristiana. Infatti le “braccia” con cui la madre abbraccia la figlia sono cinque (v. 2), come le piaghe del Cristo, mentre il purpureo della rosa simboleggia il sangue di Gesù310 e dei martiri.

3-4. Quae licet parentum...ubique: La rinomata bellezza e il celestiale profumo della rosa ne fanno il fiore più nobile, sebbene chi l’ha generata non possa vantare il medesimo lignaggio: infatti è il fiore, non la pianta, a trionfare di bellezza. Il contrasto tra l’umiltà delle origini e la nobiltà del “prodotto” è una costante in tutta la raccolta, presente anche, ad esempio negli enigmi sulla pergamena e sulla seta (vd. infra).

5-6. Utero cum nascor...dolorem: Gli ultimi due versi immortalano l’attimo in cui il fiore sboccia in quest’irsuto paesaggio, uscendo dal bocciolo che lo conteneva, esattamente come un bimbo che, nel travaglio, esce dall’utero e dal canale vaginale per venire alla luce. La pianta è definita parturiens, termine che nella Vulgata di S.

309 Cfr. ad esempio il motivo, già in Ausonio, Idilli, XIV, 40: Quam longa una dies, aetas tam longa rosarum, quas pubescentes iuncta senecta premit.

310 Cfr. ad esempio Ambrogio, Expositio Psalmi CXVIII, 14, 2: carpis rosam hoc est dominici corporis sanguinem. Successivamente Rabano Mauro, ispirandosi a Ecclesiaste, 39, 13, ci dice che la rosa significa i martiri.

Gerolamo ricorre spesso riferito a Maria, gravida del Cristo. Il paradosso espresso all’ultimo verso, dove il parto è definito “senza dolore”, rende ancor più mirabile la nascita della rosa.

52. (ITEM) DE ROSA

Mollis ego duros de corde genero natos; in conceptu numquam amplexu viri delector, sed dum infra meis concrescunt filii latebris, meum quisque nascens disrumpit vulnere corpus. Postquam decorato velantes tegmine matrem Saepe delicati frangunt acumine fortes.

LA ROSA

Io, morbida, genero dal mio cuore duri figli;

per il concepimento non ho mai goduto dell’abbraccio di un uomo, ma, mentre i miei figlioli crescono tra i miei nascondigli,

quello che nasce mi spacca il corpo con una ferita. Poi, coprendo la loro mamma con un decorato manto,

La seconda variazione sul tema della rosa focalizza l’attenzione sulle spine, sul contrasto tra la morbida e delicata bellezza del fiore e l’asprezza delle spine che lo proteggono.

1-2.Mollis ego…viri delector: La rosa, narrata come una soave fanciulla, delinea un contrasto tra la sua soffice bellezza e la durezza dei suoi “figli”, le spine, concepiti virginalmente, senza alcun amplesso.

3-4. Sed dum…vulnere corpus: Lo spuntare delle spine dal fusto della pianta è descritta come una nascita dolorosa, un parto che lascia ferite nel corpo della madre.

5-6. Postquam…acumine fortes: Un nuovo contrasto nei versi finali, che descrive l’insidiosità delle spine della rosa, dall’aspetto a prima vista innocuo, ma capaci di ferire anche i più forti.

35. DE LILIIS

Nos pater occultus commendat patulae matri, et mater onusta confixos porregit hasta. Viuere nec umquam ualemus tempore longo, et leuiter tactos incuruat aegra senectus. Oscula si nobis causa figantur amoris, reddimus candentes signa flauentia labris.