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Criticità relative all’orientamento estensivo

CAPITOLO III: LA RESPONSABILITA’ PER DANNO ERARIALE

2. L’evoluzione della giurisprudenza. Un primo orientamento restrittivo

2.1. L’orientamento estensivo

2.1.5. Criticità relative all’orientamento estensivo

posizioni tese alla migliore tutela del pubblico erario(245), affermando la

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competenza della Corte dei conti in materia di controllo sulla gestione dell’Iri e degli altri enti privatizzati finché sarà mantenuta la partecipazione esclusiva, o quanto meno maggioritaria dello Stato nel capitale azionario di tali società. Il giudice delle leggi, infatti, ha affermato che le esigenze di controllo non possono venire meno per il solo fatto del mutamento della veste giuridica degli enti pubblici, ponendosi come antesignano dell’orientamento sostanzialistico recepito dalla Cassazione nel 2003.

Detto orientamento si è consolidato nel tempo, portando alla contestazione del danno erariale, sub specie di danno diretto, nel caso di danno arrecato da una società partecipata al pubblico erario, quando il rapporto tra ente pubblico committente e società partecipata si basa sull’affidamento alla seconda di finalità istituzionali del primo, sebbene per mezzo di strumenti di diritto privato(246).

La dottrina, tuttavia, ha espresso opinioni particolarmente critiche in relazione all’impostazione estensiva. Non si può non notare come essa fosse dettata dalla volontà, in sé sicuramente apprezzabile, di evitare l’elusione dei vincoli e delle responsabilità pubblicistiche per mezzo di privatizzazioni solo formali ovvero di esternalizzazioni di attività amministrative. Nondimeno, siffatta impostazione avrebbe presentato macroscopiche implicazioni negative. La giurisprudenza, affermando che un soggetto «in qualche modo» pubblico svolge attività amministrativa anche quando persegue le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato, di fatto esponeva gli amministratori di società a partecipazione pubblica ad

(246) Sul punto si vedano Cass. 1 aprile 2008, n. 8409, in Riv. corte conti 2008, 2, 322 e Cass., Sez. un., 4 dicembre 2009, n. 25495, in Foro amm. CdS 2009, 12, 2825 (s.m.).

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un duplice rischio. Da un lato, infatti, veniva confermata la responsabilità per danno erariale, mentre dall’altro lato non veniva escluso il rimedio naturale previsto dal diritto societario, vale a dire l’azione di responsabilità deliberata dall’assemblea degli azionisti(247). Nel caso di danno arrecato direttamente al socio, infatti, è stata evidenziata, dal punto di vista del quantum, la completa sovrapponibilità tra il danno erariale ed il danno risarcibile ordinariamente(248). In altre parole, in presenza dei presupposti tipici di ciascuna azione il rischio di duplicazione della responsabilità era concreto(249).

Non si dimentichi, inoltre, che l’amministratore di società deve perseguire unicamente l’interesse sociale, a nulla rilevando l’interesse specifico di uno dei soci. L’amministratore, chiamato a scegliere tra l’interesse di un socio, pubblico, e l’interesse sociale, sarebbe stato esposto al seguente dilemma: perseguire l’interesse pubblico sacrificando quello sociale, esponendosi alla probabile azione civilistica

(247) Tale rischio è evidenziato, tra gli altri, da CLARICH, op. cit., 6 ss. Per contro, TENORE, La giurisdizione della Corte dei Conti sulle S.p.a. a partecipazione

pubblica, cit., 98, ipotizza la «pacifica convivenza» tra azione giuscontabile ed azione civile, vista la diversa finalità degli strumenti di tutela. Non mancano, tuttavia, Autori che propendono per una tendenziale esclusività dell’iniziativa dell’azione contabile. È l’opinione di CAPUTI JAMBRENGHI, Azione ordinaria di

responsabilità ed azione di responsabilità amministrativa in materia di società in mano pubblica, in Responsabilità amministrativa e giurisdizione contabile (ad un

decennio dalle riforme), Milano, 2006, 374.

(248) L’osservazione è di IBBA, Azioni ordinarie di responsabilità e azione di

responsabilità amministrativa nelle società in mano pubblica, cit., 150.

(249) Duplicazione «inaccettabile […] sia nella prospettiva della garanzia dei soggetti coinvolti, sia in quella dell’efficienza societaria». Così CHITI, Carenze della

disciplina delle società pubbliche e linee direttrici per un riordino, cit., 9. Sul rischio di duplicazione e sulle sue conseguenze, vista l’«assenza di strumenti di coordinamento tra discipline e la carenza d’un sistema di pregiudiziali processuali», si rinvia a ROMAGNOLI, La società degli enti pubblici: problemi e giurisdizioni nel

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di responsabilità da parte dell’eventuale socio privato, ovvero perseguire l’interesse sociale in luogo di quello pubblico, esponendosi all’azione di responsabilità erariale, ad iniziativa d’ufficio, in caso di deterioramento della situazione patrimoniale della società? In entrambe le ipotesi emergerebbero profili di responsabilità per l’amministratore, che in ogni caso sarebbe passibile di azione di responsabilità, civile o erariale. Ma il ragionamento può essere spinto fino al paradosso: l’amministratore che, per timore di incappare nell’azione di responsabilità amministrativa, privilegiasse l’interesse pubblico a scapito di quello sociale, optando per una gestione conservativa in luogo di una gestione dinamica, arrecherebbe comunque un danno alla società, e con essa al socio pubblico, esponendosi anche in questo caso all’azione di responsabilità amministrativa. L’amministratore, dunque, si troverebbe praticamente in un vicolo cieco, soggetto all’azione giuscontabile in ogni caso di conflitto tra interesse della società ed interesse del socio pubblico. Non manca, perciò, in dottrina chi ha sottolineato che il patema per l’amministratore di incorrere nel giudizio contabile comporterebbe di per sé un danno per la società, che non sarebbe serenamente amministrata(250). Nondimeno, l’invocata serenità di gestione non dovrebbe sfociare nella sostanziale irresponsabilità dei manager pubblici dal punto di vista dell’uso non corretto delle risorse pubbliche.

Praticamente, applicare la responsabilità amministrativa ai soggetti operanti nel mercato può disincentivare l’assunzione di rischi che, sebbene ragionevoli nell’ottica del business, potrebbero essere considerati eccessivi dal punto di vista della tutela delle risorse pubbliche, a danno di una governance efficace. Si ricadrebbe così nel

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medesimo paradosso sopra esplicato, per cui l’organo amministrativo, per non incappare nella responsabilità pubblicistica, sarebbe indotto all’inerzia, con ciò cagionando ugualmente un danno alla società e, di riflesso, al socio pubblico, con ciò esponendosi ugualmente all’azione giuscontabile(251). L’approccio sostanzialistico, cioè, benché «giustificato da esigenze di controllo della spesa pubblica e da intenti moralizzatori»(252), vincola irrimediabilmente a parametri non economici l’operato e le scelte degli amministratori. Vengono di fatto introdotti fattori di rigidità e di distorsione tra imprese private e imprese pubbliche, a svantaggio di queste ultime, negativamente influenzate da «costi non quantificabili per la collettività» e da «distruzione di valore»(253).

Altro punctum dolens della tendenza estensiva, sottolineato da una parte della dottrina(254), riguarda l’irragionevole differenziazione nella tutela del socio pubblico rispetto al socio privato, determinata dall’affermazione della responsabilità amministrativa per mala gestio nella giurisprudenza della Corte dei conti(255). Innanzitutto va fatta una considerazione di ordine sistematico. Quand’anche si recepisca in toto l’orientamento estensivo, attribuendo una qualificazione pubblicistica alla società a partecipazione pubblica, non va dimenticato che la società

(251) Assonime aveva caldeggiato il ripensamento del sistema di doppia responsabilità, civile ed amministrativa gravante sugli amministratori di società a partecipazione pubblica, proprio per questo motivo: la spada di Damocle del giudice contabile potrebbe indurre a politiche aziendali conservative, tese alla preservazione delle risorse pubbliche, dissuadendo il management dall’assunzione di rischi ragionevoli in un’ottica di mercato. Sul tema, si rinvia ai Principi di riordino del

quadro giuridico delle società pubbliche, cit.

(252) Principi di riordino del quadro giuridico delle società pubbliche, cit., 7. (253) Principi di riordino del quadro giuridico delle società pubbliche, loc. cit.. (254) L’articolato ragionamento è di IBBA, Tipologia e “natura” delle società a

partecipazione pubblica, cit., 15.

(255) Ci si riferisce qui a C. conti, sez. giur. Lombardia, 4 marzo 2008 n. 135, in

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è e rimane un organismo associativo destinato ad operare sul mercato e a correlarsi con altri soggetti, ciascuno portatore di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento. Detti soggetti, coi relativi interessi, ricevono tutela dal codice civile, per cui introducendo o ammettendo una forma di tutela speciale per uno dei soci, inevitabilmente si creano problemi di coordinamento tra tutele ed interessi. Nel caso affrontato nella sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale Lombardia, n. 135 del 2008, la questione si era così sviluppata: la cattiva gestione degli amministratori aveva cagionato un danno a due società per azioni, il cui unico socio era una società quotata in borsa, a sua volta partecipata al 30% dal Ministero delle Finanze; la Corte dei conti, nella fattispecie, ha ritenuto di condannare i responsabili a risarcire al Ministro delle finanze il 30% del danno al patrimonio delle società; così facendo, tuttavia, sono state sottratte delle risorse alle società direttamente danneggiate, incidendo negativamente anche sulle pretese della società quotata unica socia e, conseguentemente, dei suoi creditori e dei suoi soci privati. Il fatto che il danno risarcibile sia stato limitato al 30% del danno cagionato al patrimonio delle due società, cioè sia stato limitato alla quota di partecipazione del socio pubblico, lascia impregiudicata ogni azione ordinaria alla società holding e ai suoi soci privati, per la riparazione del danno, in ossequio all’impostazione secondo cui la responsabilità amministrativa e quella civilistica corrono su due binari paralleli. Tuttavia, per evitare la duplicazione della condanna, in caso di azione di responsabilità civilistica, la pronuncia avrebbe dovuto riguardare solo la porzione del danno che si riflette sulle partecipazioni private, mentre l’azione ex art. 2393 c.c. riguarda il danno integralmente. Inoltre, in caso di danno al patrimonio sociale il risarcimento non può che avvenire a beneficio della società, e non del singolo socio, di modo

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che ciascuno dei soci benefici indirettamente della reintegrazione patrimoniale. La criticità è ancora più evidente, a prescindere dall’entità della partecipazione pubblica, eventualmente anche totalitaria, in caso di insolvenza e di azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare nei confronti degli amministratori. Visto che difficilmente sarebbe sostenibile la loro soggezione all’obbligo di risarcire due volte il danno già risarcito al socio pubblico, quest’ultimo beneficerebbe di una prelazione sconosciuta nel diritto societario, cui conseguirebbe la traslazione del rischio d’impresa dal socio pubblico ai creditori sociali. Astraendo dal caso concreto, infine, non va dimenticato che il sistema di pubblicità legale previsto per le società di capitali induce i terzi ad un legittimo affidamento sulla applicazione di un regime giuridico dipendente dal nomen iuris del soggetto iscritto al registro delle imprese(256), per cui tale legittimo affidamento verrebbe svilito di contenuto qualora il regime ordinario recedesse in favore del regime pubblicistico, ledendo tutti coloro i quali hanno attinto informazioni al sistema di pubblicità legale. Ne conseguirebbe uno «svuotamento» del concetto stesso di pubblicità prevista dallo statuto codicistico dell’imprenditore commerciale. In termini più ampi, l’orientamento estensivo rischierebbe di frustrare le «istanze di protezione del mercato e della migliore composizione dei vari interessi», scoraggiando «le esigenze legate all’iniziativa economica privata e quindi alla flessibilità ed alla propensione al rischio»(257).

(256) Tale perplessità è espressa ancora da IBBA, Azioni ordinarie di

responsabilità e azione di responsabilità amministrativa nelle società in mano pubblica, cit., 153.

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Si può concludere, dunque, affermando che la Corte di cassazione ha privilegiato in prima battuta un approccio fortemente garantista del corretto impiego del denaro pubblico, ponendo alla base del ragionamento ora la natura sostanzialmente pubblica delle funzioni esercitate e delle risorse economico-finanziarie a tali fini impiegate, ora la sussistenza del rapporto di servizio inteso in una accezione vieppiù ampia. L’aspetto formale rappresentato dalla forma giuridica del soggetto operante viene ritenuto elemento non determinante, sebbene la forma giuridica a sua volta comporti l’applicazione di uno statuto tipico, la cui coesistenza con le regole pubblicistiche fa emergere le criticità sopra esposte. Ne consegue che la ricostruzione logico-giuridica sottesa all’orientamento estensivo fin dall’origine non è stata ritenuta del tutto convincente dai commentatori, sicché il revirement del 2009 non ha destato sorpresa nella dottrina.

2.2. Il nuovo orientamento restrittivo. La sentenza delle Sezioni