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Le società in house come società «speciali»

CAPITOLO II: LE SOCIETA’ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA

3. Le società «in house»

3.2. Le società in house come società «speciali»

rappresentino una forma di «società speciale», tant’è che sono state definite delle «semi-amministrazioni»(146), che fa sorgere degli

(144) LIBERTINI, op. cit., 54.

(145) Ulteriori limitazioni all’impiego di società in house sono state imposte dall’art. 23-bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in l. 6 agosto 2008, n. 133, poi abrogato in seguito al referendum del 12 e 13 giugno 2011. Il medesimo contenuto delle norme abrogate è stato riproposto «ora nei principi, ora testualmente» dall’art. 4 d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in l. 14 settembre 2001, n. 148, con conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale, intervenuta a seguito della sentenza C. cost. 20 luglio 2012, n. 199, in

www.cortecostituzionale.it. Recentissime sono poi le prescrizioni restrittive in tema di società a partecipazione pubblica in generale, e di società in house in particolare, dettate dall’art. 4 d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 135, attuativo della cosiddetta «spending review».

(146) Cfr. Principi di riordino del quadro giuridico delle società pubbliche, cit., 18.

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interrogativi circa la compatibilità della loro disciplina specifica con quella comune, prevista dal codice civile.

Dal punto di vista della causa societaria, la società di autoproduzione non è esonerata dal perseguimento dello scopo lucrativo; tuttavia, detto scopo appare naturalmente confliggente con le finalità pubbliche di garantire un servizio adeguato a tariffe contenute.

Sotto il profilo del c.d. controllo analogo, la disciplina delle società in house pare inconciliabile con il regime ordinario delle società di capitali. Il controllo analogo fondato su clausole statutarie, infatti, renderebbe la società una «società anomala»(147). La soggezione degli amministratori a condizionamenti radicali da parte del socio pubblico contrasta irrimediabilmente con l’art. 2380-bis cod. civ., che riserva agli amministratori in via esclusiva le gestione al fine di perseguire l’oggetto sociale. La gestione esclusivamente riservata agli amministratori esclude ogni condizionamento esterno, così come l’esigenza del c.d. controllo analogo esclude l’autonomia gestionale civilisticamente prevista per l’organo amministrativo. La previsione di vincoli statutari tali da garantire il controllo analogo richiesto dalla giurisprudenza comunitaria sarebbe del tutto incompatibile col diritto comune. Né sarebbe ammissibile realizzare il controllo analogo per mezzo di patti parasociali, in quanto essi producono effetti meramente obbligatori: la violazione

(147) COSSU, Le s.r.l. in house providing per la gestione dei servizi pubblici

locali a rilevanza economica nel diritto comunitario e nazionale, in IBBA -MALAGUTI-MAZZONI (a cura di), Le società “pubbliche”, cit., 264; ID.,

L’amministrazione nelle s.r.l. a partecipazione pubblica, in Giur. comm. 2008, I, 652.

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dell’eventuale patto parasociale volto ad assicurare il controllo analogo, infatti, comporterebbe solamente l’obbligo di risarcire il danno(148).

Se, come appena visto, l’ordinaria disciplina delle S.p.a. pare difficilmente coordinabile con il regime delle società di autoproduzione, lo stesso non si può dire per le S.r.l. Queste ultime, rispetto alle società per azioni, dispongono di una autonomia statutaria maggiore e di una maggiore centralità dei soci rispetto all’organo amministrativo, i quali potrebbero finanche prevalere nella gestione rispetto agli amministratori, salva la corresponsabilità ex art. 2476 cod. civ. Un tanto implica una maggiore adattabilità del tipo sociale delle S.r.l. alle esigenze di controllo analogo richieste per le società in house. Detta maggiore adattabilità è confermata dalla possibilità di assicurare al socio pubblico diritti sociali maggiori rispetto a quelli che spetterebbero in proporzione all’entità della partecipazione, ex art. 2468 cod. civ., oltre che dalla possibilità di impedire la circolazione delle partecipazioni a tempo indeterminato ex art. 2469 cod. civ., stabilizzando la posizione di dominio del socio pubblico. Ancora, può essere previsto l’obbligo per gli amministratori di sottoporre preventivamente determinate questioni alla decisione dei soci, ai sensi dell’art. 2479 cod. civ. e la possibilità per il socio pubblico di nominare gli amministratori(149). Per tutti i motivi

(148) Questa è l’opinione di COSSU, Le s.r.l. in house providing per la gestione

dei servizi pubblici locali a rilevanza economica nel diritto comunitario e nazionale, in IBBA-MALAGUTI-MAZZONI (a cura di), Le società “pubbliche”, cit., 265. Contra LIBERTINI, op. cit., 23 e ss.

(149) Cfr. COSSU, Le s.r.l. in house providing per la gestione dei servizi pubblici

locali a rilevanza economica nel diritto comunitario e nazionale, in IBBA -MALAGUTI-MAZZONI (a cura di), Le società “pubbliche”, cit., 266 ss. La maggiore flessibilità della S.r.l. rispetto alla S.p.a. rende la prima più adatta alla partecipazione di un socio pubblico, che come tale deve rendere conto alla collettività dell’andamento societario, secondo la Corte dei conti, Deliberazione n. 14/SEZAUT/2010/FRG, 6, in www.corteconti.it.

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sopra esposti, ferma restando la difficile conciliabilità tra disciplina delle società in house e regime ordinario delle società di capitali, pare preferibile l’adozione della forma societaria della S.r.l., in quanto la disciplina più elastica rispetto a quella delle S.p.a. meglio si attaglia alla configurazione del controllo analogo richiesto per l’in house providing.

Da ultimo, va rammentato che con riferimento agli affidamenti diretti a società di autoproduzione, oltre alla nutrita giurisprudenza comunitaria sopra riportata, è intervenuto recentemente anche il legislatore nazionale, precisamente con l’art. 4, comma 13, della l. 14 settembre 2011 n. 148 di conversione del d.l. 13 agosto 2011 n. 138. L’art. 4 testé menzionato è stato annullato per incostituzionalità ad opera della Corte costituzionale con sentenza 20 luglio 2012 n. 199, ma il contenuto relativo agli affidamenti in house è stato trasfuso nell’art. 4, comma 8, d.l. 6 luglio 2012 n. 95, convertito con modificazioni in l. 7 agosto 2012 n. 135. L’ultima novella richiede, per la legittimità di qualsivoglia gestione in house, la presenza contestuale dei requisiti già enucleati dalla giurisprudenza comunitaria, vale a dire capitale interamente pubblico, destinazione prevalente e controllo analogo, oltre ad imporre un limite dimensionale del valore economico dei beni o del servizio pari a 200.000 euro annui(150). È espressamente vietato l’artificioso ed elusivo frazionamento dello stesso servizio, e del relativo affidamento: non si può attribuire un nomen iuris diverso servizi identici al fine di aggirare la soglia stabilita.

La conclusione che se ne può trarre è l’evidente ostilità del legislatore per gli affidamenti diretti. Si manifesta invece la propensione

(150) Nella formulazione originaria, il tetto agli affidamenti in house era di 900.000 euro ed è stato ridotto a 200.000 euro ad opera dell’art. 25 del d.l. 1 2012, modificativo dell’art. 4 del d.l. 138 del 2011.

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agli affidamenti a soggetti estranei alla pubblica amministrazione, mediante procedure competitive ad evidenza pubblica. Si evince, perciò, il forte ridimensionamento, per il futuro, del ricorso alle società di autoproduzione, che dovrebbero diventare così una modalità organizzativa del servizio tutto sommato marginale.

4. Profili civilistici – Sebbene nel lessico comune espressioni come