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II. DÈI, SIGNA E PROFEZIE ALLE SOGLIE DELLA GUERRA CIVILE IL BELLUM CIVILE

2. La profezia della Fortuna

2.1. La profezia della catastrofe

Punto di partenza obbligato è, ancora una vota, la chiusa del primo libro delle Georgiche. Il v. 111 (cerno equidem gemina iam stratos morte Philippos) richiama la rappresentazione della ripetuta strage fratricida “vista da Filippi” (Verg. Georg. 1, 489-92):

ergo inter sese paribus concurrere telis Romanas acies iterum videre Philippi; nec fuit indignum superis bis sanguine nostro Emathiam et latos Haemi pinguescere campos.

Philippi ~ Philippos; iterum/bis sanguine nostro ~ gemina morte; videre ~ cerno. Il riferimento alle Georgiche si rivela particolarmente efficace proprio nelle sue implicazioni teologiche: Virgilio si lamenta che gli dèi abbiano concesso un indignum (bis sanguine nostro, iterum videre etc.) e prega che Ottaviano porti la fine dei ripetuti spargimenti di sangue romano; in Petronio viene presentata una Fortuna che, in un’entusiastica profezia, vede il perpetuarsi della strage fratricida, e non è prospettata alcuna via d’uscita positiva. Sulla profezia petroniana agisce a livello strutturale anche il finale del XV libro delle Metamorfosi di Ovidio. Alla disperazione di Venere Giove risponde con una confortante profezia (vv. 807-842), che include un elenco delle vittoriose battaglie di Ottaviano (vv. 822-8)71 e il venturo periodo di pace72. Ovidio sta rielaborando due intertesti virgiliani, il finale di Georg. 1 (che suggerisce ad Ovidio il momento dell’uccisione di Cesare, i connessi omina e il verso su Filippi) e l’incontro fra Venere e Giove in Eneide I, con la famosa profezia ivi contenuta (vv. 257-296). Da entrambi i testi arriva la figura di Ottaviano/Augusto, presentato come colui che porrà fine alle guerre civili – una fine auspicata in Georgiche I e considerata certa in Eneide I73. Almeno nelle linee fondamentali Ovidio pare aver integrato le inquietudini virgiliane delle Georgiche nel disegno consolatorio dell’Eneide. Petronio riprende senz’altro la scena ovidiana nella preghiera del costernato Dite a Fortuna e nella profezia di quest’ultima sulle imminenti guerre civili: il v. 111, certo legato a stretto giro a Verg. Georg. 1, 489-92, parrebbe risentire anche della mediazione di Ovid. Met. 15, 824 (iterum…caede Philippi). Se Ovidio, come detto, relativizza il pessimismo delle Georgiche con il quadro consolatorio proprio delle profezie

71 Illius auspiciis obsessae moenia pacem / victa petent Mutinae, Pharsalia sentiet illum, / Emathiaque iterum

madefient caede Philippi, / et magnum Siculis nomen superabitur undis, / Romanique ducis coniunx Aegyptia taedae / non bene fisa cadet, frustraque erit illa minata, / servitura suo Capitolia nostra Canopo.

72 Il tema dell’uccisione di Cesare e della punizione dei cesaricidi anche in Ovid. fast. 3, 697-710.

73 Meritano almeno una menzione Manilio e Calpurnio Siculo, nelle cui opere si può vedere come l’intreccio di

Georgiche I (vd. sopra) e della profezia di Giove di Eneide I diventi, sulla scorta di Ovidio, una movenza per

così dire di prammatica. Nel finale del primo libro di Manilio, dopo la menzione dei signa, e delle guerre civili, viene descritto l’imprigionamento della Discordia sotto il regno di Augusto (vv. 922ss. sed satis hoc fatis

fuerit: iam bella quiescent / atque adamanteis Discordia vincta catenis / aeternos habeat frenos in carcere clausa; / sit pater invictus patriae, sit Roma sub illo, / cumque deum caelo dederit non quaerat in orbe).

Chiaro è l’apporto della profezia di Giove di Eneide I, ma un’intermediazione ovidiana è probabile (si veda il lungo elenco delle battaglie; cfr. Bramble 1982, 481). Nella prima ecloga di Calpurnio Siculo e segnatamente nella profezia di Fauno (1, 33ss.) si fondono elementi di Georgiche I e dalla profezia di Giove (ad es. Bellona incatenata: vv. 47-50 post tergum Bellona manus spoliataque telis / in sua vesanos torquebit viscera morsus /

dell’Eneide, Petronio inverte il meccanismo: portando alle estreme conseguenze la teologia incerta e ambigua del finale di Georgiche I, viene intaccata e sovvertita qualsiasi prospettiva a lieto fine. La profezia della Fortuna non lascia intravedere all’orizzonte nessun salvifico orizzonte augusteo; il sangue è fine a se stesso, destinato a saziare la sete sanguinaria di malvagie divinità. L’intermediazione ovidiana di Met. XV non preclude certo il dialogo con Virgilio, ma, al contrario, stimola la problematizzazione delle istanze virgiliane, prime fra tutte la funzione teleologica delle profezie di Giove e il ruolo di Augusto nella storia. Bisogna riconoscere, in effetti, che l’attualizzazione ovidiana contiene di fatto alcuni germi di ambiguità che Petronio potenzia. Il Giove ovidiano non si può opporre ai disegni dei fata, che prevedono l’assassinio di Cesare e il ciclo delle guerre civili, ma si limita a una semplice “lettura” e “interpretazione” dei tabularia, proponendo Augusto come telos della storia solo alla fine del poema74; la Fortuna di Eumolpo, per contro, appare arbitra dei fata, attivamente impegnata nell’imminente catastrofe che viene da lei profetizzata, di cui non viene evidenziato alcun telos salvifico. Ovidio ha costruito questa scena profetica inscritta nell’apparato divino ispirandosi a modelli virgiliani, ma ha proposto una teleologia che si prestava fisiologicamente ad essere “smontata” o per lo meno “reinterpretata” in altro senso, aprendo la strada alla più radicale messa in discussione del modello virgiliano (e delle convenzioni epiche) di Lucano e dunque di Petronio.

Il modello lucaneo ha naturalmente una funzione fondamentale nella dinamica sovversiva messa in atto da Petronio75. In generale, come sopra sottolineato, vi è un’evidente ripresa del concetto che il disegno dei fata preveda la rovina di Roma, secondo una teleologia tutta “catastrofica”76. Più in particolare, fin dai primi commentatori è stata notata la vicinanza del passo con la profezia della matrona invasata in Lucan. 1, 678ss.77. Snodo concettuale centrale appare l’idea della ciclicità della guerra civile, che viene indicata con l’inizio di un

74 Cfr. Wiener 2006, 200-201 e Gladhill 2012 con bibliografia sull’episodio di Met. XV (su questi temi in

generale cfr. sopra).

75 Narducci 2002, 107-11 ha notato che la profezia di Nigidio Figulo in Pharsalia I (639-72) contiene nella sua

parte finale un’inversione dell’immagine eneadica dell’imprigionamento del Furor e della fine delle guerre: vv. 668-9 […] multosque exibit in annos / hic furor. et superos quid prodest poscere finem? – Verg. Aen. 1, 242 [Venere] quem das finem, rex magne, laborum; v. 279 imperium sine fine dedi; v. 294 Furor impius intus (approfondimenti in Casali 2011, 92-5). Lo studioso propone due osservazioni interessanti. In primo luogo segnala la possibile intermediazione del finale di Met. XV, un’attualizzazione della profezia del Giove virgiliano che in Lucano sarebbe sfruttata in senso antifrastico (Narducci 2002, 142-3 n. 6): tale intermediazione, come abbiamo visto, è ancor più trasparente nell’incontro Dite-Fortuna di Petronio. In secondo luogo, lo studioso, dopo aver icasticamente descritto il rapporto intertestuale con l’Eneide – «è quasi come se vedessimo il furor slanciarsi fuori dalle porte spalancate del tempio» –, rileva che «l’immagine è, per così dire, esplicitata in Petron. satyr. 199, 258 sg.» (Narducci 2002, 110 e 142 n. 4.). Una sovversione che in Lucano agisce a un livello implicito (ma non per questo meno efficace) viene in Petronio ripresa ed esplicitata, e, soprattutto, riceve una rappresentazione “con tutti i crismi” a livello dell’apparato divino.

76 La teleologia tutta “catastrofica” proposta dall’apparato divino petroniano impedisce di (sovra)interpretare il

sana ratione del v. 59 come telos positivo, come suggerisce Wiener 2010, 159 (a riguardo vd. sopra Introduzione). Piuttosto, il telos catastrofico è lo stesso, ma cambia il punto di vista del poeta: Lucano rigetta

questo telos e gli dèi che lui considera responsabili, Eumolpo sembra allinearsi alle divinità malvagie e sanguinarie che rappresenta (vd. infra).

77 L’indicazione è presente fin da González de Salas. Sulla scena lucanea cfr. almeno le recenti analisi di

Roche ad loc. e l’analisi di Sannicandro 2010, 135-9. Ovviamente ci sono alcune differenze plateali, non solo per il contesto, ma per forma e struttura. La profezia della matrona è molto più lunga ed elaborata (si veda la prospettiva “aerea” da cui descrive i diversi scenari), oltreché ordinata dal punto di vista cronologico (con l’eccezione dei vv. 688-9: vd. n. di Roche).

nuovo viaggio dopo la morte di Cesare (vv. 692ss.: iterum, rursus) e con la ripetizione di Philippi. Filippi è la prima e ultima località che viene vista dalla matrona (in entrambi i passaggi vi è un chiaro riferimento al finale di Georgiche I):

Verg. Georg. 1, 489-492

ergo inter sese paribus concurrere telis Romanas acies iterum videre Philippi;

nec fuit indignum superis b i s sanguine nostro Emathiam et latos Haemi pinguescere campos

vv. 679-682, 692-4

video Pangaea nivosis

cana iugis latosque Haemi sub rupe Philippos. quis furor hic, o Phoebe, doce, quo tela manusque Romanae miscent acies bellumque sine hoste est. […]

consurgunt partes iterum, totumque per orbem rursus eo. nova da mihi cernere litora ponti telluremque novam: vidi iam, Phoebe, Philippos.

Lucano fa un uso massiccio, ostentato e ideologicamente consapevole dell’identità del campo di battaglia di Farsalo/Filippi per trasmettere l’idea dell’eterno ritorno della strage fratricida, un escamotage retorico proposto programmaticamente nella profezia della matrona, che vede Filippi due volte (bis), all’inizio e (iterum) alla fine. Nella ben più sintetica profezia della Fortuna, dunque, il concetto della ciclicità della guerra civile viene affidato tanto allo spiazzante riferimento a Filippi, quanto alla potenziale ambiguità di altre indicazioni78. Intrigante è l’analoga ripresa del nesso videre Philippi: sia in Petronio che in Lucano Filippi da soggetto di video diventa oggetto dell’azione, mentre il soggetto è un personaggio che enuncia una profezia sulle guerre civili79. Petronio pare riprendere questa ingegnosa “trovata intertestuale” lucanea in modo alquanto sottile: lo iam che in Lucano marcava in modo pregnante il vidi, una sconcertante “(pre)visione già avvenuta”, viene associato nel Bellum al presente cerno, una “(pre)visione in atto”, quasi Petronio stesse cercando di sintetizzare in un unico verso il concettismo lucaneo sul “doppio Filippi” (video Philippos/vidi iam Philippos -> cerno gemina iam stratos morte Philippos). Al pari degli esempi sopra citati, anche il verso iniziale della profezia della Fortuna si propone come complesso e stratificato momento intertestuale, che pare enucleare diverse rivisitazioni poetiche della battaglia di Filippi.

Una delle fondamentali differenze fra Petronio e Lucano riguarda, naturalmente, lo statuto del personaggio che enuncia la profezia. Nella Pharsalia l’anonima matrona presenta tipiche caratteristiche di indovini e profetesse, segnatamente l’ispirazione da Apollo (v. 678 o Paean; v. 681 o Phoebe; vv. 693-4 Phoebe)80. In Petronio, la Fortuna è una figura indipendente da Apollo: il dio è parte della sua visione, non la ispira, non la domina (v. 115; cfr. infra). La Fortuna, in questo senso, ha uno statuto ibrido: se l’utilizzo della formula cerno la avvicina a indovini, profetesse e dunque alla matrona, la dea è presentata come

78 A riguardo vd. comm. ad loc. e l’Excursus 3.

79 Nelle Georgiche si designa la passiva visione della strage fratricida, con una personificazione non priva di

un certo pathos (il passato videre di Philippi si riflette nel futuro mirabitur ossa dell’agricola del v. 497), una movenza che sarà ripresa da Ovidio: Ovid. Fast. 3, 707-8 testes estote, Philippi, / et quorum sparsis ossibus

albet humus; cfr. anche la personificazione di Modena e Farsalo in Met. 15, 822-8.

80 Tale elemento tradizionale, in questo contesto, potrebbe assumere un sottile significato polemico-politico (si

entità autonoma e sovrana, caratteristiche che la rendono simile al Giove epico tradizionale e, al contempo, la collocano al di sopra della gerarchia olimpica.

Dal rapporto con il finale di Pharsalia I emerge come la visione della Fortuna passi attraverso la visione della matrona di Lucano (nel tono, nei temi). La ciclicità o, che dir si voglia, il telos catastrofico delle guerre civili nascono da una riflessione sul finale di Georgiche I, così come da un’inversione della teleologia eneadica (la profezia si limita ad annunciare la catastrofe)81, tutti elementi lucanei che Petronio pare assorbire. D’altra parte, in Petronio si sta rappresentando un livello superiore: la profezia è integrata all’interno dell’apparato divino, è pronunciata da una divinità che macchina la catastrofe per Roma. L’influsso delle “profezie lucanee” permea anche la parte finale del discorso della Fortuna. Nella rappresentazione del mondo dei morti che si prepara all’immensa strage Petronio si appoggia al discorso del soldato rievocato da Eritto e, soprattutto, alle parole di Giulia (Lucan. 3, 14ss.; 6, 799ss.)82. Mentre i personaggi in questione fungono da intermediari con il mondo sovrannaturale, nel Bellum civile petroniano si dà voce direttamente alle entità di tale realtà83.

Se considerata sullo sfondo di Georgiche I, Metamorfosi XV e Pharsalia, la profezia della Fortuna, secondo una Stimmung tutta lucanea, rende evidente la messa in discussione di qualsivoglia telos “positivo” delle guerre civili e del tradizionale apparato divino che, in Virgilio e in Ovidio, si era fatto portavoce delle istanze augustee (il Giove “impotente” delle Metamorfosi, d’altra parte, potrebbe fungere da premessa per tale inversione). D’altro canto, questa esplicita messa in discussione delle profezie augustee, che si accompagna a una reinterpretazione dell’elemento profetico, appare pienamente coerente con la rappresentazione a tinte fosche dell’imperialismo romano: fin dal primo verso (orbem iam totum victor Romanus habebat…nec satiatus erat) viene invertita la visione, tipica delle profezie eneadiche (Giove nel I libro, Anchise nel IV…) di un impero mondiale portatore di pace ed ordine, secondo una dinamica identificabile anche in Lucano84.