• Non ci sono risultati.

4. Misure cautelari

4.2. Custodia cautelare in carcere

Per il reato di atti persecutori può essere disposta, qualora il giudice lo ritenga opportuno, la misura cautelare coercitiva della custodia cautelare in carcere. Come statuito dal comma 3 dell’art 275 del codice di rito, essa deve essere disposta come extrema ratio, non dovendosi applicare quando la situazione può

161 essere fronteggiata con altre misure cautelari meno gravose previste dall’ordinamento processuale penalistico.

La custodia cautelare in carcere, prevista dall’art. 285 del codice di procedura penale, rappresenta la più grave tra le misure coercitive previste dall’ordinamento. Ai sensi del comma 1 “Con il provvedimento che dispone la custodia cautelare, il

giudice ordina agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria che l'imputato sia catturato e immediatamente condotto in un istituto di custodia per rimanervi a disposizione dell'autorità giudiziaria”.

Il comma 2 prevede, invece, che: “Prima del trasferimento nell'istituto la persona

sottoposta a custodia cautelare non può subire limitazione della libertà, se non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua traduzione”.

È opportuno precisare che, nel caso di reato di stalking ex art. 612-bis c.p., considerato che nella prassi lo stalker può identificarsi con una persona che necessiti di cure specialistiche, non è improbabile che il giudice disponga la custodia cautelare in un luogo di cura261.

Da ultimo, appare doveroso un cenno al dibattito accesosi in riferimento alla custodia cautelare in carcere in caso di reato di atti persecutori in seguito all’emanazione del decreto legge n. 78/2013 meglio noto come “svuota carceri”. L’art. 1 recante modifiche al codice di procedura penale ha previsto che la custodia cautelare in carcere è prevista per i reati la cui pena è punita con la reclusione nel massimo a cinque anni rispetto a quella di quattro prevista dal precedente testo dell’art. 280 c.p.p.

La novella aveva destato pesanti critiche sul fronte del reato di atti persecutori atteso che, com’è noto, l’art. 612-bis c.p. prevedeva fino ad un recentissimo passato una pena che va da mesi 6 ad anni 4 di reclusione con l’inevitabile conseguenza che per tale reato non sarebbe stato possibile procedere all’applicazione della custodia cautelare in carcere.

L’opinione pubblica, alla luce dei fatti di cronaca, aveva criticato il legislatore che invece di aumentare la tutela della vittima di atti persecutori, la lambiva262.

Ciò ha portato il legislatore in sede di conversione in legge n. 94/2013 del decreto legge 78/2013 ad innalzare nel massimo la pena per la fattispecie criminosa in esame da quattro a cinque anni, in modo tale da rendere possibile l’applicazione allo stalker della custodia cautelare in carcere, ovviamente in presenza dei presupposti previsti dalla legge.

261

C.PUZZO, Stalking e casi di atti persecutori, Maggioli editore, II edizione, 2014, p. 155.

262 C.P

162 In materia vi è una recente pronuncia della Corte di Cassazione che merita un attimo di attenzione263.

Detta sentenza, depositata il 18 luglio 2014, aveva ad oggetto un ricorso contro l’ordinanza del Gip del Tribunale di Roma che, applicando il decreto legge 78/2013 (Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena), aveva sostituito nei confronti di un soggetto indagato per stalking la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.

Il Gip aveva ritenuto che la predetta normativa – che eleva da quattro a cinque anni il limite minimo di pena previsto per l’applicabilità della custodia cautelare in carcere - fosse immediatamente applicabile, trattandosi di norma processuale retta dal principio tempus regit actum264. Viceversa, la contestuale modifica dell’art. 612-bis c.p. – che innalza la pena massima per il reato ivi previsto da quattro a cinque anni di reclusione – opererebbe solo per i fatti commessi dopo la data di entrata in vigore del predetto decreto legge. Alla luce di ciò, la misura cautelare che era stata irrogata nel rispetto dei requisiti di legge, non poteva essere mantenuta perché la nuova regola processuale imponeva, per la misura cautelare, una pena edittale più alta; sebbene la misura della pena prevista per il reato di

stalking fosse stata elevata da quattro a cinque anni con la stessa norma che aveva

apportato la modifica sul piano procedurale, tuttavia per il principio di irretroattività della legge penale (sostanziale) più sfavorevole, all’indagato non poteva essere applicata la pena attuale fino a cinque anni, ma quella vigente al momenti del fatto (fino a quattro anni).

Il Gip di Roma ritiene che la nuova norma cautelare trovi applicazione immediata, in quanto norma più favorevole, mentre l’innalzamento della pena per l’art. 612-

bis c.p., non operi per il principio di irretroattività di cui all’art. 2 del medesimo

codice, conseguentemente, ritiene che non sussistano più, oggi, le condizioni per il mantenimento della misura. Tale opinione, anche se formalmente corretta, non appare condivisibile.

In primo luogo occorre tener conto della voluntas legis, visto che ci troviamo di fronte ad una modifica priva di disciplina transitoria e, dunque, aperta a più soluzioni; il dichiarato fine del legislatore (nel prevedere altresì l’aumento della pena per il reato di atti persecutori) di voler mantenere la custodia cautelare per tale reato, non solo non contrasta con la ratio oggettiva della legge, ma, anzi, è con essa assolutamente compatibile; è la stessa contestualità dell’intervento modificativo delle due norme (art. 280 c.p.p., e art. 612-bis c.p.) ad assegnare al

263

Cass. pen., Sez. V, 18 luglio 2014, n. 31839.

264 Il principio di diritto processuale "tempus regit actum" è quello in virtù del quale l'atto

processuale è soggetto alla disciplina vigente al momento in cui viene compiuto, sebbene successiva all'introduzione del giudizio.

163 decreto legge la volontà di mantenere la possibilità di irrogare la custodia in carcere per tale reato. La soluzione è anche impeccabile sotto un profilo logico, se si pensa che per il reato di stalking l’applicabilità della custodia cautelare era prevista fino al D.L. n. 78 del 2013, ed è altresì prevista dopo la predetta modifica. Se si poteva applicare prima e si può applicare dopo, per quale motivo si dovrebbe revocare una misura legittimamente emessa?

La soluzione prospettata dal Gip di Roma, allora, si manifesta in tutto il suo formalismo. Tuttavia – si legge in sentenza – poiché il diritto è anche forma, e soprattutto deve essere internamente coerente, non basta reperire una soluzione di ragionevolezza, ma bisogna ancorarla a dati giuridici precisi.

La questione giuridica è risolvibile nel seguente modo.

E’ pacifico che all’indagato non potrà essere irrogata una pena di cinque anni; è altrettanto pacifico che oggi la misura cautelare della custodia in carcere può essere applicata solo per delitti puniti con pena edittale non inferiore, nel massimo, ad anni cinque. Ma, per verificare se all’indagato può essere mantenuta o irrogata la predetta misura cautelare, ci si deve porre un’unica domanda: il reato per cui si procede nei suoi confronti, continua ad essere compreso tra quelli per i quali si può disporre la custodia in carcere? La risposta è positiva.

L’art. 280 c.p.p., dopo la modifica più volte richiamata, prevede che si può disporre la predetta misura quando si procede per reati che sono puniti, nel massimo, con pena non inferiore ad anni cinque e l’attuale testo dell’art. 612-bis soddisfa tale requisito. Dunque, anche oggi per lo stalking può essere irrogata (e dunque mantenuta) la custodia carceraria.

Pertanto, deve ritenersi tuttora efficace la misura cautelare della custodia in carcere applicata, in relazione al delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis cod. pen., con ordinanza emessa in data anteriore alle modifiche apportate al predetto articolo e all’art. 280 cod. proc. pen. dal decreto legge 78/2013.

Anche per la custodia cautelare in carcere vige l’obbligo di comunicazione per la polizia giudiziaria in caso di sostituzione o revoca della misura cautelare ai sensi del comma 2-bis dell’art. 299 c.p.p.