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La subalternità di Giove La marginalità dell’Olimpo, un altro punto di vista sulla

II. DÈI, SIGNA E PROFEZIE ALLE SOGLIE DELLA GUERRA CIVILE IL BELLUM CIVILE

4. La folgore di Giove

4.3. La subalternità di Giove La marginalità dell’Olimpo, un altro punto di vista sulla

La riflessione fin qui condotta permette di spiegare la “superiorità” sul fratello che Giove manifesta nei vv. 122-125, ma questa contestualizzazione nella tradizione (o convenzione) epica descrive, per così dire, solo una faccia della medaglia. Un elemento su cui gran parte della critica ha mancato di concentrarsi è in effetti il carattere decisamente ambiguo di questa manifestazione muscolare da parte del sommo dio. Molti, come detto, hanno visto dell’ironia nella fuga di Dite – come ho cercato di dimostrare, si tratta un’ironia sottile, che affonda le suo radici in un gioco con le convenzioni epiche. A mio parere, tuttavia, una siffatta ironia investe anche la causa della fuga (il fulgur, appunto), e questo nemmeno troppo implicitamente. Che significato ha il fulmine in relazione a quanto precede, al concilium che ha per protagoniste le due malvagie divinità? Che ruolo ha in esso il sommo dio, cardine del tradizionale Götterapparat dell’epica? Se si considera la laconica folgore sullo sfondo della scena precedente, la supposta superiorità di Giove che abbiamo fin qui tratteggiato viene messa in dubbio e si coglie, piuttosto, la subalternità del dio non solo rispetto all’onnipotente Fortuna139, che di fatto lo sostituisce, ma anche, per certi versi, nei confronti di Dite. La folgore, tipico omen che segnala l’assenso di Giove, ha un effetto squisitamente paradossale dopo le parole della Fortuna: questa, di fatto, illustra quanto sta per accadere come sua propria decisione, o, meglio, come proprio “capriccio”, e non si preoccupa certo di richiedere il sostegno di Giove (come peraltro previsto dalla topica in cui appaiono simili presagi: vd. sopra), proprio perché si presenta come autorità autonoma e sovrana. E come tale la concepisce Dite: il dio dei morti avrà pure “paura dei colpi del fratello”, ma si è rivolto a una divinità che lui considera evidentemente ben più potente del fratello, lo ha scavalcato costringendolo a una semplice sanzione ex post. Ci troviamo davanti a un vero e proprio corto circuito dell’apparato divino del Bellum civile petroniano, in cui elementi convenzionali e non convenzionali si incontrano in una dinamica complessa.

138 Contra Venini 1968, 137, la quale afferma che il Plutone petroniano «appare, come nella Tebaide,

antagonista di Giove» (anche Ganiban 2007, 119-120 n. 9 propone un confronto in questo senso, a dire il vero in modo alquanto vago e generico). Sul tema della rivalità fra Giove e Dite nella Tebaide, cfr. almeno Feeney 1991, Ganiban 2007 cap. 6, Bennardo 2010 passim, con bibliografia, e il commento di Augoustakis a Theb. VIII (Index s.v. “Pluto, fight with Jupiter”).

139 Baldwin 65: «Even Jupiter merely falls in with her plans. His lightnings, which terrify his brother, make no

Sicuramente c’è il gusto di far interagire ingredienti eterogenei in modo paradossale, di buttare un tipico omen (il fulmine) nel calderone di una scena che vede due protagonisti molto poco tipici, Fortuna e Dite. Il risultato è soprattutto un’ambigua fotografia dei rapporti di forza. La superiorità di Giove si manifesta nella fuga di Dite, che pare una specie di tributo ai rapporti di forza tipici del tradizionale Götterapparat – e c’è dell’evidente gusto per l’inaspettato e per il paradosso già solo nel presentare il dio dei morti faccia a faccia con un fulmine. Il dato della tradizione viene però drasticamente relativizzato nel momento stesso in cui si inserisce il “terzo incomodo” di un’assai poco convenzionale divinità, l’onnipotente Fortuna. Al lettore potrebbe perfino sorgere il dubbio che il fulgur sia in qualche modo provocato dalla Fortuna e venga frainteso (o meglio: venga interpretato in senso tradizionale) da Dite!

Insieme a Connors, l’unico ad aver tentato un’interpretazione dell’enigmatico fulmine di Giove è, ancora una volta, Fucecchi 2013, 49-50 (cfr. anche p. 46):

Un altro effetto spiazzante si produce indirettamente quando il fulmine di Giove interrompe il dialogo fra Dite e Fortuna e dà, per così dire, il segnale d’inizio delle ostilità. Questo sembra richiamare l’attenzione sul fatto che stiamo assistendo a qualcosa che si verifica al di fuori del ‘palazzo’, sede del potere regale […]. La scena a cui stiamo assistendo potrebbe attestare come l’epica sui generis del BC adotti un p u n t o d i v i s t a p a r z i a l e e m a r g i n a l e tipico della satira, dove la realtà è spesso commentata da ‘outsiders’. […] In Petronio l’istanza moralistica non trova portavoci autorevoli nell’Olimpo ‘restaurato’: il fulmine di Giove ha il potere di far rientrare Dite sotto terra, ma non è seguito da alcuna esplicita presa di posizione nel merito; il dio supremo rimane a margine della sceneggiatura e non ha più neppure un vero ruolo di indirizzo.

Fucecchi utilizza il concetto di “marginalità” in modo ambiguo (forse coscientemente): a. la folgore di Giove induce effettivamente il lettore a immaginarsi l’esistenza di un altro consesso, dove ha luogo il vero processo decisionale, mentre l’incontro Dite-Fortuna è qualcosa di “satiricamente marginale”?

b. Oppure bisogna pensare che ad essere presentato come “marginale” sia Giove che si limita a sancire una risoluzione concordata da Dite e Fortuna?

Secondo la prima spiegazione la folgore di Giove suggerirebbe la possibilità di una “prospettiva olimpica”, che, pur confermando che gli eventi profetizzati dalla Fortuna stanno per accadere, potrebbe leggerli in maniera diversa. La folgore, tuttavia, non sembra fungere da pregnante indizio di una lettura alternativa degli eventi, bensì mette a fuoco la mancanza di essa nel contesto del Bellum. Anche in base a quanto detto sopra, insomma, la seconda spiegazione è decisamente più immediata e convincente.

Al di là dell’interpretazione di Fucecchi della degradazione dell’apparato divino come tratto satirico-menippeo (che non mi sento di condividere tout court)140, della prima spiegazione vanno salvati, in ogni caso, alcuni elementi interpretativi importanti. Come detto, un’operazione fondante del Götterapparat del Bellum consiste proprio in un cambiamento del punto di vista sulla guerra civile, dall’Olimpo alle forze degli inferi e del caos: nel poemetto di Eumolpo viene portato al centro e riceve il predominio “un punto di vista” che

in Virgilio era marginale. In altre parole, se la folgore di Giove nel Bellum suggerisce una lettura alternativa degli eventi (la tradizionale “prospettiva di Giove”, una prospettiva non egoistica, capricciosa e sanguinaria come quella di Dite e Fortuna), si tratta di un suggerimento di natura prettamente intertestuale, un invito al confronto fra il ruolo cardinale di Giove nell’epica in generale e nell’Eneide in particolare (ma si ricordi anche il complesso finale delle Metamorfosi) e la sua funzione nel nuovo contesto. Questo confronto non può che risolversi in una maggiore consapevolezza della scoperta dinamica intratestuale operante nel Bellum, ove divinità infernali, malvagie e capricciose, detengono il primato. Per questo la folgore di Giove diventa simbolo emblematico della “marginalizzazione dell’Olimpo” che ha luogo nel Bellum. Appoggiandosi all’assenza del sommo dio durante il patto fra Giunone e Alletto in Aen. VII, si è sostenuto che Giove non intervenga nel Bellum petroniano solo perché la narrazione si limita alle premesse del conflitto; una siffatta prospetti ignora però il peso che ha questo strano signum141.

Sulla base di queste premesse conviene brevemente considerare l’altra menzione di Giove all’interno del poemetto142: si dice che “aveva tremato di paura” (horruerat) davanti ai trionfi di Pompeo (vv. 240-241) – Giove, che, tradizionalmente, solo una volta aveva tremato di paura, davanti ai Giganti143. Naturalmente si tratta di un’iperbole che, come tale, non va sovra-interpretata, ma è notevole questa condizione di Giove, ridotto a spettatore passivo e intimorito. In un certo senso non è diverso da Dite, che pure si sente minacciato dagli uomini, e si può speculare, naturalmente, se una simile caratterizzazione possa contribuire a spiegare in qualche modo il fulgur (Giove è d’accordo con Dite, vuole punire gli uomini e si felicita del discorso della Fortuna, che promette un’uscita dall’impasse…). Credo però che il fine sia soprattutto quello di trasmettere l’impressione di un Olimpo che non funziona, di un Giove non in possesso della sua tradizionale autorità. Dite e Giove sono accomunati dal timore – un timore che si esprime in termini molto concreti, umani (pavitans palluit144, horruerat), e per questo ancor più vergognoso per un dio. Dite teme Giove,

141 Questa la prospettiva dell’importante saggio di Friedrich 2010, 372, la cui sfaccettata opinione sul tema

(con pregi e difetti) va letta nel dettaglio: «To be sure, he [Jupiter] does not appear at all in Petronius’ 295 verses, and the participation of Venus, Minerva, and others in the events receives a rare mention (265ff.), while the power of darkness, ‘Dis pater’, with his assistant [sic] Fortune and the inevitable Discord, are present in speech and action. We are not dealing with an epic, but with the introduction to one, and it is unlikely that Petronius, assuming his plans ever extended beyond the text we have, intended to confine the necessary divine scenes almost entirely to the prince of the underworld and his entourage; rather, the monstrous devastation of the earth must sooner or later have aroused the attention of the father of the gods, who the ‘pater umbrarum’ […] is duly afraid even now will put him in his place (125) […]. Even in Vergil, when war broke out, Jupiter at first had to retreat and leave the field to the forces of evil, till the mischief was fully in motion. In Petronius that is the less surprising in that the hellish operations, as the cited in vv. 58 ff. show, did not run counter to the supreme decree, but was more easily brought into harmony with it than in the Aeneid. Petronius’ poem thus cannot tell us how Lucan, with his darker judgement of the events, might have portrayed the action of the higher beings». Contro la valorizzazione di una possibile continuazione (avanzata da Stubbe per primo) sono Ehlers 256 e Häussler 1978, 136 n. 77.

142 Le altre citazioni di Giove, pure significative, sono le seguenti: al v. 140 la figura di Giove chiude il

catalogo di omina (quasi in Ringkomposition, verrebbe da dire); Cesare invoca il dio al v. 156; ai vv. 206 si ha una similitudine fra Giove e Cesare.

143 Hor. C. 3, 4, 49 ss. (con Nisbet-Hubbard), Ovid. Met. 1, 182-18. Cfr. anche la nota di Wick a Lucan. 9,

655.

mentre Giove teme gli uomini: tutto ciò rende ancor più paradossale la rappresentazione del timore del temibile dio dei morti al termine del concilium fra Dite e Fortuna.