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Criticità della nuova OCM: NUOVE DOP E “VECCHIE” DOCG E DOC

L’evidente sforzo presente nella nuova normativa verso l’armonizzazione delle regole comporta tuttavia alcune criticità. Essa ha sollevato pareri discordanti tra gli operatori del settori, associazioni di categorie e tra i diversi paesi dell’Unione che si dividono tra favorevoli e contrari alla nuova riforma.

“Come è noto la nuova OCM Vino è una riforma che non abbiamo condiviso, ma ereditato. Il nostro lavoro a Bruxelles ha tuttavia consentito di porre rimedio ad alcune criticità, infatti, molte nostre richieste sono state riprese nel citato regolamento applicativo 607/2009.” Così il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Luca Zaia, commenta l’entrata in vigore della nuova OCM Vino. “In particolare il nostro lavoro è servito a sventare il tentativo di legalizzare la produzione dei ‘vini rosati’ mediante il taglio tra vini bianchi e rossi, contro la consolidata tradizione del nostro Paese, in base alla quale i vini rosati nascono da uve rosse, con una particolare tecnica di elaborazione. Si tratta di

41 una disciplina rientrante nell’ambito del parallelo regolamento sulle pratiche enologiche (n. 606/2009), che comunque è strettamente connessa alla regolamentazione delle DOP e IGP.” La nuova OCM nasce quindi da un compresso tra: un gruppo numericamente minoritario di paesi produttori, collocati nel bacino mediterraneo, ma caratterizzati da sistemi e tradizioni produttive molto diverse e tra loro; un altro gruppo molto più numeroso, composto dai paesi produttori continentali, portatore di tradizioni e interessi di natura economica molto distanti dai primi, e, infine, i paesi solo consumatori che comunque hanno partecipato attivamente alle discussioni. Si può osservare che, se la coesistenza di misure riconducibili al I e al II pilastro rende la nuova OCM molto innovativa, la presenza contemporanea di misure nuove e vecchie, seppure in forma transitoria e facoltativa per i singoli paesi membri, rende però il risultato finale piuttosto ambiguo.

Un esame più dettagliato dell’impianto della nuova OCM fa emergere aspetti positivi, occasioni mancate e numerosi elementi di criticità. Gli aspetti positivi sono essenzialmente riconducibili: all’envelope come strumento di coordinamento e di gestione di molte misure tra loro connesse nell’ambito di un unico piano nazionale di sostegno; alla più severa disciplina della sanatoria; allo smantellamento sostanziale delle misure di mercato; all’introduzione del sostegno a tutta la filiera, oltre che alla promozione. Le occasioni mancate, come già ricordato, risiedono principalmente nella mancata abolizione della pratica dello zuccheraggio, nella molto modesta riduzione dei limiti all’arricchimento e nel prolungamento del sistema dei diritti d’impianto. Gli elementi di criticità sono molteplici e possono essere evidenziati in vari aspetti della riforma. Sul tavolo delle trattative tra i vari paesi europei, la Commissione, si vede costretta a rinunciare ai due più importanti elementi di rottura con il passato, rappresentati dall’abolizione dello zuccheraggio e del sistema dei diritti di impianto, lasciando una certa libertà d’azione agli Stati membri limitandosi, così, a fornire un quadro comune solo riguardo agli aspetti di natura regolamentare dell’OCM (etichettatura, sistema delle denominazioni e indicazioni, pratiche enologiche). La complessità dell’impianto dell’OCM e la libertà lasciata agli Stati membri nella stesura del piano nazionale di sostegno richiederanno un forte coordinamento tra tutti gli attori della filiera: imprese, organizzazioni professionali, amministrazioni, tra i quali si dovrà svolgere una negoziazione molto serrata. In particolare, emergono dei problemi di coordinamento della gestione dei fondi OCM con quelli delle politiche di sviluppo rurale e con quelli degli aiuti di stato. Molte delle misure previste nei piani nazionali di sostegno, vendemmia verde, erogazione fondi per rafforzamento della fase di trasformazione, distribuzione e promozione

42 nei paesi terzi, fondi mutualistici e assicurazioni, sono del tutto nuove e di complessa applicazione; si rischia, dunque, un loro funzionamento inefficace e inefficiente. Anche la pianificazione della gestione degli espianti presenta notevoli complessità; dovranno essere, infatti, individuate le aree dove questi saranno ammissibili e quelle dove invece, per motivi ambientali, non dovranno essere permessi e dovranno essere specificate le regole di erogazione degli aiuti. Infine, la mancata liberalizzazione dei diritti d’impianto ripropone il problema della mobilizzazione dei diritti d’impianto in portafoglio, evitando la formazione di rendite, di scarsità artificiose e, quindi, di ostacoli alla crescita dimensionale delle imprese meglio collegate con il mercato.

Le nuove denominazioni di origine continuano ad essere il punto più controverso del nuovo regolamento comunitario, quello che più ha attirato le critiche degli operatori del settore, e, quello che rischia di banalizzare il rapporto vino/territorio. La revisione della Legge 164/1992, nelle dichiarazioni del Ministro per le Politiche Agricole Luca Zaia,

“punta a preservare e promuovere la qualità dei vini a denominazione di origine e a indicazione geografica, ad una semplificazione negli adempimenti gestionali e burocratici di tutti gli attori del comparto e a rafforzare il concetto di qualità come linea guida per lo sviluppo del settore”. La riforma dell’OCM vino prevede l’istituzione di DOP e IGP

riducendo la piramide della qualità a tre soli livelli: vini da tavola, indicazioni geografiche protette, denominazioni di origine protette. Non si parlerà più di DOCG, DOC e IGT, ma di DOP e IGP. Al vertice troviamo sempre le denominazioni di qualità certificate e garantite, seguite dalle denominazioni di origine certificate che confluiranno nella categoria generale DOP, sostitutiva della VQPRD, alla base della piramide, dopo i vini IGP (ex IGT) si trovano i varietali e il vino da tavola. Sulle modalità di riconoscimento delle denominazioni ci sono novità, vale a dire un passaggio automatico a livello comunitario di iscrizione di DOP e IGP nell'apposito registro e un duplice step (nazionale e comunitario) per le nuove DO e IG. La regolamentazione dei vini con origine geografica si allinea a quella degli altri prodotti alimentari (Reg. 510/2006) e sarà, pertanto, necessaria una registrazione comunitaria delle DO e IG sia di quelle nuove sia di quelle già esistenti. L’allineamento delle norme sui vini con origine geografica alle norme generali sui prodotti alimentari non è priva di problemi. Se, infatti, esiste una corrispondenza tra vini a denominazione d’origine (DOC in Italia) e altri prodotti a denominazione (DOP in Italia), non esiste la stessa corrispondenza tra vini da tavola con indicazione geografica (IGT in Italia) e prodotti IGP. Nella normativa francese sulla valorizzazione dei prodotti agroalimentari, infatti, l’indicazione geografica sui vini da

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tavola (Vin de Pays) è considerata una menzione valorizzante mentre l’IGP è considerata un segno di identificazione della qualità e dell’origine, come la denominazione d’origine (AOC – Appellation d'Origine Controlée)12. Il vino perde quindi una categoria che in Europa ha funzionato bene, per acquisirne una che si sovrappone con le già esistenti denominazioni, oltre che con quella del vino varietale, che pure dovrà trovare una sua collocazione logica nel panorama dell’offerta europea. Novità assoluta è l’opportunità per i produttori che vorranno competere sul mercato internazionale nel segmento "vini varietali", di riportare in etichetta il nome del vitigno13, a condizione che siano assicurati i requisiti di certificazione e di controllo. Restano esclusi da questa opportunità i vini prodotti da vitigni autoctoni quali Sangiovese, Nero d'Avola, Freisa d'Asti, Brachetto e Cortese che, a richiesta della delegazione italiana, sono stati inseriti in un apposito elenco; l'uso di queste denominazioni è limitato ai vini DOP e IGP.

L'estrema flessibilità nell’uso delle menzioni e dei simboli sull’etichetta (la riforma prevede che per i vini da tavola, senza denominazione geografica possa essere indicato in etichetta il vitigno e l’annata, inoltre, il produttore vitivinicolo è libero di scegliere il sistema di qualificazione che preferisce lasciando la menzione tradizionale, o sostituirla completamente in etichetta con la sigla europea o associarla ai simboli comunitari di protezione) lascia configurare una situazione estremamente disomogenea, che se da un lato potrebbe costituire un vantaggio dal punto di vista delle imprese, dall’altro, invece potrebbe generare confusione nel consumatore. Per il consumatore sarà più difficile distinguere tra vini di diversa qualità; con conseguente perdita di credibilità dei sistemi di segnalazione della qualità sui quali attualmente si basa il marketing vitivinicolo. Pertanto, l’introduzione della Denominazione di Origine Protetta (DOP) anche per il vino, comporta la necessità di riflettere sull’uso che in futuro si farà ancora delle “vecchie” Denominazioni DOCG e DOC.

I produttori, le organizzazioni di settore, e i vari consorzi hanno mostrato notevoli perplessità e preoccupazioni in merito alla nuova OCM. Nel caso italiano, ad esempio, trasferire la composizione ormai tradizionale dell’offerta di prodotti vitivinicoli nel nuovo schema DOP-IGP potrebbe rappresentare un’operazione molto complessa e da valutare con

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Ordonnance n° 2006-1547 du 7 décembre 2006 relative à la valorisation des produits agricoles, forestiers ou

alimentaires et des produits de la mer. In Francia il termine AOC si usa sia per i vini sia per altri prodotti non vinicoli

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Lista dei vitigni che possono figurare nell’etichettatura e presentazione dei vini varietali senza IG (non DOP

o IGP), siano essi appartenenti alla tipologia "tranquilli" che "spumanti": 1- Cabernet franc; - 2 Cabernet sauvignon - 3 Cabernet - 4 Chardonnay - 5 Merlot - 6 Sauvignon - 7 Syrah

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attenzione. Il passaggio delle denominazioni tradizionali (DOC e DOCG) in DOP può risultare non particolarmente difficoltoso, pur restando aperte molte questioni, come ad esempio il sistema di gerarchie interne alle denominazioni stesse. Diversamente, la trasformazione dei vini da tavola con indicazione geografica (IGT) in vini IGP appare una operazione molto più difficoltosa, per le molte differenze in termini di controlli e di esigenze di protezione (cfr. par. 6.5). Inoltre, va sottolineato che la categoria dei vini da tavola con indicazione geografica ha permesso negli anni una buona collocazione sui mercati, proprio grazie al riferimento a una gestione della normativa relativamente semplice (Pomarici, 2009).

La delegazione italiana, nel corso delle numerose riunioni, ha espresso le esigenze della produzione nazionale, al fine garantire la protezione dei nostri vini DOC, DOCG e IGT, che transitano automaticamente nel nuovo registro comunitario delle DOP e delle IGP a partire dal 1 agosto 2009. Si è, inoltre, ottenuto il rafforzamento della protezione comunitaria ed internazionale delle nostre denominazioni, anche quelle come "Brunello di Montalcino" e "Morellino di Scansano", la cui denominazione è composta, oltre che dall'elemento geografico, anche da una menzione tradizionale. Tali menzioni saranno protette a tutti gli effetti in qualità di denominazioni d'origine anche se utilizzate separatamente ("Brunello", "Morellino", ecc.).

Secondo il parere dell’Associazione Città del Vino espresso nel corso del convegno tenutosi a Monterspertoli (FI) il 28 gennaio al Museo della Vite e del Vino, nell'ultimo confronto di "Agricultura", ciclo di incontri promosso dalla Provincia di Firenze, per discutere con gli operatori del settore le novità introdotte con la nuova OCM vino; è evidente che la nuova normativa, con il fatto che i vini da tavola potranno evidenziare in etichetta annata e nome del vitigno, ha imposto all’Italia, essendo l’unico Paese in Europa a basare il livello più alto di qualità dei vini a denominazione nella DOCG (denominazione di origine controllata e garantita) scelte puntuali e condivise di difesa del nostro sistema, mantenendo la menzione tradizionale, quindi la dualità e le differenziazioni tra DOC e DOCG come DOP, ma che potrebbero nel tempo rivelarsi un punto di debolezza, e di maggiori costi, nei confronti dei competitors più agguerriti come Francia e Spagna, di cui si ignorano le tendenze a questo riguardo, e soprattutto nei confronti dei consumatori. Essendo il riconoscimento (e la protezione) delle denominazioni e delle indicazioni geografiche in capo alla Comunità europea, si potrebbe verificare un vero e proprio “scippo” della proprietà intellettuale delle singole denominazioni che oggi è parte integrante del patrimonio

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collettivo (aziende e territorio) di una determinata area. Il Reg. 479/08 introduce la liberalizzazione dei diritti di impianto, e viene prevista. Inoltre, la liberalizzazione degli impianti, all’abolizione del catasto viticolo, l’abolizione dell’albo dei vigneti e la sua sostituzione con lo Schedario viticolo, ciò potrebbe stravolgere gli equilibri del mercato.

La proposta di legge di riforma (art. 3), se da un lato può destare la giusta preoccupazione di salvaguardare nell’immediato il mantenimento delle DOCG e DOC italiane a garanzia di una classificazione qualitativa già stabilita, dall’altra non stabilisce un limite di tempo perché si giunga ad un effettivo adeguamento alla normativa europea che porti ad un graduale superamento delle attuali DOCG e DOC. Questo affinché si giunga ad un effettivo innalzamento del concetto qualitativo legato alle future DOP. In sostanza, quello che prima veniva considerato un problema deve essere trasformato in un vantaggio. Non è certo che mantenere per il nostro Paese gli attuali tre livelli (DOCG, DOC e IGT) possa essere, in prospettiva, una scelta lungimirante. Infatti, è lecito pensare che in un prossimo futuro le nuove DOP potranno essere quello che oggi sono le DOCG, e le nuovi IGP quelle che oggi sono le DOC. Questo in un’ottica di semplificazione che porterebbe notevoli vantaggi anche nella comunicazione. Del resto, non è certo nuovo il dibattito all’interno del mondo del vino italiano sul ruolo delle DOC attuali e, soprattutto, sul loro eccessivo proliferare nel corso degli anni; da più voci si è sentito dire che le DOC sono troppe. Questo aspetto della riforma europea che, inizialmente, è stato vissuto con condivisibile preoccupazione può essere invece utilizzato come uno strumento per innalzare la qualità e il valore delle denominazioni stesse; pensare per un futuro non troppo lontano che in Italia vi possano essere un centinaio di DOP (ovvero di attuali DOCG), identificando le denominazioni con specifici e ben identificati distretti del vino, potrebbe aiutare a riposizionare le stesse denominazioni nel loro giusto valore, lasciando alle IGP il ruolo che oggi, per molti versi, hanno le IGT per le imprese vitivinicole, nel direzione della sperimentazione e dell’innovazione.

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