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Il modello normativo delle denominazioni di origine

Le denominazioni di origine

3.2 Il modello normativo delle denominazioni di origine

Il modello normativo vitivinicolo si basa su una particolarità ed un’anomalia: la sua regolamentazione è specifica ed univoca per il solo settore. Inoltre è a forte armonizzazione comunitaria, essendo disciplinata in modo verticale (da monte a valle per tutto il processo produttivo) con un regolamento comunitario (823/87 e successive modificazioni) che la separa dal resto della normativa comunitaria sugli alimenti. In altri termini si tratta di un modello unico, originario, da cui si sono derivati per analogia altri modelli normativi, in particolare quello sulle denominazioni di origine protette (DOP) e delle indicazioni geografiche protette (IGP) L’aver distinto la regolamentazione del vino da quella degli altri alimenti è contemporaneamente il punto di forza e di debolezza del sistema giuridico. Se da un lato consente di tutelare alcune particolarità del prodotto (la sua reale o ipotetica variabilità in relazione al territorio di origine), dall’altro, lo costringe a continui distinguo con il resto delle normative del sistema agro-alimentare ghettizzandolo in sede di accordi internazionali. L’origine della regolamentazione delle denominazioni di origine del vino ha radici antiche e diffuse in molti paesi europei (Francia, Italia, Spagna e Portogallo) prima della nascita della UE. Ciò ha determinato la necessità di armonizzazione, ancorando le differenze presenti tra gli Stati membri ad un quadro uniforme e necessariamente dirigista del modello normativo.

Il presupposto della normativa delle denominazioni di origine del vino è rappresentato dal dogma della vera (o presunta) iterazione vitigno-territorio-metodo di produzione. Questo dogma, infatti, determina la variabilità della gamma produttiva e

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sostiene la tesi per cui più è ristretta l’area di origine più è possibile determinare l’omogeneità di prodotto e caratterizzarne la “tipicità”. La politica di marca aziendale associata o meno all’indicazione del territorio tende ad essere un fattore competitivo importante. Nell’ambito delle singole denominazioni se si considerano le diverse tipologie di prodotto in base all’indicazione del vitigno, al colore, alla qualificazione del prodotto (superiore, riserva, etc.), alla tipologia (frizzante, spumante, secco, dolce, etc.), si rileva l’esistenza in Italia di alcune migliaia di vini che vantano un legame di origine con differenti denominazioni e specifiche caratteristiche.

Il modello delle denominazione di origine si basa su un progetto di tipo piramidale che colloca le diverse tipologie di vini secondo gradienti diversi, via via più restrittivi man mano che si procede dalla base al vertice che può essere rappresentato secondo la piramide Doc di Fregoni (Fregoni, 2000). Nella parte basale della piramide si colloca il prodotto indifferenziato (vino da tavola) privo di rapporto con il territorio di origine e quindi area di forte deregulation normativa. Non a caso per questi vini non esistono disciplinari di produzione ma si fa riferimento ad una normativa generica che definisce cosa si intende per il termine vino e come debba essere messo in commercio. I produttori devono attenersi soltanto a produrre il loro vino da tavola con uve autorizzate ed in genere sull’etichetta hanno, oltre al nome e al marchio dell’azienda imbottigliatrice, un riferimento al colore. Tuttavia la dicitura vino da tavola non è sempre sinonimo di bassa qualità, anzi non è raro trovare vini facenti parte di questa categoria di ottima fattura

Subito successiva subentra la categoria dei vini ad indicazione geografica tipica (IGT). La legge numero 164 del 1992 (Legge n. 164 del 10 febbraio 1992) ha introdotto e regolamenta le Indicazioni Geografiche Tipiche. Per questa tipologia di vini il legame con il territorio comincia a dare le sue prime influenze ma l’ampiezza dell’area di provenienza rende debole l’elemento caratterizzante l’iterazione vitigno - territorio. Il disciplinare dei vini IGT contempla alcune regole di fondo: area di produzione e origine delle uve, tipologie di vitigni utilizzabili (Chardonnay, Cabernet, etc.), rese uva/ettaro (con parametri ampi), caratteristiche chimiche, fisiche e sensoriali (colore, sapore) il tutto senza esasperazioni.

Con il restringimento delle aree di produzione subentra la categoria delle DOC, denominazione di origine controllata. In questo caso tra il vitigno e il territorio diviene determinante, di conseguenza la relativa disciplina diviene restrittiva. I confini delle aree di produzione rappresentano vere e proprie muraglie tra il territorio della qualità ed il mondo

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indifferenziato dell’anarchia produttiva. Il produttore in questo caso si deve attenere ai cosiddetti disciplinari che vengono approvati con decreto ministeriale. Questi fissano le direttive di produzione che prevedono la zona ben determinata (la vinificazione e spesso l’imbottigliamento deve avvenire all’interno della zona di origine altrimenti si mette in gioco la qualità del prodotto), le caratteristiche enologiche, chimiche ed organolettiche, i vitigni ammessi, la resa massima d’uva per ettaro, la gradazione minima naturale dell’uve, residui secchi, acidità ecc...

Inoltre prevedono altre eventuali prescrizioni legate alla produzione di tipologie di vino particolari, come “Passito” e “Vendemmia Tardiva”, oppure “Spumante” o “Frizzante”. I vini DOC, prima di essere messi in commercio, sono soggetti ad analisi chimiche ed organolettiche da parte di apposite commissioni presso ogni camera di commercio che accertino che i requisiti minimi siano rispettati. Nei vini che rientrano in questa categoria possiamo trovare anche l’indicazione di una sottozona, con regole di produzione più rigide e riguardanti un’area più delimitata. Ma è anche possibile indicare aree ancore più piccole, come comuni, frazioni, o il nome della “vigna” stessa, e menzioni tipiche, tra le quali “Riserva” per i vini di grande qualità invecchiati minimo per due anni; “Superiore” per i vini che hanno una gradazione alcolica e caratteristiche di finezza superiori rispetto ai vini della stessa denominazione di origine; “Classico” è un’indicazione che si utilizza per i vini provenienti dalla zona più “antica” e “storica” e di maggior pregio di quella DOC.

La piramide procede con un’altra categoria rappresentata dalle DOCG, denominazioni di origine controllate e garantite. Questi sono vini di grande pregio e tradizione che hanno ricevuto la DOC da almeno 5 anni. La legge, in questo caso, prevede norme più rigide e restrittive rispetto alla semplice denominazione di origine controllata, specialmente in ordine alla resa di uve per ettaro che è sensibilmente più bassa, alla gradazione minima delle uve e del vino, al periodo di affinamento o invecchiamento obbligatorio, all’analisi chimiche-organolettiche da ripetere partita per partita prima di essere inserite nel mercato e, inoltre, prevede anche che il recipiente commercializzabile non possa superare i 5 litri. Il vino a cui viene attribuito la DOCG presenta sul collo della bottiglia un contrassegno di Stato numerato (“fascetta”), stampato dalla Zecca di Stato.

Il quasi vertice della piramide è costituito da un’altra particolarità: le sottozone. Sono aree più ristrette all’interno delle DOC e DOCG con autonomi disciplinari di produzione e con parametri ancora più restrittivi. Godono della menzione in etichetta (es. Oltrepo’ Pavese

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Sottozona Casteggio) e presuppongono un’omogeneità di prodotto che le distingua dall’area più ampia.

Infine il vertice della piramide è rappresentato dalla menzione vigna. Si tratta di un istituto importato dai “crus” francesi che teorizza: il vertice della qualità è nell’iterazione totale vitigno - territorio, quasi una fusione tra i due. La designazione di una vigna presuppone di iscrivere il terreno ad un apposito albo e di restringere al massimo le specifiche produttive del vino.

Le prime due categorie, ovvero i “Vini da Tavola” e gli IGT, nella normativa comunitaria sono identificati tutti come Vini da Tavola, mentre le DOC e le DOCG sono riuniti dalla Comunità Europea in un unico gruppo, quello dei VQPRD (Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate). In Italia, il sistema della DOC e della DOCG è stato istituito con la legge 930 del 1963 (D.P.R. 12 luglio 1963, n. 930). La Vernaccia di San Gimignano fu il primo vino di cui fu delimitata la zona di origine e regolamentata la produzione . Nel giro di poco tempo si attribuirono numerosissime altre DOC per tutti glia altri vini della tradizione enologica italiana. Nel 1980 ci furono le prime DOCG per il Brunello di Montalcino, per il Vino Nobile di Montepulciano, per il Barolo e per il Barbaresco.

Il modello di riferimento per la distinzione tra le denominazioni, ha consentito una forte differenziazione dell’offerta costituendo di fatto un fattore vincente per quelle denominazioni di origine che hanno potuto giovare di una forte di visibilità sul mercato. Il collegamento con il territorio ha avvantaggiato la struttura produttiva medio piccola dell’impresa vitivinicola italiana, scarsamente competitiva rispetto alle grandi politiche di marca delle imprese di maggiori dimensioni ed in particolare dei competitori dei Paesi terzi. I valori fondiari all’interno di alcune aree a denominazione di origine hanno raggiunto livelli giustificabili solo in termini di scarsità dell’offerta e che oggi rappresentano il principale elemento di plusvalenza patrimoniale delle imprese italiane del settore. Gli eccessi nei vincoli dei disciplinari hanno determinato una forte tendenza trasgressiva e ha costretto in molti casi a ricorrere ai vini da tavola a alle IGT per consentire l’innovazione e l’adeguamento del prodotto alle richieste del mercato. Per il consumatore internazionale il sistema di riconoscimento e di informazione sulla vasta pletora di denominazioni di origine appare estremamente complesso e meno agevole rispetto alle indicazioni utilizzate dai principali competitori internazionali (indicazione di vitigno e paese di origine: es.

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Chardonnay- Australia). La conflittualità con i Paesi terzi in tema di denominazioni di origine rischia di determinare una ghettizzazione della normativa comunitaria e nazionale con possibili ritorsioni negli accordi internazionali.

3.2 Principali caratteristiche delle denominazioni di origine e delle