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La superiorità di Giove I confini dei regni e i tradizionali rapporti di forza

II. DÈI, SIGNA E PROFEZIE ALLE SOGLIE DELLA GUERRA CIVILE IL BELLUM CIVILE

4. La folgore di Giove

4.2. La superiorità di Giove I confini dei regni e i tradizionali rapporti di forza

Nell’analisi del significato teologico del fulgur la prima domanda che sorge spontanea è: che significato ha la fuga di Dite causata dal fulmine del fratello? Nella bibliografia è stata sottolineata la comica caratterizzazione del dio dei morti133. Una certa ironia è evidente, ma d’altra parte l’ironia, presa in se stessa, può risultare un criterio interpretativo vago e generico. Anche in questo caso può essere produttivo un confronto con la possibile “humus epica” che soggiace alla bizzarra scena petroniana, così da tentarne una più precisa contestualizzazione.

Prima di tutto, bisogna rilevare il richiamo alla famosa teomachia di Il. XX, causa un di un cataclisma che sembra minacciare il regno dei morti. Sebbene Poseidone ne sia il principale responsabile, anche Zeus ha la sua parte nel gran frastuono che genera la reazione intimorita di Ade134. Come nota acutamente Fucecchi 2013, 46 n. 32, «Dite pensa istintivamente al fulmine del fratello forse proprio in quanto ‘memore’ della tradizione omerica». Molto dell’improvviso e un po’ enigmatico finale del concilium, in effetti, si può spiegare come “ricordo intertestuale” dell’Iliade, in una sottile dinamica fatta di riprese e inversioni. In Il. XX il tuono di Zeus era inscritto in un contesto potenzialmente catastrofico per Plutone, foriero di un possibile hiatus della terra e di una violazione del suo regno. Nel Bellum petroniano il fulgur sembrerebbe invece assicurare l’integrità dell’Ade contro gli invasori (un dato, questo, che rimane però implicito); d’altro canto, segnala che Dite per primo sta violando i confini del suo reame. In tal modo si ha una vera e propria ricostituzione della scena di Il. XX e della tradizionale separazione dei regni: il dio dei morti, in pieno accordo con la topica, si ritrova sottoterra a tremare impaurito (ἔδεισεν δ᾽ὑπένερθεν). La reazione di Dite, pertanto, parrebbe dettata dalla consapevolezza di aver momentaneamente travalicato i confini della sua giurisdizione, ritrovandosi faccia a faccia con il tanto paventato fulmine del fratello.

Un altro passo dell’Iliade credo possa aiutare a contestualizzare adeguatamente questa ritirata, il timore del dio, il problema dei confini dei regni: il diverbio fra Poseidone e Zeus

132 Folgori fanno la loro comparsa in Lucan. 1, 530ss. (con n. di Roche). Sul presagio cfr. Nisbet-Hubbard a

Hor. C. 1, 34. Vd. in generale quanto detto sopra sugli omina.

133 Connors 1989, 79-80, 84-5; Connors 1998, 119; Beil 2010, 142; Puccioni 1979, 277 e passim; Fucecchi

2013, 46 e passim, che pensa addirittura a una caratterizzazione satirica.

134 Si noti anche l’uso di perifrasi analoghe a pater umbrarum: cfr. Il. 20, 56-57 δεινὸν δὲ βρόντησε πατὴρ

ἀνδρῶν τε θεῶν τε / ὑψόθεν […], 60-61 ἔδεισεν δ ̓ ὑπένερθεν ἄναξ ἐνέρων Ἀϊδωνεύς, / δείσας δ᾽ ἐκ θρόνου ἆλτο; anche nella Teogonia abbiamo un tuono (v. 845) e una simile reazione di Plutone (v. 850 τρέε δ᾽ Ἀίδης ἐνέροισι καταφθιµένοισιν ἀνάσσων). Per le riprese latine cfr. Ovid. Met. 2, 261, 5, 356/359 (et rex pavet ipse

(per Iridem) in Il. 15, 168ss. Qui il sommo dio chiede al fratello di lasciargli il comando delle operazioni e di ritirarsi dalla terra, e afferma imperiosamente la propria superiorità, che si manifesta nel timore che tutti gli altri dèi gli tributano (vv. 182-3 “σὸν δ᾽ οὐκ ὄθεται φίλον ἦτορ / ἶσόν οἱ φάσθαι, τόν τε στυγέουσι καὶ ἄλλοι”). Poseidone, prima di ritirarsi assai rancorosamente nelle acque, rinfaccia al fratello la propria parità a livello di divisione dei tre regni e ribadisce di non temerlo. Dite si comporta in maniera antitetica al Poseidone di Il. XV, in pieno accordo con la gerarchia illustrata da Zeus: il re delle ombre lascia immediatamente il campo e rientra nei confini del proprio regno, in preda a quell’horror (στυγέω) che tutti gli dèi provano davanti alla potenza del Tonante e a cui lui, per lunga tradizione, è particolarmente soggetto. Connors pensa che nel finale dell’incontro Dite- Fortuna si trovi un riferimento alla rivalità fra i due fratelli135:

Dis’ fear of the lightning brings fraternal rivalry between Dis and Jupiter into focus. In Dis’ mind at least, the ancient discord between Jove and the giants could be replayed at any time, with Dis himself as a potential victim. […] Eumolpus […] constructs a picture of gods who correspond closely to men in their conflicts, rivalries, and potential for fraternal strife.

Ora, certamente l’espressione fraterni ictus136 non solo può richiamare il tema del bellum civile fra dèi (e il suo archetipo: la Gigantomachia), ma evoca anche evidentemente, con pregnante anfibologia, l’idea dell’incombente conflitto civile: anche in questo aspetto si fa sentire il valore del fulgur come signum di quanto sta per accadere. Se dunque fraternos ictus costituisce un’allusione alla ormai prossima guerra fratricida, si tratta di un’eventualità che Dite non teme affatto, ma auspica di tutto cuore. Al contrario, Connors 1989, 97 n. 6 pensa che «fraternos ictus might also suggest that Dis fears the approaching civil/fraternal strife among the Romans», ma il calembour va inteso in senso paradossale: Dite teme per se stesso ciò che auspica per i Romani, ovvero “i colpi del fratello/dei fratelli”. In generale, il testo petroniano si muove, significativamente, in una direzione diversa da quella indicata da Connors. In Dite e nella sua reazione intimorita non si ravvisa alcuna traccia di “fraternal rivalry” o di risentimento nei confronti del fratello: il suo “rientro nei ranghi” sembra rappresentare soprattutto una sua adesione all’ordine costituito, quasi si fosse improvvisamente ricordato del suo tradizionale ruolo (e spazio) nell’epica. Come accennato, peraltro, il laconico fulmine parrebbe da interpretare in due modi: come invito al fratello a ritornare al suo posto e, nel contempo, come conferma che gli interessi di Dite saranno tutelati. Per quanto non ci sia alcuna indicazione esplicita a riguardo, credo che difficilmente si possa leggere il fulgur come una negazione del patto fra Dite e Fortuna, come manifestazione di ostilità nei confronti del loro piano in generale e del dio dei morti in particolare137. Altri poeti percorreranno ben più esplicitamente la strada della rivalità fra Giove e Dite, prendendo a modello (ed esacerbando) proprio il Poseidone di Il. XV. Nella Tebaide di Stazio l’invasione degli inferi da parte di Anfiarao offre lo spunto per spostare il

135 Connors 1998, 119-21 (cfr. anche 1989, 97-9).

136 Vd. n. al v. 125 con riferimento a [Verg.] Culex 142 fraternos … ictus.

137 Sebbene, come detto, la bibliografia prenda raramente in considerazione la fuga di Dite, nessuno ha mai

tema della guerra fratricida sulla coppia costituita da Giove e Dite138: quest’ultimo si presenta come insoddisfatto del suo triste regno e rancoroso nei confronti del fratello (due dati palesemente assenti in Petronio). Il Plutone di Stazio sarà ripreso, in un contesto decisamente più leggero, da Claudiano nel De raptu Proserpinae (1, 93ss.), ove però Giove si dimostra interlocutore comprensivo.

I paralleli iliadici (Il. XX e XV) permettono di vedere sotto una luce diversa l’ironia della scena e di contestualizzarla all’interno dell’apparato divino tradizionale: il tema dei rapporti di forza che intercorrono fra Giove e i suoi fratelli e quello, collegato al precedente, dei confini dei diversi regni forniscono spunti interpretativi rilevanti per capire la “fuga” di Dite.

4.3. La subalternità di Giove. La marginalità dell’Olimpo, un altro punto di vista sulla