• Non ci sono risultati.

Le critiche e i dissensi all’interno del Convegno a partire dal “paradosso di Lipari”

CAPITOLO SECONDO: Il dibattito

5. Le critiche e i dissensi all’interno del Convegno a partire dal “paradosso di Lipari”

Definite le linee essenziali di un uso alternativo del diritto e, quindi, di una giurisprudenza alternativa, non tutti i numerosi partecipanti al Convegno convenivano tra loro su alcuni aspetti che erano emersi dal confronto coi colleghi.

Questo dimostra che, oltre alle aspre critiche “esterne” di cui parle- remo nel proseguo della trattazione, esistevano anche delle critiche “interne” al Convegno stesso. Critiche che andavano ad investire al- cuni degli aspetti intrinsecamente collegati ai capisaldi della elabo- razione alternativa. A tale proposito occorre partire dall’intervento di Lipari265, in particolare da quello che Francesco Galgano, per comodità lessicale, definirà come il “paradosso di Lipari”. In realtà tale paradosso Lipari lo pone non casualmente alla fine del proprio

264 P. Costa, op. cit., p. 40.

265 N. Lipari, “Scelte politiche e determinazione storica dei valori realizzabili”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, pp. 37 ss.

91

intervento, rivolgendosi provocatoriamente a Ferrajoli in particola- re.

Egli, infatti, riconosceva e ribadiva l’importanza dell’attività inter- pretativa giurisprudenziale nella vicenda alternativa, quale momento di selezione indispensabile, nel passaggio dalla astratta teoria all’applicazione concreta, di quei valori emergenti dalla società e utilizzati poi come criteri di attribuzione di significato agli enunciati normativi. Purtuttavìa esprimeva il suo più assoluto dissenso sulla metodologia impiegata, secondo lui, da Ferrajoli e dagli altri giudici di MD: quella che, in termini “lipariani”, venne definita come “me- todologia dei risultati”. Ciò significava, secondo Lipari, l’applicazione libera di qualsiasi metodo purché idoneo a condurre al risultato prefissato. Come dire, utilizzando la famosa espressione erroneamente attribuita a Machiavelli, che “il fine giustifica i mez- zi” e i mezzi, nel caso di Ferrajoli e dei suoi seguaci, si traducevano nella “scelta di campo” già illustrata. Secondo Lipari tutto questo si configurava come la riproposizione di una sorta di “diritto avvocate- sco”, come se il giurista fosse un avvocato che studia e sceglie il metodo più adeguato per perseguire l’interesse del cliente il quale, nel caso in specie del giurista, si traduceva in quell’interesse politico generale che aveva deciso di privilegiare.

Una metodologia dei risultati di tal tipo comportava la negazione di ogni indice di oggettività, di scientificità nella riflessione sul diritto. Egli, infatti, non intendeva confutare il postulato, più volte ribadito dai giuristi alternativi, della politicità del diritto, ma voleva sottoli- neare che da esso non poteva discendere la legittimazione di ogni possibile scelta di metodo, di “mezzo” per l’appunto, e quindi di qualsiasi possibile politica del diritto, pena la negazione della stori- cità del diritto e, dunque, della sua stessa dimensione politica. Ma vi è di più perché, oltre a negare la scientificità delle operazioni giudiziarie, Ferrajoli prescindeva, sempre secondo l’Autore dell’intervento, da ogni considerazione circa il livello alto entro il quale i valori dominanti risultavano ancora rilevanti e operanti nella società; una manchevolezza che era stata osservata anche da altri266.

266 Si fa riferimento all’intervento di Nicola Salanitro, “Tecniche interpretative e uso alternativo del diritto”, L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, p. 47. Egli sottolineava come in alcuni settori del diritto, in particolare nel diritto priva- to (disciplina dei contratti, associazioni, imprese, banche, assicurazioni …), la

92

In tal modo il giudice “alternativo” non faceva che legittimare l’operazione politica dei giudici conservatori, in quanto utilizzava la stessa tipologia di metodo267: partendo entrambi dal risultato,

dall’obiettivo che si voleva perseguire, sia si fosse trattato di una scelta di valore consistente in un’opposizione alle trasformazioni dell’assetto sociale o viceversa in una scelta valutativa radicalmente modificativa, si subordinava e condizionava ad esso qualsiasi inda- gine tecnica che risultava appropriata per il conseguimento del fine suddetto.

Inoltre Lipari criticava anche un’altra affermazione “ferrajoliana”, relativa all’art. 3 cpv., norma che quest’ultimo riteneva “inattuabile” nel sistema sociale dell’epoca268, e che invece per Lipari era “di-

rompente”269 all’interno dell’ordinamento vigente, poiché idonea

potenzialmente a far dichiarare l’illegittimità costituzionale di nu- merose norme ancora vigenti.

Arriviamo, infine, al già citato “paradosso lipariano”. Lipari, infatti, muoveva un’ultima obiezione a Ferrajoli, ritenendo che egli non era stato chiaro nel definire quale dovesse essere, sul piano operativo, il modo d’individuazione degli interessi delle classi subalterne deri- vante dalla ormai famosa “scelta di campo” operata da MD, posto che «della coscienza di classe non possono darsi interpreti autentici e privilegiati»270. E proprio a questo punto poneva il famoso para-

dosso: si prenda come ipotetico caso l’omicidio, compiuto in nome di una rivendicazione classista, di colui che eserciti in maniera ves- satoria il potere economico271. Il giudice Ferrajoli lo avrebbe assolto

forza di resistenza all’innovazione era forte e al tempo stesso sottovalutata da una giurisprudenza alternativa incentrata nella risoluzione di casi attinenti a quei settori del diritto che più si prestavano ad un suo uso alternativo, vuoi per la maggior facilità d’individuazione e comparazione degli interessi in conflitto, come nel caso del diritto penale, vuoi per l’intervento anche legislativo in tal senso, come nel caso del diritto del lavoro, in species dello Statuto dei lavoratori. 267 M. Cossutta, op. cit., p. 51.

268 Si rimanda a L. Ferrajoli, “Magistratura democratica e l’esercizio alternativo della funzione giudiziaria”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, pp. 105 ss.

269 N. Lipari, op. cit., p. 42. 270 N. Lipari, op. cit., p. 43.

271 Lipari parla di un caso ipotetico, pur avendo come riferimento l’allora recente Caso Sallustro. Oberdan Sallustro, imprenditore e direttore generale della Fiat in

93

o condannato? La risposta, dal punto di vista della giurisprudenza alternativa così come delineata da Ferrajoli, non risultava appagante in entrambi i casi, secondo Lipari. Infatti la scelta di assolverlo, pri- vilegiando quindi il valore della parità nell’equilibrio dei rapporti economici a discapito del valore vita, non sarebbe stata compresa dalla comunità dei consociati, i quali avrebbero sicuramente optato per il valore vita, ritenuto più importante. Viceversa, se lo avesse condannato, avrebbe individuato un “criterio-limite” nella tutela de- gli interessi delle classi subalterne, da rendere dunque necessaria- mente esplicito.

Come osserva anche Costa272, il dissenso di Lipari riguardava non solo il contenuto della teoria sociale presupposta dai giuristi e giudi- ci alternativi, ma soprattutto il suo valore di verità. Egli, come già affermato, riconosceva l’insopprimibile esistenza di giudizi di valo- re nell’operazione interpretativa, ma non concordava nella accetta- zione aprioristica del modello d’interpretazione “alternativo” consi- stente, a giudizio dell’Autore, in una metodologia dei risultati. «Non esiste un uso purchessia del diritto»; non si poteva attribuire, in sede interpretativa, un qualsiasi significato agli enunciati normativi, ma occorreva partire da un’analisi della società per rinvenire quali fos- sero quelli in grado di essere intesi dalla comunità (dagli operatori giuridici e dagli utenti del diritto273) e, conseguentemente, di avere

una possibilità di incidenza concreta. L’effettività consisteva pro- prio in ciò, nell’accordo su una certa interpretazione giuridica, una delle tante possibili in astratto. In questo senso il diritto non poteva mai essere elitario per Lipari, a meno di non voler fare un diritto an- tistorico, che precede la storia: un “non-diritto” e, conseguentemen- te, un suo “non-uso”.

L’intervento di Lipari venne ascoltato attentamente dai presenti al Convegno e, più di una volta, richiamato da alcuni partecipanti nei

Argentina, venne ucciso il 10 aprile 1972, venti giorni dopo il suo rapimento, dai combattenti del gruppo argentino Esercito Rivoluzionario del Popolo.

272 P. Costa, “L’alternativa presa sul serio: manifesti giuridici degli anni settan- ta”, in Democrazia e diritto, op. cit., p. 46.

273 Come si può notare, il concetto di “comunità giuridica” è assimilabile alla de- finizione di “cultura giuridica” proposta da Ferrajoli, cui si è fatto riferimento all’inizio di questo capitolo.

94

suoi aspetti essenziali. Un esempio ci è offerto dal successivo inter- vento di A. Pavone La Rosa274, il quale sintetizzò, esprimendone piena approvazione, la relazione di Lipari. Egli ribadiva che il dis- senso che divideva all’epoca la magistratura italiana non era più tra giudici apolitici e politici (come invece volevano far intendere Fer- rajoli e i suoi seguaci di MD) ma tra giudici concordemente consa- pevoli dell’insopprimibile dimensione politica caratterizzante l’attività interpretativa e discordanti circa il tipo di politica da attua- re. Il problema che poneva questo giurista, riprendendo Lipari, era quello della scelta del metodo per l’individuazione e selezione dei valori da attuare. Un metodo che doveva consentire la scelta di tali valori con criteri oggettivi, suscettibili di verificabilità; un metodo per così dire “scientifico”. Non si metteva, dunque, in dubbio la funzione politica del giurista, in primis del giudice, ma gli strumenti con i quali questi operava, onde evitare decisioni arbitrarie, non og- gettivamente fondate. Un problema percepito ancor più gravemente, perché Pavone La Rosa constatava che, a differenza di ciò che ri- guardava Parlamento e Governo, la Costituzione non prevedeva al- cuna garanzia specifica per assicurare che la funzione giudiziaria ri- spondesse alle istanze della collettività275. Tuttavia egli qui si fer-

mava lasciando aperta la problematica e non fornendo alcun sugge- rimento in proposito, evidentemente concordando circa le conclu- sioni del discorso di Lipari, cui si rimanda.

Ci fu poi chi contestò, riprendendo implicitamente un punto-chiave del discorso di Lipari, la sopravvalutazione dei principi costituzio- nali, in particolare dell’art 3 cpv., che era stata attribuita soprattutto da Ferrajoli per lo sviluppo di una giurisprudenza alternativa. Anto- nio Cataudella, nel proprio intervento276, elencò schematicamente i

limiti all’utilizzo della Costituzione da parte di MD per giustificare

274 A. Pavone La Rosa, “Dubbi e perplessità sulla ipotesi di una «funzione sup- plente» della magistratura”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, pp. 65-67.

275 Per il Parlamento e il Governo, due organi dotati di funzioni politiche, la Co- stituzione prevede, per fare alcuni esempi, l’elettività, la responsabilità politica, il mandato a tempo determinato.

276 A. Cataudella, “L’uso alternativo del diritto privato e del diritto del lavoro e i pericoli di interpretazioni «involutive»”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, pp. 137-139.

95

un uso alternativo del diritto. Anzitutto non tutte le norme sono pas- sibili di più interpretazioni; se lo sono non è necessariamente detto che, tra le varie interpretazioni, almeno una si presti a configurarsi come “alternativa” rispetto a quella borghese; infine, se effettiva- mente nessuna di esse può essere considerata alternativa, il richiamo alle norme costituzionali, rectius ai principi costituzionali, non ri- solve questo problema, ma evidenzia, quando vi sia, l’esistenza di un contrasto tra la norma ordinaria suddetta e la norma costituziona- le, che deve essere risolto a favore di quest’ultima dall’organo com- petente, ossia dalla Corte Costituzionale.

Inoltre, per ciò che concerne specificamente l’art. 3 cpv., sia Catau- della che Ricca277, sminuirono l’importanza a questi riservata da

Ferrajoli, concordando con Lipari sul fatto che tale articolo potesse e dovesse essere utilizzato in quello ordinamento, in quella società e non in una società “futura” e avente determinate caratteristiche (so- cialista), sempreché l’interpretazione alternativa potesse essere con- siderata ancora “interpretazione”, e aggiungendo altresì la conside- razione che non solo il principio di uguaglianza sostanziale, ma tutti i principi costituzionali nel loro insieme fossero importanti per un uso alternativo del diritto. Non solo, quindi, occorreva far riferimen- to a quei principi, come l’art. 3 cpv., espressione degli interessi delle classi subalterne, ma anche a quei principi espressione dei valori borghesi. Ricca, a tale proposito, sosteneva che la prova delle argo- mentazioni suddette si rinveniva nello stesso Convegno, nel diverso modo di intendere l’uso alternativo del diritto da parte dei giuristi di sinistra italiani e di quelli tedeschi. Questi ultimi intendevano l’alternativa come l’attuazione completa e integrale dei principi e garanzie costituzionali, in primis anche delle libertà formali borghe- si.

Ci fu infine chi, come Governatori, riprese sì alcune argomentazioni “lipariane”, ma rovesciandone completamente lo spirito. Egli, all’inizio del proprio intervento278, si occupò del profilo metodolo-

gico, riconoscendo ancora una volta a Lipari l’acuta osservazione

277 L. Ricca, “Uso alternativo del diritto privato, interpretazione e principi costi- tuzionali”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, pp. 154-155.

278 F. Governatori, “Orientamenti della giurisprudenza, riviste giuridiche e mezzi di comunicazione”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, pp. 51 ss.

96

che non esistesse, tra i partecipanti al Convegno, una identica con- vinzione circa il metodo da seguire. Di questa ambiguità di metodo erano prova due elementi. Il primo faceva riferimento alla defini- zione del tema da trattare al Convegno. Se in un documento prepa- ratorio si poteva leggere l’intitolazione “Significato della interpreta- zione di classe del diritto borghese”, nel programma definitivo si leggeva invece “Significato dell’uso alternativo del diritto”. Questa diversità, oltre ad indicare la tendenza ad utilizzare formule che creassero il minor scandalo possibile nell’opinione pubblica borghe- se (quanto meno nella presentazione del tema, non potendo non su- scitare scandalo per i suoi contenuti), indicava in primo luogo che nessuno dei promotori e partecipanti aveva le idee chiarissime e concordi su come affrontare l’argomento oggetto del Convegno. Il secondo elemento che dimostrava questa ambiguità di metodo de- rivava da una constatazione direttamente operata da Governatori stesso. Egli sosteneva che alcuni, forse troppi, dei partecipanti al Convegno si erano preoccupati di presentare il tema dell’uso alter- nativo del diritto in termini meramente teorici, anzi addirittura astratti, senza aver alcun riguardo alla prassi. Non che una formula- zione teorica non servisse, ribadiva Governatori, ma essa era essen- ziale fintanto che analizzasse i dati del reale, che si servisse di una metodologia in grado di partire dall’esame approfondito della socie- tà, per verificare le possibilità concrete di sviluppo di un uso alter- nativo del diritto. In questo senso Governatori riprendeva alcuni spunti lipariani, ma li utilizzava al tempo stesso per difendere la magistratura, soprattutto MD, dalle critiche ad essa mosse dallo stesso Lipari e dai suoi “seguaci”. Per questo motivo si rivolgeva anche a Tarello279, dicendogli che avrebbe dovuto rivolgere la stessa

finezza di analisi condotta per la scienza giuridica anche alla prassi giuridica, in primis dei giudici di MD, per scoprire come, in realtà, ciò che maggiormente interessava al giurista non erano alcune for- mulazioni teoriche attribuite a MD, ma la loro attività concreta, il preciso impegno politico di questo movimento. Riflesso di tale pro- spettiva era anche la pubblicazione della rivista “Quale giustizia”, diretta a fornire una documentazione accurata di quella prassi giudi- ziaria.

279 F. Governatori, op. cit., p. 54.

97

L’attenzione alla prassi aveva indubbiamente anche un’altra funzio- ne. Serviva a selezionare quali delle proposte teoriche si rivelavano, nel confronto con la realtà, effettivamente possibili e non contro- producenti. Un esempio del rapporto tra teoria e prassi è fornito da Governatori stesso, il quale raccontò un episodio che lo vide come protagonista di un clamoroso errore politico riguardante lo Statuto dei lavoratori. Come si può leggere in un articolo apparso in uno dei primi numeri di “Quale giustizia”, alcuni colleghi di Governatori espressero delle notevoli critiche a quella legge, all’epoca non anco- ra approvata dal Parlamento. Essi ritenevano, infatti, che fosse asso- lutamente inadeguata e inutile dal punto di vista pratico. Governato- ri consentì la pubblicazione di tali critiche ma, una volta entrata in vigore tale legge e applicata, sia egli che i suoi collaboratori dovet- tero ricredersi sulla sua effettiva e positiva portata pratica; positiva per i fini prefissati dalla giurisprudenza alternativa280.

Anche Domenico Pulitanò, nel proprio breve ma significativo inter- vento281, tenne a sottolineare come le critiche rivolte agli esponenti

di MD riguardassero solo alcune elaborazioni teoriche e metodolo- giche, trascurandone la prassi alternativa da questi condotta e, in particolare, la valutazione dei contenuti delle decisioni prese. «L’uso alternativo del diritto, là dove è possibile, è per noi un pro- blema politico prima che teorico» e «i magistrati democratici non sono tenuti ad essere tutti dei filosofi del diritto»282.

In realtà egli affrontò anche altre critiche che erano state mosse a MD come, ad esempio, quella che sottolineava come non sempre erano possibili interpretazioni alternative del diritto283.

Un’osservazione che Pulitanò definì come un’ovvietà, poiché i giu- dici di MD erano ben consapevoli che un uso alternativo del diritto

280 D’altronde, sottolinea S. Rodotà, “Repliche”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, p. 301 ss., si è molto parlato del giudice e della possibilità da par- te di questi di un uso alternativo del diritto compatibilmente con i suoi modi di azione, senza invece porre minimamente attenzione al momento d’innovazione legislativa, momento nel quale più si evidenziano le contraddizioni e fratture presenti nell’ordinamento.

281 D. Pulitanò, “Le deformazioni autoritarie della giurisprudenza dominante e la lotta di magistratura democratica per l’attuazione dei valori democratici”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, pp. 61-63.

282 D. Pulitanò, op. cit., p. 63.

98

potesse configurarsi solo come “parziale”, ma che proprio nelle par- ti in cui ciò risultava possibile era legittimo e doveroso intervenire. Dello stesso avviso Ferrajoli, nel suo intervento-replica284, nel quale

sosteneva anzitutto di non aver mai mitizzato né sopravvalutato la Costituzione, essendo frutto di un compromesso tra diverse forze politiche. Nonostante ciò essa rappresenta «la legge più avanzata del nostro ordinamento», introducendovi principi favorevoli all’emancipazione delle classi subalterne. Principi espressamente in contrasto con altri di matrice “borghese”, ma ciononostante richia- mati strumentalmente per un’interpretazione alternativa del diritto borghese. Ecco spiegato il richiamo non alla Costituzione per intero, ma solo ad alcune sue parti.

Quanto all’importanza “eccessiva” ed “eversiva” attribuita all’art. 3 cpv., le contraddizioni che si ponevano tra questa norma e il resto dell’ordinamento erano contraddizioni, per Ferrajoli, “oggettive e insuperabili”, che dunque non si risolvevano in virtù del richiamo al principio teorico della coerenza e della sistematicità dell’ordinamento, ma mediante una modificazione radicale e in sen- so socialista di esso, indipendentemente dalle eventuali pronunce della Corte Costituzionale.

Venendo, infine, al paradosso lipariano provocatoriamente a lui ri- volto, Ferrajoli anzitutto confermò che la giurisprudenza alternativa si poneva esattamente agli antipodi rispetto a quella conservatrice, in quanto espressione di valori politici opposti, di finalità opposte e di metodi interpretativi e applicativi della legge altresì opposti. Tut- tavia egli non ne faceva derivare il problema della ricerca di un me- todo oggettivamente fondato che potesse attribuire una maggior le- gittimità e, quindi, prevalenza alle scelte di valore alternative, altri- menti equiparabili a quelle borghesi. Anzi a dover parlare di “legit- timità” in senso proprio, sarebbe stata molto più legittima la giuri- sprudenza alternativa piuttosto di quella conservatrice e involutiva, quanto meno perché la prima “guardava al futuro”, all’applicazione concreta della Costituzione. Tuttavia non era questa la questione, secondo Ferrajoli. Infatti, laddove si parli di scelte politiche di valo- re, il problema non è di legittimità ma di “forza”. Le soluzioni giuri-

284 L. Ferrajoli, “Repliche”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, pp. 287-294.

99

sprudenziali conservatrici non erano rilevanti in quanto legittime, ma in quanto conformi agli interessi delle classi dominanti, delle classi al potere. Esse «sono sempre legittime perché legittimate, di fatto, dal potere»285. Il potere è per definizione legittimo, in quanto

implica una qualche complicità, il “consenso” di colui che al potere si assoggetta. Era questa la grande lezione di Weber286, il quale ave- va distinto il “potere” dalla “potenza” proprio per tali caratteristiche. Ritornava altresì alla mente, in questo discorso di Ferrajoli, la di- scussione sul punto di vista interno del giurista, discussione già esaminata287.

Giungiamo così al “punctum pruriens” della replica di Ferrajoli. Se,