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II. DÈI, SIGNA E PROFEZIE ALLE SOGLIE DELLA GUERRA CIVILE IL BELLUM CIVILE

1. Dèi e omina nel Bellum petroniano

1.1. La collocazione di omina e concilium

La collocazione del concilium fra Dite e Fortuna e del catalogo di omina appare assai originale sullo sfondo delle fonti pervenuteci e fornisce immediatamente indizi importanti per l’interpretazione della sezione. I portenti sono collocati appena dopo la scena deliberativa fra Dite e Fortuna in cui si decide il destino di Roma e appena prima dell’entrata in scena dei protagonisti umani e nella fattispecie di Cesare, con tanto di nuovi omina dopo il suo discorso (vv. 177ss.). In questa duplice serie di omina l’autore sta riprendendo:

1. i portenti che avvennero appena prima del passaggio del Rubicone e coinvolsero direttamente Cesare56;

2. i portenti che avvennero dopo il passaggio del Rubicone spargendo il panico fra la popolazione, in Italia e più specificatamente a Roma57.

Al di là della plateale sostituzione del fiume con le Alpi e del conseguente slittamento “all’indietro” che ne deriva, è evidente che i presagi connessi a questi eventi ricevono in Petronio una radicale rielaborazione:

56 Così Lucano, Plutarco e Svetonio. Ora, Plutarco (Caes. 32, 9) afferma che Cesare sognò di unirsi con sua

madre; Svetonio (Caes. 32) menziona un’apparizione che attraversò il Rubicone inducendo il generale a sciogliere gli indugi, mentre Lucano (1, 185ss.) ne riporta una della Patria – di ciceroniana memoria – che, per contro, cerca di dissuaderlo. Cfr. Pelling 2011, 134; Santangelo 2013, 236-7.

1. l’elenco di omina collocato nelle fonti dopo il passaggio del Rubicone (vd. soprattutto Lucano) precede nel Bellum la narrazione di qualsiasi sviluppo umano e non è messo in relazione né alla popolazione terrorizzata dai portenti né ad azioni di Cesare;58

2. subito dopo questo lungo elenco, Eumolpo introduce il racconto del momento clou del passaggio delle Alpi (con il cadat alea etc.) e in questo contesto vengono presentati alcuni altri presagi che incoraggiano il generale59.

Questa complessa rielaborazione dei dati tradizionali contribuisce a definire il rapporto fra umano e divino in maniera decisiva. Il tema della responsabilità umana riceve una trattazione a doppio senso. Da una parte, il preambolo moralistico presenta gli uomini come colpevoli, destinati alla guerra civile come ultima ratio – una tematica ripresa nel discorso di Dite. Rilevante è soprattutto il fatto che i portenti siano posizionati appena dopo il discorso Dite-Fortuna, prima dell’introduzione delle vicende umane, anzi, più precisamente, a “incorniciare” un passaggio decisivo delle azioni di Cesare. Per questa via viene esplicitamente rappresentato il piano divino che soggiace al catastrofico corso della storia, mentre Cesare viene presentato come “attuatore” del disegno degli dèi e di un ineluttabile corso degli eventi. Gli omina hanno la funzione di manifestazione terrena di un piano divino destinato a compiersi (vedi la prima serie) e di incoraggiamento per il generale (vedi la seconda serie)60.

1.2. Dèi e signa dopo Lucano e Ovidio

Il rapporto di Petronio con la tradizione precedente è complesso e sfaccettato. Il referente più immediato è, naturalmente, Lucano. Il pezzo petroniano, prima di tutto, vuole essere una risposta all’opacità dei “moventi divini” della Pharsalia, a quell’ira deum cui Lucano allude ripetutamente senza darne esplicita rappresentazione. La collera degli dèi riceve qui

58 Connors 1989, 106 sottolinea l’intento sovversivo nei confronti di Virgilio che Petronio condivide con

Lucano (cfr. sopra), ma l’operazione petroniana è senz’altro più complessa e sfaccettata.

59 Nessuno dei tre diversi ostenta riportati dalle fonti (vd. sopra) ricorda quelli che troviamo nel Satyricon.

Questa dissimiglianza, in ogni caso, non va guardata con troppa perplessità e può avere diverse ragioni. Le stesse discrasie fra le fonti sono indice della discreta libertà con cui questo materiale poteva essere trattato, soprattutto in poesia (si ricordino la creazione di un catalogo omnicomprensivo da parte di Lucano in

Pharsalia I e la libertà con cui Ovidio riscrive gli omina prima della morte di Cesare). D’altra parte, se è vero

che si sta descrivendo il momento decisivo dell’aggressione di Cesare alla patria e viene menzionato il cadat

alea/iacta alea est, non bisogna dimenticare che siamo ancora sulle Alpi e nulla vietava a Petronio, una volta

messo in atto l’abnorme cambiamento di tempo e luogo, di deviare rispetto alla tradizione in alcuni particolari; anzi, una precisa corrispondenza fra l’aneddotica del passaggio del Rubicone e la scena petroniana ambientata sulle Alpi avrebbe avuto forse effetti ancor più “stridenti”. Bisogna sottolineare che il valore “incoraggiante” degli omina avvicina la narrazione petroniana al resoconto di Svetonio: la sentenza di Cesare riportata in Svet.

Caes. 32 (“Eatur, inquit, quo deorum ostenta et inimicorum iniquitas vocat. Iacta alea est”) va confrontata con

i vv. 183-4, dopo la seconda serie di omina (fortior ominibus movit Mavortia signa / Caesar, et insolitos

gressu prior occupat ausus), ma anche con il passo che chiude il primo elenco (vv. 141-143 haec ostenta brevi solvit deus. Exuit omnes / quippe moras Caesar, vindictaeque actus amore / Gallica proiecit, civilia sustulit arma). Gli omina riportati da Petronio sono repertorio standard: il valore convenzionale viene sottolineato

dalla ridicola mancanza di rapporto (e coerenza!) col paesaggio alpino (cfr. Schmeling-Setaioli ad loc.).

60 Questa duplice funzione è esplicitata dai vv. 126-7 continuo clades hominum venturaque damna / auspiciis

patuere deum che aprono il primo catalogo e i vv. 183-4 fortior ominibus movit Mavortia signa / Caesar (cfr.

anche v. 178 omina laeta); i vv. 141-2 haec ostenta brevi solvit deus. Exuit omnes / quippe moras Caesar indicano che gli dèi portano presto a compimento gli eventi preannunciati dai loro ostenta e tale “messa in atto” è demandata alla rapida azione di Cesare.

un’esplicitazione nel concilium deorum fra Dite e Fortuna; i seguenti omina sono coerente propaggine di questo concilio, preannunciando l’inevitabile attuazione del piano delle divinità adirate. Questo evidente pattern macrostrutturale sembra essere confermato da una spia intertestuale. Il catalogo petroniano si apre con un’espressione che pare riecheggiare la già citata chiusa del catalogo lucaneo:

vv. 126-7

continuo clades hominum venturaque damna auspiciis patuere deum.

Lucan. 2, 1-4

Iamque irae patuere deum manifestaque belli signa dedit mundus legesque et foedera rerum praescia monstrifero vertit natura tumultu indixitque nefas.

La possibile allusione a Lucano risulta particolarmente pregnante se letta sullo sfondo della considerazione di Feeney sopra riportata: in un poema che, in modo rivoluzionario, mette da parte il tradizionale apparato divino, questo manifestarsi delle irae deum contiene un forte elemento di opacità. Difficile, naturalmente, che Petronio avvertisse la carica paradossale dell’affermazione lucanea alla maniera di Feeney, ma attrae l’idea che l’autore cogliesse un certo grado di criticità nell’apertura di Pharsalia II e ci tenesse a segnalare la “diversità di rappresentazione” di tali irae deum61. La forte anticipazione di questi presagi a prima dell’entrata di Cesare in Italia, prima dell’apertura delle ostilità, serve a staccare ancor di più il momento deliberativo divino da vicende e logiche umane e a dargli un valore propriamente fondante per la narrazione. Molto interessante, a questo riguardo, è l’eliminazione della reazione intimorita degli uomini davanti ai portenti. Lucano riprende e sviluppa un rapido cenno di Virgilio (Georg. 1, 468 impiaque aeternam timuerunt saecula noctem): nella Pharsalia gli omina hanno la funzione di aumentare il terrore dei cittadini alla notizia dell’avanzata di Cesare. La paura della popolazione è tema toccato da Petronio solo nel contesto della fuga da Roma, mentre in questo preambolo “tutto divino” l’elemento del timor davanti ai presagi potrebbe essere alluso, al più, nella strana e paradossale reazione di Plutone davanti al fulgur di Giove62. Altra differenza rilevante fra Lucano e il Bellum petroniano è il punto di vista del narratore nei confronti degli dèi. Se il poeta della Pharsalia, pur sottolineando la corruzione morale di Roma, indulge in invettive contro la crudeltà degli dèi, nel Bellum petroniano bisogna rilevare la sostanziale consonanza fra la tirata moralistica iniziale e le parole di Dite e Fortuna, per cui la guerra si configura come punizione per un’umanità corrotta: se Eumolpo cerca di rappresentare i crudeli moventi divini della Pharsalia, la componente propriamente polemica nei loro confronti viene rimossa (vd. infra par. 5).

Nella raffinata rielaborazione del modello lucaneo fondamentale è l’intertesto ovidiano. Il rapporto che lega il passo del Bellum alla scena finale di Metamorfosi XV è assai sottile. Non solo nelle Metamorfosi viene rappresentato un apparato divino che manda omina alle soglie della guerra civile; Ovidio reagisce evidentemente alle sollecitazioni presenti nelle

61 La complessa apertura del secondo libro della Pharsalia, pur con tutte le sue ambivalenze, si propone come

una messa in discussione dell’utilità dei signa, della prescienza e del ruolo del divino.

Georgiche, cercando di rispondere all’ “enigma teologico” proposto dagli omina virgiliani e, più concretamente, di fornire una rappresentazione dei superi. Pertanto, proprio nelle Metamorfosi e, più specificatamente, nella peculiare dinamica intertestuale che lega Georgiche I e Metamorfosi XV Petronio può trovare spunti per dar corpo alla sua rielaborazione di Lucano, la narrazione del quale appare, per certi versi, coerente sviluppo di Georgiche I. Come Ovidio, Petronio è interessato a fotografare un apparato divino “alle soglie del primo atto di guerra” (la morte di Cesare, il passaggio del Rubicone) – donde l’anticipazione dei deorum ministeria e degli omina ad essi connessi. Come in Ovidio, sono i moventi divini ad essere messi in scena, mentre gli uomini e le loro reazioni ai portenti vengono tralasciati. Questa “contaminazione” di modello ovidiano e lucaneo è evidente proprio nel già richiamato incipit del catalogo petroniano63:

vv. 126-7

continuo clades hominum venturaque damna auspiciis patuere deum.

Ovid. Met. 15, 799-800

non tamen insidias venturaque vincere fata praemonitus potuere deum.

Se l’apertura di Pharsalia II è allusa testualmente in patuere deum, proprio su questo singolo richiamo viene argutamente innestata la reminiscenze ovidiana, praemonitus potuere deum di Met. 15, 800, con il verbo al perfetto incastonato fra il genitivo deum e il termine per designare i signa che gli dèi mandano agli uomini (praemonitus/auspiciis); per di più la struttura del verso precedente risulta, nell’insieme, vicina a quella del Met. 15, 799 (si veda la coordinazione insidias venturaque fata – clades venturaque damna). Questi versi, al pari del verso di apertura della profezia della Fortuna (v. 111: vedi sotto), si presentano come programmaticamente carichi di molteplici echi allusivi, che invitano il lettore, fin dall’inizio, ad apprezzare la complessa, stratificata operazione intertestuale in atto.

Ora, l’apertura del catalogo, con la sua “stratificazione intertestuale”, non solo risponde all’opacità degli dèi adirati lucanei, ma inverte anche l’impotenza degli dèi ovidiani. Questo punto merita ulteriore approfondimento. Petronio, per così dire, pare integrare una “lacuna lucanea” ispirandosi alla scena ovidiana, ma questa operazione è tutt’altro che indolore e porta a una profonda dissonanza dalle Metamorfosi. Se Ovidio aveva risposto alle inquietudini virgiliane circa i superi con un apparato divino tutto sommato “immobile” alle soglie della guerra civile, l’autore del Satyricon fa agire le suggestioni provenienti dalla Pharsalia sulla rappresentazione delle sue divinità e ripropone il radicale ribaltamento del provvidenzialismo stoico proprio di Lucano: al posto di dèi impotenti davanti alle disgrazie umane, Petronio mostra un Götterapparat attivamente impegnato in un piano di distruzione di Roma, cerca di rappresentare le leve, i moventi divini che mettono in moto guerra civile. In questo senso, la scelta stessa di protagonisti così poco convenzionali, Dite e Fortuna, induce a riflettere. Abbiamo accennato al fatto che la “crisi del divino” di Metamorfosi XV possa avere un ruolo nelle scelte radicali di Lucano; per l’apparato divino anticonvenzionale di Petronio il rapporto è ancora più esplicito e diretto. Giove e il tradizionale Götterapparat hanno mostrato in Ovidio la loro immobilità davanti alle disgrazie umane, demandando tutto

a un disegno del destino su cui non esercitano alcuna autorità ma che si limitano semplicemente a leggere64. Conseguentemente, un poeta epico, postovidiano e postlucaneo, che, come Eumolpo, voglia costruire un apparato divino in grado di spiegare la guerra civile, si ritrova a ricorrere a figure al di fuori della tradizione. Il poetastro del Satyricon sceglie una divinità tipicamente marginale nell’epica, il dio degli inferi, che auspica caldamente queste disgrazie e una Fortuna onnipotente, arbitra dei fata, che va incontro ai desideri del dio dei morti. Appena prima del concilium, peraltro, ai vv. 61-66 sui triumviri e la loro sorte65, viene proposto un orizzonte teologico alquanto singolare: l’intera vicenda del bellum civile, una catastrofe che ha travolto tutti e tre i gloriosi generali, viene diretta dalla Fortuna e dalla feralis Enyo66. Proprio nella scelta di Fortuna, divinità che nell’epica non trova alcun precedente significativo, si fa particolarmente sentire l’influsso lucaneo67. Nell’epica della guerra civile di Lucano il gioco crudele della Fortuna è motivo centrale68. Nel poemetto petroniano il tema del ruolo della Fortuna viene rappresentato concretamente fra i deorum ministeria, viene tradotto in forma drammatica attraverso la caratterizzazione di una invida Fortuna personificata. La dinamica di tradizione classicistico-virgiliana e di innovazione lucanea trova un singolare compromesso in questa divinità personificata. La colonna portante dell’apparato divino del Bellum civile, dunque, esula dal pantheon canonico, nasce dalle sollecitazioni presenti nella Pharsalia e dà un volto alle “divinità invisibili” di Lucano69. Per quanto riguarda specificatamente il rapporto fra omina e apparato divino, è interessante che anche Lucano aveva alluso al citato Met. 15, 799 (non tamen insidias venturaque vincere fata […]) nel contesto dei presagi prima della battaglia di Farsalo (Lucan. 7, 151-152 non tamen abstinuit venturos prodere casus / per varias Fortuna notas), ma agli impotenti (inutili?) dèi ovidiani sostituisce proprio l’onnipotente Fortuna.

64 Se Petronio reagisce agli dèi di Met. XV, impotenti davanti allo scoppio delle guerre civili, vero è che un

altro concilium deorum ovidiano, quello che apre Met. I, in cui gli dèi si presentano in tutto il loro potere distruttivo, sembra avere parimenti ispirato la scena petroniana: cfr. il prossimo capitolo.

65 Vv. 61-66 tres tulerat Fortuna duces, quos obruit omnes / armorum strue diversa feralis Enyo. / Crassum

Parthus habet, Libyco iacet aequore Magnus, / Iulius ingratam perfudit sanguine Romam, / et quasi non posset tot tellus ferre sepulcra / divisit cineres. Hos gloria reddit honores.

66 Enyo è dai Romani identificata con Bellona. Cfr. commento ad loc.: l’epitaffio è materiale topico. Nel carme

17 Zurli v. 2 la catastrofe delle guerre civili induce a chiedersi se esistano dèi (credimus esse deos?); Lucano (6, 818; cfr. anche 8 Zurli vv. 3-4) attribuisce la responsabilità alla Fortuna; nel Bellum petroniano troviamo

Fortuna ed Enyo.

67 Su Dite in Lucano, cfr. il prossimo paragrafo.

68 Nella vasta bibliografia sul tema mi limito a Friedrich 2010 (= Friedrich 1938), Dick 1967, Feeney 1991,

280, Walde 2012 e Eigler 2012 (utili considerazioni anche negli studi di insieme di Narducci 2002 e Wiener 2006, passim). Non stupisce che negli studi si utilizzi spesso la formula, semplicistica ma non priva di una sua efficacia, della Fortuna lucanea come “sostituto” dell’apparato divino tradizionale: cfr. per es. Reed 2011, 25 («Lucan’s poem undoes Virgilian fate and collapses it into “fortune”. Fortuna functions as the chief god in this poem, replacing the gods that were always at home in Roman historical epic»).

69 Cfr. le acute considerazioni di Connors 1989, 86: «[…] in choosing Fortuna as his divine agent, the poet

looks to Lucan’s treatment of the role of the divine, and his reaction against Vergil’s anthropomorphic gods; when Eumolpus gives Fortuna a voice and a body, he imposes Virgilian conventions upon Lucan precisely where Lucan had resisted them most». Cfr. anche Feeney 1991, 270 n. 93 e Courtney 2001, 184 (già Collignon 1892, 202 accenna al possibile rapporto fra Fortuna lucanea e petroniana).

1.3. Opacità degli omina petroniani

Le scelta anticonvenzionale delle divinità porta infine a meditare sul senso assai ambiguo, per non dire equivoco, del pezzo convenzionale inserito nel Bellum, il catalogo di omina. Petronio lo introduce parlando di auspicia deum, ma viene da chiedersi chi siano precisamente gli dei qui richiamati e che senso abbia il termine auspicium. Dei, con la sua genericità, sembra designare – oltre che i citati Dite e Fortuna (e forse più che loro) – le divinità che stanno per essere menzionate, direttamente e indirettamente, nel piccolo elenco (Titan, Cynthia, Iuppiter; cfr. anche i signa apollinei dei vv. 177ss.), ma, come in Ovidio (cfr. i praemonitus deum di Ovid. Met. 15, 800), anche il pantheon tradizionale in senso lato, proprio quelle divinità, insomma, che nel Bellum non hanno preso né prenderanno la parola70. Auspiciis potrebbe indicare finanche favore e partecipazione al piano delle due malvagie divinità – e viene in mente, in questo senso, il ruolo attivo del pantheon tradizionale nei vv. 264ss. –, ma bisogna notare che, esattamente come il sol delle Georgiche e le divinità ovidiane, il Titan e la Cynthia petroniani appaiono evidentemente spaventati da ciò che sta per avvenire (si tratta di uno scelus: v. 131, unica attestazione del termine nel poemetto!), in maniera non dissimile dalla mitis turba deum che fugge davanti al furor bellico degli umani ai vv. 245ss., e sembrano subire loro malgrado il corso degli eventi. In questi auspicia deum si apre, insomma, un non indifferente margine di ambiguità. In effetti, una stimolante linea di interpretazione riguarda proprio il grado di opacità di questi signa deum non solo in Lucano, ma anche in Petronio, nella misura in cui entrambi rinunciano al convenzionale apparato divino. In altre parole, gli omina petroniani ci dicono ben poco di quella prospettiva olimpica che appare sostanzialmente ininfluente nel contesto del Bellum civile del Satyricon. Petronio, con la sua “rimozione dell’Olimpo”, appare reagire alla non convenzionale “rimozione degli dèi” di Lucano, producendo effetti non meno destabilizzanti: il vuoto di significato indotto da questa deviazione dalla tradizione porta a un’evidente instabilità della forma epica e dei suoi elementi costitutivi. Nel percorso poetico del convenzionale catalogo di portenti e della sua interazione con l’apparato divino, il Bellum civile petroniano costituisce un tassello di notevole interesse e originalità: come Lucano (ma con mezzi differenti), Petronio, al contempo, dà un’espressione esasperata alla graduale crisi dell’apparato divino presente, in diversi modi e misure, nei suoi predecessori, proponendo una soluzione inedita e audace.