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Verso la costruzione di una teoria “alternativa”: l’adozione della prospettiva marxista come strumento per porre fine alla

CAPITOLO SECONDO: Il dibattito

2. Verso la costruzione di una teoria “alternativa”: l’adozione della prospettiva marxista come strumento per porre fine alla

“ideologia della separazione”

L’alternativa pervenne proprio grazie all’adozione del marxismo come assunto di base per l’elaborazione di una teoria socio-politica

154 L’espressione è di M. Barcellona, “La scienza giuridica italiana e il marxismo prima e dopo l’uso alternativo del diritto”, in Diritto e culture della politica, a cura di Stefano Rodotà, Roma, Carocci Editore, Annali 2003, pp. 71-73.

155 M. Barcellona, op. cit., p. 72.

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complessa, incentrata sul riconoscimento e l’emersione delle con- traddizioni inerenti al rapporto capitale-lavoro. È chiaro che, come osserva Cerroni157, questa operazione relativa all’emersione delle

contraddizioni era complessa e doveva essere eseguita sia in ambito economico, che politico che del diritto, ma il senso principale di es- sa, riconducibile nell’ambito di una “politica dell’interpretazione giuridica”, consisteva nella esaltazione delle fratture dove si annida il conflitto politico-sociale. A tale proposito, le due categorie che spiegano il perché del privilegio tematico della contraddizione sono quelle della dialettica e della totalità158. Si tratta non di formule vuo-

te, ma della convinzione di dover disporre di una teoria della società che concepisca il proprio oggetto come una totalità, un tutto reale, le cui articolazioni appaiono comprensibili solo dialetticamente, nei rapporti con essa: «il principio fondamentale della conoscenza in generale» è che «il generale si può intuire soltanto nel particolare, e il particolare si può pensare soltanto avuto riguardo al generale»159.

Il programma di un uso alternativo del diritto fonda, quindi, se stes- so rinviando alla contraddizione, dialettica e totalità. Non a caso questo incontro tra il sapere giuridico e il marxismo verrà salutato dalla rivista “Democrazia e diritto” come un avvenimento di grande rilievo per tentare di ricostruire la società come un tutto. Esso si po- ne, infatti, come il segno di una critica del sapere e della pratica giu- ridica e quindi, contestualmente, nella possibilità di trasformazione dell’ordinamento. Il ricorso a Marx, sottolinea Barcellona160, non è

una questione di mero aggiornamento culturale, ma appare come “una necessaria rettifica di conti che non tornano”. Solo una teoria fondata sulle contraddizioni sociali può offrire una lettura della real- tà sociale corretta e una possibilità di intervento. Questo segnerà la fine dell’ideologia della separazione, la quale si specifica in “tre se-

157 U. Cerroni, “Il problema della teorizzazione dell’interpretazione di classe del diritto borghese”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, pp. 1 ss.

158 P. Costa, op. cit., p. 35.

159 E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, Firenze, La Nuova Italia, 1961, n. I, pp. 20-21.

160 P. Barcellona, Introduzione a L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, p. XVIII. In realtà egli si riferisce all’intervento di Biagio De Giovanni, “Significa- to e limiti del «riformismo» giuridico”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, pp. 253-267.

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parazioni”, come descrivono efficacemente Barcellona e Cotturri161:

la separazione fra legalità ed etica sociale, riconducibile storicamen- te ad Emanuele Kant; la separazione fra politica ed economia, risa- lente ad Adam Smith; la separazione fra lo Stato e la società civile, riconducibile alla Scuola Storica di Savigny.

Porre fine all’ideologia della separazione implicava ovviamente la rinuncia alla sua struttura portante, ossia ai meccanismi di media- zione tradizionale, che fino ad allora avevano caratterizzato il ruolo e la figura del giurista, e che in quel momento storico sembravano esser messi in discussione dallo stesso assetto capitalistico della so- cietà e dalle sue istituzioni statuali e giuridiche. Sollecitare l’emersione delle contraddizioni all’interno dei vari settori giuridici (diritto costituzionale, privato, del lavoro...) serviva innanzitutto a fornire all’analisi della scienza giuridica quella concretezza necessa- ria ad evitare le ormai frequenti e irrealistiche semplificazioni nell’elaborazione dei concetti e delle categorie giuridiche, conside- rati come il frutto di operazioni meramente logiche. Come osserva Barcellona162, la formazione di essi avviene mediante il criterio e

metodo dell’astrazione generalizzante. Quest’ultimo consiste nel ri- durre la molteplicità dell’esperienza ad unità, grazie alla selezione delle “qualità” comuni, le quali rendono le categorie così createsi permanenti e ripetibili, in quanto investono non il contenuto ma la forma, sempre costante, del diritto163. Ad esempio, la molteplicità di

accordi, contratti, operazioni economiche etc vengono definite dal giurista come modalità di manifestazione della stessa essenza, ossia della categoria “negozio giuridico”.

Si astraggono quindi, da ogni rapporto materiale, delle caratteristi- che considerate comuni, eliminando invece tutte quelle determina- zioni soggettive e oggettive che farebbero di ciascun rapporto un unicum. Ma una selezione presuppone ovviamente una scelta di quali qualità considerare generali. E che cos’è una scelta se non il frutto di una valutazione, l’espressione di un giudizio di valore da

161 P. Barcellona, G. Cotturri, Stato e giuristi tra crisi e riforma, op. cit., pp. 65 ss.

162 P. Barcellona, Introduzione a L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, pp. XV. Si veda anche P. Barcellona, G. Cotturri, Stato e giuristi tra crisi e riforma, op. cit., pp. 84 ss.

163 D. Corradini, Storicismo e politicità del diritto, Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli Spa, 1974, p. 44.

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parte del giurista, condizionato a sua volta dal contesto storico, cul- turale, economico in cui è inserito? L’adozione di una prospettiva teorica di stampo marxista serve proprio a svelare come, in realtà, le categorie giuridiche non sono il frutto di una dimostrazione pura- mente logica, non sono elaborazioni concettuali del tutto indipen- denti dai condizionamenti storici, ma viceversa sono espressione anch’esse di tali condizionamenti; costituiscono una valorizzazione dei rapporti di potere esistenti, affinché “il nostro passato continui a governare il presente e il futuro”164. Un tipico esempio di astrazione,

su cui si soffermano gli autori stessi165, è quello dell’uomo medio.

Si sono susseguiti modelli culturali diversi nella rappresentazione dell’uomo medio, riconducibili sinteticamente a due. Il primo, c.d. “risparmiatore”, il quale si caratterizzava per la sua capacità di am- ministrazione del proprio patrimonio ai fini di un suo incremento. Questa concezione deriva da una struttura economica incentrata sul- la funzione del risparmio e dell’accumulazione di ricchezza. Ad un tale modello segue quello dell’uomo medio consumatore, tipico di una economia capitalista, incentrata per l’appunto sulla capacità, rectius sulla possibilità, di consumo di certi tipi di beni. Un modello di uomo medio che, in passato, sarebbe stato considerato sicuramen- te come un dissipatore. Come si può notare, dunque, l’uomo rispar- miatore e l’uomo consumatore sono il risultato della generalizzazio- ne di certe caratteristiche particolari, frutto dell’influenza della base economica di una determinata società della quale gli uomini sono parte. Tuttavia, osservano gli autori, la scienza giuridica non ha fatto mai riferimento né alla struttura economica, né ai modelli culturali suddetti per una ragione ben precisa. Considerare la concettualizza- zione in termini di astrazione le consentiva di mantenere quei carat- teri di apparente avalutatività, neutralità e tecnicismo più volte de- scritti, e conseguentemente di considerare il sistema normativo co- me un sistema unico, coerente e anche autonomo rispetto alla prassi, prospettando il problema delle contraddizioni, antinomie in termini puramente logici, come problema di rapporti tra categorie giuridiche poste a livelli diversi, più o meno generali, attribuendo necessaria- mente la prevalenza a quelle più generali, poiché in esse i due con-

164 P. Barcellona, Introduzione a L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, pp. XVI.

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cetti configgenti trovano una loro conciliazione. Unità e coerenza del sistema rappresentavano, dunque, al tempo stesso presupposto e risultato dell’argomentazione e consentivano di offuscare la catego- ria fondamentale della dialettica, eliminando così il legame tra dirit- to e prassi, tra diritto e gli altri fenomeni simili della convivenza, come ad esempio l’economia e la politica. Il diritto non viene infatti raffigurato come un prodotto dello sviluppo economico e sociale, bensì come un modello ideale, «la ragione ordinante della proces- sualità reale, come immutabile dover essere del transitorio e disor- dinato esistere, come riscatto e sublimazione della precarietà e fini- tezza»166. Dover essere ed essere restano due “universi”separati, e il primato del dover essere, della forma esclude inevitabilmente l’essere, il suo contenuto. Il tipo ideale si rinviene nella prassi, ma non è da questa generato, poiché è sempre il prodotto di una opera- zione logica condotta in maniera corretta e mai è il risultato del condizionamento della struttura economica e sociale. E se talvolta la scienza giuridica sembra far riferimento ai rapporti storico- materiali, instaurando un rapporto tra questi e il diritto, lo fa solo per cercare un’ulteriore conferma delle proprie teorie e per il perse- guimento del proprio fine del mantenimento di un ordinato sviluppo delle relazioni umane. Si realizza così un sistema statico e separato di norme, volto a privilegiare l’attività dogmatica rispetto a quella interpretativa. Quest’ultima poteva avere un compito meramente de- scrittivo, di reperimento dei dati167, mediante un meccanismo di sus-

sunzione del fatto nello schema concettuale.

Tuttavia proprio l’emersione delle contraddizioni dimostrava lo scarto tra questa tecnica argomentativa difesa dalla scienza giuridica e l’effettiva realtà, essendo la prassi, i modelli culturali vigenti in un dato contesto a condizionare i concetti, le categorie giuridiche e a determinarne il loro uso. Veniva all’epoca dimostrato come, in real- tà, il sistema giuridico non potesse essere ritenuto realisticamente come un sistema compatto di norme168e nemmeno un sistema, bensì

166 P. Barcellona, G. Cotturri, op. cit., p. 86.

167 D. Corradini, Storicismo e politicità del diritto, op. cit., p. 45.

168 In realtà vi era già stato chi, come Kohler, addirittura nella seconda metà dell’Ottocento, aveva criticato tale sistematizzazione, derivante dalla pandettisti- ca tedesca: «i giuristi, in Germania, sono i più inesorabili sistematici e, perciò, trascurano l’indagine ermeneutica e non giungono a riconoscere la forza innova-

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un qualcosa di diverso e di scostante, percorso da fratture, in cui si esprime la logica antagonistica delle forze produttive169. Acquisendo una tale prospettiva, il giurista dell’epoca sarebbe stato in grado di comprendere la crisi d’identità che lo attraversava non in quanto singolo, ma in quanto appartenente al ceto “giuristi”. Una spiega- zione che poteva essere data per l’appunto guardando all’influenza del contesto storico-sociale dell’epoca e, in particolare, al rapporto tra il ceto dei giuristi e le istituzioni. Se in passato l’avalutatività e il tecnicismo della scienza giuridica erano riusciti a isolarla dal resto della cultura ma facendole comunque esercitare un’influenza deter- minante nella formazione dei ceti dirigenziali, con lo sviluppo delle forze produttive questo isolamento finì col rispecchiare la separa- zione-astrazione “reale” del giurista dal mondo della produzione: «La storia degli intellettuali, proprio in quanto condizionata da un modo di produzione dominante che li costituisce come ceto separa- to, si svolge in un luogo differente e lontano da quello occupato dal movimento del modo di produzione dominante»170. E questo “luogo

differente e lontano” di separazione non è altro che l’apparato stata- le. Lo Stato, secondo Barcellona e Cotturri, è la base reale e istitu- zionale di questa astrazione. L’intellettuale che legittima il proprio reddito svolgendo una funzione di “interesse generale” si ripropone come un mediatore e, quindi, come separato. Nell’analisi marxi- sta171 questo interesse generale risiede nella bilateralità, nello scam-

bio volontario e, quindi, irrealmente presupposto come “egualita- rio”, di interessi egoistici, mentre la libertà è data dal “contenuto”, dalla materia che spinge allo scambio. Ecco perché Marx descrive lo “scambio basato sui valori di scambio” come «la base produttiva,

trice della giurisprudenza». Si veda a tale proposito ancora D. Corradini, cit. p. 45.

169 Si veda, a tale proposito, anche S. Rodotà, “Funzione politica del diritto dell’economia e valutazione degli interessi realizzati dall’intervento pubblico”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, pp. 230-250.

170 P. Barcellona, G. Cotturri, op. cit., p. 103. Il passo, riportato da Barcellona e Cotturri, è di Biagio De Giovanni.

171 Si veda a tale proposito B. De Giovanni, “Significato e limiti del «riformi- smo» giuridico”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, pp. 255-256.

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reale di ogni uguaglianza e libertà»172. Ma proprio l’uguaglianza

dello scambio, l’astrazione del soggetto giuridico ed il formalismo del diritto uguale sono, come osserva De Giovanni, gli elementi cardine di un modo di funzionamento del potere di tipo “burocrati- co”, entro il quale prende corpo l’ideologia di un ceto fondata sulla separazione. E infatti il privilegio garantito dallo status di separa- zione porta tale ceto altresì ad identificarsi con l’apparato statale stesso, a porsi a sua difesa. Ma, come già anticipato, lo sviluppo del- la contraddizione fondamentale, propria delle società capitalistiche, tra forze produttive e rapporti di produzione, ha i suoi riflessi anche sull’apparato pubblico di mediazione. L’allargamento della base so- ciale, la possibilità di accesso alla scuola e ai tribunali da parte delle masse, i nuovi modi di penetrazione dello Stato nella società e vice- versa, comporta una trasformazione del ruolo del giurista, non più avente funzioni dirigenziali, ma burocratiche al “servizio delle mas- se”173. Si viene materializzando, dunque, una scissione tra “sapere”

e “potere”, perché l’intellettuale viene emarginato rispetto ai centri decisionali della società. La perdita d’identità viene percepita, dal ceto stesso, come una sfasatura tra il modello ideale, non rispec- chiante più la società capitalistica dell’epoca, e il modello “reale”, cioè la prassi che viene praticata nelle istituzioni. Essa si configura come una vera e propria “crisi di egemonia”174. Ne deriva un senso

di frustrazione del giurista e, soprattutto, una critica che il ceto di appartenenza muove alle istituzioni stesse, poiché quest’ultime ven- gono viste come luogo ove abitualmente sono tradite le vocazioni individuali e le aspirazioni (dirigenziali) del ceto medesimo. Si per- de, quindi, anche quella identificazione, per lungo tempo tramanda- tasi, tra ceto dei giuristi e Stato.

Tuttavia, come è intuibile, il ceto degli intellettuali svolge una criti- ca nei confronti delle istituzioni ma per “rifare le istituzioni”175. Ad

172 K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (o Grundrisse), Firenze, Nuova Italia, 1968, vol. I, p. 214; B. De Giovanni, op. cit., p. 255.

173 P. Barcellona, G. Cotturri, op. cit., pp. 104-105. Afferma B. De Giovanni, op. cit., p. 256, che la crisi della separazione viene colta e negata a un duplice livel- lo: «come separatezza del diritto in quanto tecnica neutrale e come separatezza storica di un ceto burocratico».

174 B. De Giovanni, op. cit., p. 258.

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esempio, nel settore scuola e Università, è la scolarizzazione di massa che fa emergere le contraddizioni, le quali vengono percepite, in un primo momento, dai docenti come insufficienze delle strutture, non attrezzate a quella enorme crescita “quantitativa”. Ecco che ini- ziano a proporsi, da parte del ceto, obiettivi “riformistici” nei con- fronti di tali strutture, volti alla razionalizzazione del servizio stesso. Ma questa logica di ceto è costretta a scontrarsi, ben presto, con una logica “esterna”, tipica di una società caratterizzata da un conflitto di classi. Proprio ciascuna delle diverse classi articola progetti com- plessivi che investono anche il settore delle istituzioni pubbliche, con i quali le istanze di riforma provenienti dal ceto devono, quindi, necessariamente confrontarsi. Emergono, dunque, molto spesso esi- genze differenti, con le quali il ceto dei giuristi deve fare i conti, ac- corgendosi così di dover fronteggiare una domanda non solo quanti- tativamente ma “qualitativamente” diversa176. Ad esempio la realiz-

zazione di una razionalizzazione del servizio scolastico, obiettivo del progetto proprio del ceto, non risolve il problema della massa di studenti che non troveranno poi occupazione nella società. Emerge, dunque, a tale proposito il problema di uno sviluppo “alternativo” della scuola, che comporti a sua volta un collegamento tra essa ed uno sviluppo complessivo della società improntato alla realizzazio- ne del diritto, costituzionalmente garantito, al lavoro di ciascun in- dividuo. Si comprende come, oltre all’aspetto di critica delle istitu- zioni caratterizzante il nuovo ruolo del giurista, vi sia anche un aspetto per così dire “prescrittivo”, che mira all’alleanza o comun- que ad un confronto tra il ceto dei giuristi, fino ad allora chiuso e separato dalla società, e i soggetti del conflitto e della trasformazio- ne i quali, in un’ottica marxista, non possono che essere principal- mente i lavoratori, organizzati nel movimento operaio177. Infatti solo

176 P. Barcellona, G. Cotturri, op. cit., p. 107.

177 Tuttavia questa identificazione non è pacifica. Come sottolinea P. Barcellona, Introduzione a L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. II, pp. X-XI, nel corso del dibattito emersero diverse posizioni a tale proposito. Ci fu chi identificò il soggetto del conflitto e della trasformazione con i partiti della sinistra, come Ro- dotà e Enrico Spagna Musso, e quindi privilegiò il momento della innovazione legislativa la cui sede è evidentemente il Parlamento; chi invece lo identificò, come Galgano, con la comunità locale, facendo riferimento ai poteri di autode- terminazione collettivi di essa; infine chi, come ad esempio Barcellona, Cotturri e Ferrajoli, lo identificarono con il movimento di massa, ponendo l’accento sul collegamento tra questi e i giudici, individuando il luogo privilegiato per lo svi-

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la riqualificazione delle forze intellettuali che il capitale dequalifica, condotta mediante l’alleanza con il movimento operaio, potrà porta- re, secondo gli Autori178, alla costruzione di una nuova società, una

società finalmente democratica179.

Reso in tal modo esplicito il dibattito politico, si pongono le pre- messe per un uso alternativo del diritto, in primo luogo del diritto privato. È, infatti, in quest’ultimo ambito che si può constatare maggiormente quel senso di emarginazione del giurista e, al con- tempo, la possibilità di cambiamento180. Infatti discipline giuridiche

interessate allo sviluppo economico, quali il diritto del lavoro, il di- ritto commerciale, il diritto amministrativo, mostrarono un adegua- mento alla realtà capitalistica dell’epoca, esibendo tutte un proprio legame con la produzione del capitale, regolandone normativamente i rapporti ivi presenti. Ciò non valse per il diritto privato, il quale ri- sultò enormemente depotenziato dallo sviluppo capitalistico, poiché non si trattava più di un diritto generale di tutta la “società civile”, ma di alcune fasce di cittadini. Non si poneva più come mediatore di tutto il mercato, essendosi sviluppati anche i monopoli e l’intervento pubblico. D’altronde il diritto civile si presentava inadeguato a comprendere la società di massa dell’epoca, la realtà delle organiz- zazioni collettive, proprio perché imperniato su una concezione atomistica dei rapporti sociali. Ma proprio venendo al dibattito poli- tico con la classe operaia, secondo gli Autori, e quindi svolgendo un’analisi del potere e delle istituzioni, i giuristi privatisti potranno

luppo di un uso alternativo del diritto nel processo. Discusso era anche, come osserva P. Costa, op. cit., p. 37, il significato da attribuire al “reale collegamento con l’esterno”, del quale comunque nessuno negava la necessità, dato che non era pacifico ritenere che tale collegamento dovesse mirare a raggiungere un con- tatto “diretto” con le masse.

178 Si veda la fine del paragrafo dedicato a tale tema in P. Barcellona, G. Cottur- ri, op. cit., pp. 108-109.

179 Sulla necessità di attuare collegamenti permanenti tra il giurista e le masse popolari si veda anche F. Galgano, “Uso alternativo del diritto privato”, in L’uso alternativo del diritto, op. cit., vol. I, pp. 138 ss.

180 In realtà questo secondo aspetto delle possibilità di cambiamento offerte dal diritto privato non è pacifico. Lo evidenzia, ad esempio, L. Ricca, “Uso alterna- tivo del diritto privato, interpretazione e principi costituzionali”, in L’uso alter- nativo del diritto, op. cit., vol. II, p. 152. Egli sottolinea come, chi ritiene che non vi possa essere un uso alternativo del diritto privato, fa derivare logicamente questa conseguenza dall’assunto errato per il quale i principali strumenti privati- stici sono utilizzabili esclusivamente dalla classe capitalistica, e non anche da altre classi.

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ben accorgersi che le cause della loro emarginazione dipendono in gran parte dalla capacità di organizzare i rapporti sociali, cioè «di farsi istituzioni»181. Gli interessi sono individualizzati a vantaggio

della classe dominante e l’unica alternativa per contrapporvisi è pre- stare, a loro volta, attenzione al fenomeno dell’associazionismo; passare dalla logica dello «uomo contro uomo» a quella dello «uo- mo più uomo»182, sempre nell’ottica della realizzazione di una de-