• Non ci sono risultati.

Lo sguardo di Apollo, lo sguardo di Fortuna

II. DÈI, SIGNA E PROFEZIE ALLE SOGLIE DELLA GUERRA CIVILE IL BELLUM CIVILE

2. La profezia della Fortuna

2.2. Lo sguardo di Apollo, lo sguardo di Fortuna

Il confronto con un’altra importante profezia, quella dello scudo di Enea85, conferma una siffatta tendenza. Nel v. 115 del Bellum questa scena chiave dell’Eneide viene richiamata con una certa evidenza (Aen. 8, 704-6).

Actius haec cernens arcum intendebat Apollo desuper: omnis eo terrore Aegyptos et Indi, omnis Arabs, omnes vertebant terga Sabaei.

81 Narducci 2007, 107ss. 82 Vd. comm. ai vv. 116-121.

83 Così acutamente già Mössler ad loc.: «[…] eam (sc. praedictionem) usus illo ministerio deorum […]

Fortunae attribuit, quo exemptae ex vanitate somniorum vim et potestatem divini consilii conciliavit».

84 Cfr. Connors 1998, 105-106, che sottolinea come Eumolpo e Lucano presentino l’inversione della

concezione virgiliana di un imperium mondiale; vd. anche Stein-Hölkeskamp 2010, 140-141. I passi più significativi a riguardo sono citati nella n. di commento ai vv. 1-2.

Sebbene non manchino altre più o meno elaborate rappresentazioni poetiche dell’evento e sebbene si possano riconoscere altre possibili reminiscenze86, la preminenza del passo eneadico si fa sentire per più motivi. Prima di tutto una serie di richiami lessicali rende il rapporto particolarmente stretto: l’accoppiata ravvicinata dell’aggettivo Actius/Actiacus, in entrambi i casi ad inizio di verso (in Petronio riferito a sinus!), e di Apollo; la menzione contestuale degli arma del dio (v. 704 arcum intendebat) e del terrore da essi provocato (timentes – vv. 705-6); nel verso precedente i gementia claustra del Nilo potrebbero richiamare il maerentem Nilum di Aen. 8, 71187; piccola, pregnante spia, su cui ritorneremo, è la presenza del verbo cerno (v. 704). Ma è soprattutto la macrostruttura, il contesto profetico, a incoraggiare il confronto, un confronto che mette in luce essenziali divergenze, come fa notare Connors88:

[…] in Eumolpus’ Bellum Civile, Actium is the final catastrophe which Fortuna predicts for Rome. Eumolpus claims a precedent for his choice to use gods to tell the story of the Civil War by alluding to the only place in the Aeneid where Virgil narrates the role of the gods in the Civil War fought between Octavian and Antony; but by placing this allusion in Fortuna’s list of the terrible things which will happen to Rome, he adapts his Virgilian model to new purposes and subverts the traditional praises of Octavian’s triumph.

Spesso, in effetti, si decontestualizza il v. 115 per farlo diventare un semplice tributo alla scena virgiliana89. Anche qui, invece, è in azione il meccanismo sopra delineato: la profezia viene slegata da prospettive teleologiche ed encomiastiche e messa in bocca a una divinità interessata alla distruzione di Roma. Lo scudo di Enea, “icona cosmica, climax dell’Eneide” (secondo le pregnanti definizioni di Hardie 1986), viene piegato a dipingere il caos della guerra civile, i desideri di sanguinarie divinità. A una lettura attenta del passo virgiliano emerge che, più che con un’inversione sic et simpliciter, abbiamo a che fare con uno spostamento di enfasi su componenti presenti in Virgilio ma adeguatamente stemperate e con una sottile messa a fuoco delle sue tensioni. Petronio sta sfruttando alcune sollecitazioni presenti nel suo intertesto, proprio nel quadro dell’apparizione di Apollo, ovvero la rappresentazione dei mostruosi “orrori della guerra”, e, più nel concreto, sembra impostare un punto rilevante della dissociazione da Virgilio sul ruolo dello “sguardo della divinità”, suggerendo una diversa prospettiva da cui si può “guardare Azio”.

Consideriamo Aen. 8, 698-705:

Omnigenumque deum monstra et latrator Anubis contra Neptunum et Venerem contraque Minervam tela tenent. saevit medio in certamine Mavors caelatus ferro, tristesque ex aethere Dirae, et scissa gaudens vadit Discordia palla, quam cum sanguineo sequitur Bellona flagello.

86 Vd. n. al v. 115.

87 Il passo è molto problematico: analisi dettagliata nelle note di commento e nell’Excursus 4. 88 Connors 1989, 91-2 sulla scorta delle intuizioni di Zeitlin 1971, 76.

89 Miller 2009, 72 lo definisce «one-line summary of Virgil’s Actian battle»; Rudich 1997, 351 n. 159 lo

Actius haec cernens arcum intendebat Apollo desuper […].

Ora, Virgilio rappresenta la battaglia di Azio come scontro fra Roma, protetta dalle divinità olimpiche, e un nemico straniero con i suoi orrendi dèi (vv. 698-700). Nel quadro precedente l’entrata in scena di Apollo (vv. 700-704) i demoni che presiedono alla guerra sono rappresentati allegoricamente, secondo una movenza epica discretamente diffusa90. Difficilmente, tuttavia, si potranno liquidare questi versi come semplice stilema tradizionale e, di conseguenza, ignorare (o edulcorare) l’interpretazione di questo quadretto mostruoso che precede l’apparizione di Apollo91. Sarebbe più prudente interpretare tali elementi collocati medio in certamine alla stregua del Furor impius della profezia di Giove92, un’entità complessa e ambigua, il cui imprigionamento prelude alla pax Augusta (post-Azio) e, al contempo, allude al prezzo di sangue pagato per arrivarci. Si ricordi, ancora, il finale di Georg. 1, uno scenario pre-Azio93, ove si dice saevit toto Mars impius orbe (Georg. 1, 511 - Aen. 8, 700 saevit medio in certamine Mavors). Se è vero, peraltro, che Virgilio dissimula sapientemente la caratterizzazione della battaglia come bellum civile (in questo allineandosi alla propaganda augustea)94, è probabile, come nota Servio, che la Discordia possa richiamare proprio lo scontro fratricida95. Gli orrori della guerra civile si affacciano anche sull’icona cosmica dello scudo di Enea. Su questo sfondo trova adeguato senso l’apparizione di Apollo: lo sguardo di Apollo sul caos appena descritto – cernens haec – determina istantaneamente non solo la fuga dei nemici, ma anche la ricostituzione del cosmo turbato dall’Eris96.

Torniamo a Petronio. Assai argutamente, lo sguardo di Apollo sulla battaglia viene trasferito alla vista della Fortuna, una quanto mai inconsueta profetessa. Un dettaglio particolarmente significativo è la ripresa di cerno, vera e propria chiave di volta sia della scena virgiliana che di quella petroniana. Senz’altro Petronio sta giocando con i suoi intertesti sul campo semantico della vista al fine di rimarcare le promesse della Fortuna, il suo protagonismo, il suo ruolo sovrano: si ricordi quanto detto sopra sul videre Philippi del Virgilio georgico e sulle sue riprese. Quello che accade con il cernens haec di Apollo è altrettanto sofisticato. Nel Bellum non si nega un qualche ruolo attivo agli arma del dio (la messa in fuga dei nemici, Apollinis arma timentes), ma è Apollo ad essere visto, ad esser ridotto a tessera di

90 «These correspond to Homeric clusters of mostly personified deities inspiring indiscriminate slaughter»:

così Miller 2009, 70, con esempi da Omero e Virgilio. A riguardo cfr. il cap. successivo.

91 Assai significativa, in questo senso, la reticenza di Hardie 1986. Miller 2009, 70 pensa che Mars e le Dirae

siano entità positive a sostegno di Roma, mentre Discordia e Bellona sarebbero a sostegno di Antonio e Cleopatra; Quint 1993, 48 (similmente Lovatt 2013, 176) ritiene, invece, che le forze del caos e della guerra dei vv. 700-704 siano de facto accomunate alle forze orientali.

92 Aen. 1, 294-95 Furor impius intus / saeva sedens super arma; Gurval 1995, 238-9, 245. 93 Wilkinson 1969, 159ss.

94 Sul delicato tema cfr. però Lange 2009, 79-94.

95 Discordia, quia unius civitatis (et cives principes add. SDan.) erant (cfr. anche Grandsen ad loc.; Casali

2011, 105-6, n. 82). Cfr. Connors 1989, 140.

96 Nonostante la suddetta interpretazione un po’ semplicistica, Quint 1993, 48 commenta acutamente il

crescendo che porta al v. 704: «Apollo is the god of Western rationality and his decisive intervention in the

battle is apparently a reaction to the confusion and destruction bred by the Furies of War, Disorder, and Strife». Cfr. anche Lovatt 2013, 176 («Apollo embodies the powerful divine gaze») e Hardie 1986, 110 («the divine order of the cosmos is inherently superior to the forces which threaten its disruption»).

un mosaico più grande, in cui non appare più quale figura dominante. In altre parole, il punto di vista viene spostato dalla divinità olimpica a una divinità che si erge a rappresentante di (o, perlomeno, si allinea a) quelle personificazioni malefiche ritratte sullo scudo di Enea. Nell’Eneide Apollo vede gli orrori della guerra (Discordia etc.) e vi pone un limite; nel Bellum una Fortuna-Discordia vede Apollo partecipare al suo piano di stragi. Nella profezia della Fortuna il fatto che sarà proprio Apollo, nella battaglia di Azio, a porre fine alla spirale delle guerre civili è forse dato per sottinteso (questo suggerirebbe la posizione finale nell’elenco), ma non riceve alcuna enfasi, proprio perché il punto di vista è diverso: si enfatizza non la fine, ma la durata e, più sottilmente, la ciclicità dei bella civilia (Azio, come suggerisce Connors, appare semmai come «final catastrophe»). Se un generale intento sovversivo nei confronti dell’Eneide è di primo acchito abbastanza lampante (così Connors, Zeitlin), bisogna sottolineare che tale “cambiamento del punto di vista” rappresenta una parossistica esacerbazione di una componente virgiliana. Petronio sta cercando di rappresentare gli scontri civili (Azio compreso) dalla prospettiva delle entità demoniache che godono delle guerre. La Todeszone97 (medio in certamine), appannaggio delle forze del caos, è certo rappresentata da Virgilio (con tutte le venature di ambiguità e inquietudine che ciò può comportare), ma riceve scarsa enfasi, è destinata a sparire istantaneamente davanti allo sguardo di Apollo, fondamentale personaggio di Azio, vero deus ex machina. In Petronio, al contrario, sono proprio tali entità malefiche a guidare gli eventi e a raccontare Azio (e Apollo) dal proprio punto di vista. Questa lettura del sottile e problematico rapporto con lo scudo di Enea riceve un’evidente conferma dalla teomachia che chiude il Bellum civile, pure ispirata al finale di Aen. VIII: il nudo elenco di divinità olimpiche che accorrono a sostegno di Cesare e Pompeo (vv. 264-270) appare strozzato fra il potente quadro delle divinità infernali (vv. 254-263) e, ben più importante, l’apparizione della Discordia (vv. 271ss.), che, quasi fosse un nuovo Apollo, impartirà da una posizione dominante i suoi cruenti iussa, i quali, di fatto, costituiscono una nuova, breve profezia su quanto sta per accadere, parallela a quella della Fortuna98.

O’Hara 1990 ha posto l’accento sulla reticenza delle profezie ottimistiche/teleologiche dell’Eneide, in cui non trova adeguata enfasi il prezzo di morte che comporta il raggiungimento del telos. Sebbene l’interpretazione di O’Hara risulti spesso eccessiva99, credo tuttavia che possa offrire un buono spunto per comprendere la sofisticata operazione messa in atto da Petronio, che sembra puntare i riflettori proprio sul “lato oscuro” delle profezie virgiliane. La profezia di Fortuna ricorda, al più, le tremende parole della Sibilla – la profezia più terribile e onesta dell’Eneide (cfr. Horsfall ad loc.): Aen. 6, 87-8 bella, horrida bella, / et Thybrim multo spumantem sanguine cerno. La Fortuna di Eumolpo, per di più, racconta gli orrori della guerra con entusiasmo.

97 Sul concetto di Todeszone, importante l’analisi svolta da Nicola Hömke sulla Pharsalia di Lucano nella sua

Habilitationsschrift (Hömke 2018).

98 Vd. cap. seguente.