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Marx e l’uso alternativo del diritto

CAPITOLO SECONDO: Il dibattito

6. Marx e l’uso alternativo del diritto

«Un grande uomo condanna gli altri a spiegarlo»294, aveva afferma-

to Cerroni, riportando una citazione di Hegel. «E li condanna», pro- seguiva sempre costui, «perché nelle cifre del testamento lascia la previsione del secolo che verrà»295, ribadendo la sua disapprovazio-

ne per la tesi di Leonardi sull’uso precettistico dell’analisi marxista,

290 F. Leonardi, “Uso sostantivo, precettistico e metodologico dell’analisi marxi- sta nell’esperienza giuridica”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, pp. 69 ss.

291 U. Cerroni, “Repliche”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, pp. 306-307.

292 A. Di Majo, “Repliche”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, pp. 298-300.

293 A tale proposito si rimanda al Capitolo Terzo. 294 U. Cerroni, cit., p. 305.

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cui si è fatto cenno alla fine del precedente paragrafo. Nonostante ciò egli lo ringraziava, anche a nome dei presenti, in primis per aver consentito, in qualità di preside della Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lo svolgimento del Convegno ed altresì per avere, con il suo intervento da sociologo (e non da giurista), posto le premesse per alcuni utili spunti critici e per alcuni necessari chiarimenti. An- zitutto Leonardi aveva parlato, a proposito dei partecipanti al Con- vegno, di giuristi “battezzati”296, ossia di giuristi che solevano quali-

ficarsi come marxisti, impedendo dunque la messa in discussione dei postulati ideologici alla base delle proprie relazioni, così come non avrebbe avuto senso in un convegno tra giuristi “cattolici”, esemplificava sempre Leonardi, un dibattito volto a contestare i po- stulati espliciti del termine “cattolici”. Cerroni non concordava con questa definizione “leonardiana” dei giuristi, sottolineando come, in realtà, il Convegno era stato positivo sul piano teorico proprio per- ché non era stato «una serie di atti di fede e di speranza di battezza- ti»297, ma un confronto aperto e critico con tutte le posizioni, anche

con quelle che non si rifacevano al “marxismo”, rectius al marxismo “correttamente inteso”. A questo proposito, un’indicazione utile ci proviene, ancora una volta, dal preside che, dopo aver distinto tra i vari possibili usi del marxismo nell’esperienza giuridica (tra i quali vi rientra per l’appunto l’uso precettistico), faceva riferimento ad una sorta di “complesso d’inferiorità del giurista”298, configurandosi

quest’ultimo come tecnico di una scienza riconducibile all’ambito sovrastrutturale del reale e, quindi, non avendo alcuna possibilità d’incidenza sulla realtà, ma anzi essendo essa stessa “determinata” dalla struttura economica. E, proprio per uscire da tale complesso, il giurista sarebbe stato costretto ad affermare l’esistenza di un rappor- to di condizionamento reciproco tra struttura e sovrastruttura, come conditio sine qua non affinché potesse essere teorizzata una “politi- ca del diritto” di stampo marxista all’interno di società di tipo capi- talistico, con il rischio, paventato dallo stesso Leonardi, di assumere una posizione “sospettabile di revisionismo”. Del resto una interpre-

296 F. Leonardi, “Uso sostantivo, precettistico e metodologico dell’analisi marxi- sta nell’esperienza giuridica”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, p. 69.

297U. Cerroni, “Repliche”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, p. 305. 298 F. Leonardi, op. cit., p. 70.

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tazione siffatta del diritto in termini sovrastrutturali non era infre- quente all’epoca e appariva, sotto alcuni aspetti, confermata dallo stesso Marx. Da premettere che le pagine che Marx dedicò al diritto non furono molte e se ne rinvengono frammenti sparsi nelle varie opere da lui redatte. C’è un passo, in particolare, di questo autore che venne utilizzato per giustificare l’interpretazione del diritto co- me mera sovrastruttura. Si fa, infatti, riferimento al seguente passo, contenuto nella “Prefazione” a “Per la critica dell’economia politi- ca”: «Il risultato generale al quale arrivai e che una volta acquisito mi servì da filo conduttore nei miei studi può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono ad un de- terminato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate di coscienza sociale»299. Ad una prima lettura le parole

di questo passo sembrano molto chiare nel delineare la sovrastruttu- ra (ossia il diritto, la cultura, la politica, la religione …) come asso- lutamente dipendente da una struttura economica sulla quale poggia e dalla quale scaturisce. È la teoria del “materialismo storico” o de- terminismo economico300, ossia la convinzione che la forza propul-

siva della storia non risieda nella sua dimensione “spirituale”, ma nella dialettica interna alla base economica (o “struttura”) di un de- terminato assetto sociale tra le forze produttive (ossia le risorse ma- teriali disponibili in un dato tempo presso una data società, compre- so il lavoro) e i rapporti di produzione (cioè i rapporti di proprietà secondo i quali è distribuita la ricchezza presso una data società). A questo proposito, Marx muoveva una duplice critica ai giusnaturali- sti, poiché se è vero che la storia dell’umanità ubbidisce a delle leg- gi (economiche) necessarie, queste ultime non possono essere vani- ficate mediante la volontà umana. Da ciò derivava un ulteriore co-

299 K. Marx, “Prefazione”a Per la critica dell’economia politica, Milano, Lotta Comunista (Biblioteca giovani), 2009, p. 10-11.

300Si rimanda, a tale proposito, a K. Marx, F. Engels, L' ideologia tedesca : criti- ca alla più recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, B. Bauer e Stirner, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti, Roma, Editori Riuniti, 1958.

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rollario: non esistono valori eterni ed immutabili, perché i concetti e gli ideali morali, politici, etc. si trasformano grazie alle condizioni sociali e materiali dalle quali originano. In questo senso, Marx criti- cò anche i “Giovani hegeliani”301, i quali si illudevano di andare ol-

tre Hegel, in realtà ripetendone il vizio “d’origine” del suo sistema, ossia l’inversione idealistica del rapporto tra realtà e pensiero, poi- ché «non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che deter- mina la coscienza»302 e questa vita “come uomini”, che li differen-

zia dagli animali, consiste nel produrre i mezzi per la propria sussi- stenza. Essendo, dunque, i valori non metastorici, ma storicamente determinati (ossia espressione delle condizioni materiali della pro- duzione), chi si illude, come la classe borghese, d’individuare valori eterni e immutabili, in realtà, non fa altro che elevare i propri valori e ideali a valori eterni e immutabili, compiendo così un atto mistifi- cante, ideologico. L’ideologia borghese è, infatti, la falsa rappresen- tazione che la classe dominante attribuisce a se stessa, quale classe al potere. Il diritto, seguendo questa impostazione e interpretazione delle opere marxiste, non è altro che lo strumento di dominio inven- tato dalla classe dominante per imporre alle classi subalterne l’ordinamento dal quale dipende la loro soggezione. Lo stesso Ehr- lich303, per esempio, aveva interpretato in tal modo la concezione marxista del diritto, pur se con l’obiettivo di confutarla. Un’interpretazione siffatta, come osservava Cerroni, non poteva sol- lecitare “reali interessi scientifici”304, cosicché gli studi giuridici ve-

nivano “scartati” dalla cultura marxista. In realtà, pur se tale inter- pretazione riprendeva letteralmente, come abbiamo visto, alcuni passi redatti da Marx, tuttavia ostava con altre affermazioni dello stesso autore. Ritenere che il diritto sia un’invenzione della classe dominante per mantenere e perpetuare il proprio dominio significa,

301E. Ripepe, “Il diritto in Marx”, in Prospettive di filosofia del diritto del nostro tempo, Torino, G. Giappichelli Editore, 2010, p. 126.

302 K. Marx, F. Engels, L' ideologia tedesca, op. cit., p. 41.

303 C’è, infatti, chi ritiene che la sua opera più rilevante, “I fondamenti della so- ciologia del diritto”, al di là degli intenti estrinsecamente anti-formalistici, sia volta a dimostrare l’infondatezza della tesi secondo la quale il diritto, o quanto meno la minaccia della sanzione giuridica, costituisca per l’appunto lo strumento di dominio delle classi dominanti volto alla conservazione dell’ordine sociale esistente.

304 U. Cerroni, “Il problema della teorizzazione dell’interpretazione di classe del diritto borhgese”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, p. 3.

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sostanzialmente, sostenere che esso sia riconducibile alla “volontà” arbitraria e discrezionale di una classe, osservava ancora Cerroni305. Ma, dunque, ciò significa ridurre il diritto alla volontà e, quindi, ri- prendere in tal modo una delle concezioni più tradizionali della filo- sofia del diritto. Non solo. L’idea di una volontà libera e arbitraria del legislatore “borghese” non è concepibile in una concezione, qua- le quella marxista, che utilizza categorie come quella della “totali- tà”. Infatti, se la vita dell’uomo è dettata dal modo in cui egli produ- ce, dal “modo di produzione”, quest’ultimo, a sua volta, non può non ripercuotersi sulle sue relazioni sociali, cosicché «nessuna delle attività umane può avere un’esistenza separata dalla vita della socie- tà nella quale trova il proprio humus»306. Per questo motivo “la cosa

nella sua totalità”307 non può non comprendere anche il diritto che,

dunque, non potrebbe avere un’esistenza del tutto autonoma, come invece sarebbe se i contenuti fossero a disposizione del legislatore. L’idea che il diritto possa essere espressione della volontà arbitraria di qualcuno è, quindi, una pura illusione, denunciata da Marx stesso: l’illusione dei giuristi è «l’illusione che la legge riposi sulla volontà, ed anzi sulla volontà strappata dalla sua base reale»308. Il diritto bor-

ghese è sì la volontà della classe borghese elevata a legge, ma il contenuto di tale volontà è dato dalle condizioni materiali di esi- stenza di quella classe, dalle condizioni materiali della produzione. Quello che Marx intendeva stigmatizzare era appunto questa so- pravvalutazione della volontà nella formazione del diritto da parte dei giuristi, che celava altresì un’identificazione del diritto con la legge309. Ma ciò di per sé non significava anche ritenere che il dirit-

to costituisse l’espressione im-mediata (non mediata) delle condi- zioni materiali della produzione. Infatti il diritto, essendo un feno- meno sovrastrutturale, è destinato a variare al variare della struttura, ma è vero anche il contrario. E proprio gli esponenti del dibattito sull’uso alternativo misero in evidenza l’influenza concreta e anche “potenziale” del diritto sulla struttura economica. A tale proposito,

305Ibidem.

306 E. Ripepe, “Il diritto in Marx”, in Prospettive di filosofia del diritto del nostro tempo, op. cit., p. 129.

307 K. Marx, F. Engels, L' ideologia tedesca, op. cit., p. 77. 308 K. Marx, F. Engels, L' ideologia tedesca, op. cit., p. 48.

309 E. Ripepe, “Il diritto in Marx”, in Prospettive di filosofia del diritto del nostro tempo, op. cit., p. 131.

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Guastini osservava che bastava riflettere su alcune parole utilizzate da Marx nelle sue varie opere già in parte citate per comprendere l’importanza del diritto come “sovrastruttura”. Marx dice ripetuta- mente che i rapporti di produzione «devono [müssen], necessaria- mente [notwendig], avere un linguaggio giuridico [juristischerAu- sdruck]»310. Tale necessità, concludeva Guastini, non poteva che de- rivare dal fatto che il diritto-sovrastruttura non è un di più rispetto al modo di produzione, ma costituisce la sua «imprescindibile condi- zione di funzionamento»311. Non a caso la terminologia di Marx

oscilla nel designare i “rapporti di produzione” come “rapporti di proprietà” poiché, senza l’utilizzo delle forme giuridiche del con- tratto e della proprietà, il modo di produzione capitalistico non po- trebbe funzionare312. Si può quindi concludere che l’interpretazione

fornita dal “marxismo teorico dominante” non ammetteva l’esistenza quanto meno di un “rapporto di concausazione” tra dirit- to e struttura economica. Per questo motivo, in una concezione sif- fatta, non era possibile un uso alternativo del diritto, che neanche poteva essere teorizzato, osservava ancora Guastini313. Una volta

abbandonata questa impostazione, come utilizzare la concezione marxista del diritto quale assunto di base per la formulazione di un’interpretazione alternativa del diritto nel contesto storico-sociale degli anni settanta? A parere di Cerroni314 occorreva, anzitutto, porsi

un problema assai complesso: dimostrare che esisteva un “classi- smo” nella società dell’epoca, ossia una tendenza da parte di gruppi e istituzioni a favorire una classe (ovviamente quella dominante) a discapito dell’altra, anche laddove nessun vantaggio venisse sanzio- nato per condizioni diseguali. Era necessario, proseguiva Cerroni, «riflettere sull’affermazione di Marx che “il diritto è trattamento

310 R. Guastini, Marx : dalla filosofia del diritto alla scienza della società, Bolo- gna, Il Mulino, 1974, p. 302.

311Ibidem.

312 R. Guastini, “Fondamenti teorici del cosiddetto «uso alternativo del diritto» nel marxismo”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, pp. 8-9.

313 R. Guastini, “Fondamenti teorici del cosiddetto «uso alternativo del diritto» nel marxismo”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, p. 10.

314 U. Cerroni, Il problema della teorizzazione dell’interpretazione di classe del diritto borghese”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, p. 5.

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eguale di condizioni diseguali”»315. Da questa riflessione si ricava

che il diritto classista in questione è, in primis, un diritto “formale”, in quanto consistente nel trattamento “formalmente eguale” di con- dizioni individuali diseguali. Un tale trattamento è però possibile so- lo «quando tutte le condizioni soggettive siano diventate “individua- li”»316. Questa individualizzazione degli agenti della produzione è

un’esigenza, come specifica Guastini, propria del modo di produ- zione capitalistico317. L’atomizzazione degli individui, il renderli

“formalmente” uguali consente, infatti, di mettere in rapporto i lavo- ratori con i mezzi di produzione, mediante l’istituto giuridico del “contratto di lavoro di salariato”, e inoltre di rendere difficile l’unità e la coscienza di classe. Tutto ciò comporta una “spaccatura”, os- serva Cerroni318, nella società borghese tra la sfera dell’attività pro-

duttiva individualistica e quella dell’attività politica collettiva. La prima ha come caratteristica peculiare di essere “inaggregabile”, mentre la seconda diventa “astratta”, “irreale” in quanto Stato e vita politica si configurano come inaccessibili ai cittadini. Per quanto ri- guarda il primo aspetto, abbiamo già detto a proposito del contratto di lavoro salariato come strumento funzionale all’esistenza e al mantenimento dell’ordinamento giuridico borghese, assieme alla proprietà e ad altri istituti giuridici volti a garantire un diritto for- malmente eguale. Marx, a tale proposito, era stato chiaro nell’affermare che questa situazione di atomizzazione e “finta” uguaglianza sarebbe finita solo con la fine del modo di produzione capitalistico. Questo era anche il motivo, lo ricorda Seifert nel suo intervento319, per il quale Marx ed Engels avevano negato che

l’eliminazione del principio del lavoro salariato potesse essere sosti-

315Ibidem.Cerroni fa, infatti, implicito riferimento all’affermazione di Marx se- condo cui il diritto eguale è sempre «per il suo contenuto, un diritto della disu- guaglianza, come ogni diritto». K. Marx, Critica al programma di Gotha, Mo- sca, Edizioni in lingue straniere, 1947, p. 25.

316 U. Cerroni, Il problema della teorizzazione dell’interpretazione di classe del diritto borhgese”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, p. 5-6.

317 R. Guastini, “Fondamenti teorici del cosiddetto «uso alternativo del diritto» nel marxismo”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, p. 9.

318 U. Cerroni, op. cit., pp. 6 ss.

319 J. Seifert, “La concretizzazione delle «formule emancipatorie» della Costitu- zione nella giurisprudenza”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, pp. 131-132.

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tuito «da fandonie ideologiche di carattere giuridico o simili»320.

Tuttavia ciò non significa che essi ritenevano superate le lotte per il diritto. Infatti, rifiutando l’interpretazione propria del marxismo teo- rico dominante, si comprende come Marx non affermi affatto che la volontà, e dunque il diritto che della volontà del legislatore è espres- sione, non abbia efficacia costitutiva della realtà321. Ad esempio egli guardò con favore alla legge inglese sulla riduzione dell’orario di lavoro alle dieci ore lavorative del 1847, definendolo addirittura un “provvedimento rivoluzionario”, la «modesta Magna Charta di una giornata lavorativa limitata dalla legge»322, da preferire di gran lun-

ga rispetto ad un mero elenco dei diritti dell’uomo323. Marx conside-

rava, infatti, clausole di emancipazione sociale quelle norme giuri- diche che non si limitavano a dichiarare l’esistenza dei diritti di li- bertà e di partecipazione, ma che incidessero sulle condizioni mate- riali324, ad ulteriore conferma, se ancora ve ne fosse bisogno, che il diritto è determinato ma a sua volta “determina” la struttura econo- mica. Alcuni giuristi “alternativi”325, per fornire una conferma ulte-

riore, si soffermarono proprio sull’identificazione del termine “dirit- to” con quello di “diritto borghese”; un’identificazione, a loro avvi- so, errata (o comunque non esaustiva) per due ordini di motivi. An- zitutto perché le sovrastrutture sono, per l’appunto, relativamente autonome dalla struttura di base, e altresì perché è proprio il caratte- re dialettico della realtà, quale entità discontinua percorsa da fratture

320 K. Marx, Critica al programma di Gotha, op. cit., p. 26.

321 Interpretazione, invece, propria della social-democrazia tedesca. Si può ricor- rere ad un’espressione significativa a tale proposito: Marx era un determinista, ma non un fatalista, cioè riteneva comunque rilevante e incisivo l’intervento del diritto sulla struttura economica. Del resto, l’auspicato passaggio dal capitalismo al socialismo sarebbe stato scandito da un atto di natura giuridica: l’espropriazione dei mezzi di produzione.

322 K. Marx, Il Capitale, Roma, Editori Riuniti, 1970, Libro I, p. 189.

323 La critica, come si può intuire, è alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” francese del 1789.

324 J. Seifert, “La concretizzazione delle «formule emancipatorie» della Costitu- zione nella giurisprudenza”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, p. 132.

325 Il riferimento è principalmente a R. Guastini, “Fondamenti teorici del cosid- detto «uso alternativo del diritto» nel marxismo”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, pp. 11-12, e a S. Rodotà, “Funzione politica del diritto dell’economia e valutazione degli interessi realizzati dall’intervento pubblico”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, pp. 232-233.

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e contraddizioni, che comporta la concezione di ciascun fenomeno come “unità di due opposti”, che ha quindi origine dalla lotta degli opposti, dei quali uno è quello dominante ma non esclusivo. Ecco perché il diritto “borghese” è «il prodotto della lotta di due clas- si»326, in quanto da un lato è funzionale alla classe borghese per la

conservazione del modo di produzione capitalistico, ma dall’altro corrisponde in qualche modo anche agli interessi di emancipazione delle classi subalterne. Ad esempio, le stesse leggi limitative dell’orario di lavoro sicuramente migliorano le condizioni di vita e di lavoro del proletariato, e per questo motivo meritano il sopran- nome di Magna Charta, ma dall’altro punto di vista consentono al capitale di progredire, passando dalla produzione di plusvalore asso- luto alla produzione di quello relativo. Ecco perché si deve guardare alle contraddizioni, secondo i giuristi alternativi: perché solo dalla loro emersione si potrà cogliere l’intrinseca ambivalenza delle nor- me anche e soprattutto costituzionali e utilizzarla a favore delle classi sfruttate. Emblematico, a tale riguardo, rimane il già citato art. 3 della Costituzione, che prevede al primo comma un principio di eguaglianza formale a favore della classe borghese, mentre nel se- condo comma un principio di eguaglianza sostanziale utilizzabile, dunque, a favore e come “promessa” di riscatto delle classi subal- terne.

Ma torniamo alla “spaccatura” della società borghese cui accennava Cerroni. Per quanto riguarda l’inaccessibilità allo Stato e alla vita politica, Cerroni sostiene che il punto di partenza per una concezio- ne alternativa del diritto non può che essere la critica allo Stato e al diritto esistenti. E, con riferimento alla critica dello stato, egli evi- denzia come all’epoca la scienza giuridica di ispirazione marxista non si era ancora occupata di elaborare una teoria critica dello Stato rappresentativo. Da precisare che quando Marx aveva condotto tale critica, in polemica con Hegel, non aveva affatto inteso auspicare la fine di ogni rappresentanza, ma solo la fine del tipo di “democrazia diretta” propria dello Stato borghese, «volta a proclamare la sovra- nità popolare di tutti solo per promuovere l’esercizio delegato ri-

326 L’espressione è di R. Guastini, “Fondamenti teorici del cosiddetto «uso alter- nativo del diritto» nel marxismo” in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, p. 11.

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stretto e separato»327, la fine di quello “Io comune” caratteristico

della “Volontà Generale” così come delineato da Rousseau. Secon- do Cerroni, quindi, il tema sfuggito ai giuristi marxisti era proprio