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Dai primi scritti pedagogici al De tradendis

3. API E MIELE, PAROLE E IDEE

3.2 Juan Luis Vives Dalle lettere alla pedagogia

3.2.1 Dai primi scritti pedagogici al De tradendis

momento che la logica è una delle artes sermocinales. Il linguaggio viene dal contesto popolare e non dai dialettici: prima Greco e Latino esistettero e furono utilizzati, poi vi furono modellate le regole grammaticali, retoriche e logiche. Il linguaggio non segue le regole ma, viceversa, le regole si creano sul modello del linguaggio vivo. La logica, conseguentemente, trova la verità, la falsità e la probabilità per mezzo del linguaggio comune parlato da tutti. Questa preminenza dell'uso, di cui le note sul linguaggio sono solo un esempio, pervade l'opera di Vives ma era già stata proposta da altri umanisti: uno su tutti Lorenzo Valla410, che si riferisce a più riprese alla questione della consuetudine come maestra sicura del parlare, fino al paragone tra la lingua e la moneta, accomunate dalla necessità dell’unanime riconoscimento del loro valore da parte di una comunità. Il valore della condivisione collettiva del significato delle parole è il presupposto per un ulteriore critica mossa da Vives agli ʻpseudodialetticiʼ, i quali paiono dare un significato privato alle parole, cambiandolo a seconda dei loro fini: perciò se davvero si vuole recuperare le regole grammaticali, retoriche e logiche del latino e del greco si deve ritornare ai veri autori latini – Cicerone, Quintiliano, Varrone, Plinio, Boezio – e greci, lasciando da parte la logica inventata di Pietro Ispano. Il punto decisivo, come ha sottolineato Valerio del Nero, della lettera a Fuertes e che verrà poi ripreso nel De disciplinis è proprio il riconoscimento di un valore operativo e speculativo della logica di fronte all'abuso compiuto dagli ʻpseudodaletticiʼ. Al recupero dell’autenticità di Cicerone, Aristotele e Quintiliano si unisce il ritorno, per il superamento degli abusi in teologia, ai padri della Chiesa, in particolare ad Agostino.

3.2.1 Dai primi scritti pedagogici al De tradendis

Tra la pubblicazione di In pseudodialecticos (1519) e del De Tradendis (1531) Vives elabora due lettere in cui espone i consigli per l’educazione di Maria, figlia di Caterina d’Aragona e Charles, figlio di William Blount Montjoy, entrambe datate al 1523411. Se, come ha fatto notare Del Nero, le due lettere presentano una differenza dal punto di vista della disposizione interna delle parti412, il loro perno comune rimane l’apprendimento linguistico – sebbene con un richiamo più insistente alla lingua greca nell’Epistola II413. Qui, inoltre, si

410 Si veda, tra i numerosi titoli sulla relazione tra linguaggio e filosofia in Valla, l’opera di Marco Laffranchi che ripercorre i temi valliani presenti anche nell’umanesimo europeo e analizza in senso filosofico gli spunti prettamente linguistici. M. Laffranchi, Dialettica e filosofia in Lorenzo Valla, Milano 1999.

411 V. Del Nero, Tradizione classica e cultura umanistica…, cit., p. 185. 412 Ivi, p. 187.

104 approfondiscono i temi dell’educatore come modello da imitare414, così come quello della mancanza della facoltà di giudizio nell’educando, che dunque dovrà essere assistito dal precettore per la scelta degli autori. In entrambe, comunque, il riferimento alla saggezza concepita come capacità di giudicare rettamente415 è costante: nel 1524 Vives dedicherà un’opera intera a questo tema assumendo una prospettiva pedagogica416 nell’Introductio ad Sapientiam. L’opera si apre con la classica definizione di «vera sapientia» come «de rebus incorrupte iudicare»417, causa di «error omnis in hominum mentibus ac vitium», cioè dell’incapacità di dare ad ogni cosa il suo giusto valore, tipica delle «vulgi opiniones» che mal giudicano sulle cose. La formazione proposta da Vives è perciò, necessariamente, un’educazione al giudizio per il fanciullo, che si consolidi nel tempo con l’esercizio della costante messa in discussione di ciò che «multitudo magno consensu approbat». La prima parte dell’opera quindi si pone come un itinerario dalla giusta divisione delle cose, dal corpo, all’anima, alla conoscenza e alla saggezza divina; la seconda invece si concentra sul modo di gestire virtuosamente gli aspetti della vita legati alla corporeità, alle passioni, alla comunicazione, e allo scambio civile, fino a concludersi con le note «quomodo se quisque geret erga seipsum». Si tratta di una torsione che partendo dalle cose mondane giudicate malamente secondo un’opinione volgare, rientra in sé e si corregge per mezzo del giudizio, arrivando al divino.

Questa dicotomia tra opinione comune e saggezza, nel faticoso itinerario verso la sapienza, passa dal rapporto tra maestro e allievo poiché la mente libera, vergine e ineducata del fanciullo rischia di perdersi, come già suggerito nell’Epistola II. A questo problema è dedicato l’ultima parte dell’opera capolavoro di Vives, il De Disciplinis, che si concentra sul metodo di trasmissione della conoscenza nei venti libri del De Tradendis Disciplinis, in cui si propone una visione enciclopedica418 del sapere – sapere, morale e capacità di giudizio.

414 «Attentus illum [il praeceptor] audi: verba eius, formulas dicendi, sententias annota: et imitatione te similem ispsius, quoad facere poteris, effinge. Quod Praeceptor quum videbit, dabit vicissim operam, ne tu aliquid ex se possis accipere, quod imitazione sit indignum». J. L. Vives, De Ratione Studii Puerilis Epistolae Duae, Lipsiae 1538, p. 5.

415 «Iam nunc in hac tenera aetate veras et incorruptas opiniones ut ca sola bona putet, quae vere sunt talia velut virtutes et eruditionem: ea mala, quae re vera mala, ut vitia et ignorantiam et stultitiam: ne mala pro bonis accidia, aut contrario: ne tenuibus et esiguis rebus tanquam magnis capiatur et moveatur: ne etiam magna et preciosa tanquam vilia contemnat». Ivi, p. 30.

416 Sullo scopo pedagogico dell’Introductio ad Sapientiam si veda l’avant-propos di Étienne Wolff dell’edizione francese del testo di J. L.Vives, Introduction à la sagesse, Monaco 2000, pp. 24-5. Si veda anche E. González González, Juan Luis Vives. Works and Days, e Id., Fame and Oblivion, in C. Fantazzi (a cura di), A Companion to Juan Luis Vives, Leiden-Boston 2008, p. 56; p. 366.

417

Id., Introductio ad sapientiam, Parisi 1527, p. 2.

418 «Tutta la cultura infatti è connessa internamente ed ha una certa affinità. J. L. Vives, La vita e i costumi dello studioso, in Id., L’insegnamento delle discipline, intr., trad., commento di V. del Nero, Firenze 2011, p. 231.

105 Separare il De Tradendis dalle altre parti del De Disciplinis419 significa rompere, nelle parole di Del Nero

l’ideale di un sapere e di una sua trasmissione formativa, di una ʻpaideiaʼ cioè, il cui modello risale alla tarda antichità, e che assume una forma emblematicamente circolare, dove le varie discipline non risultano staccate l’una dall’altra, ma al contrario contribuiscono a strutturare una tipologia si apprendimento ben sfruttabile in ambito educativo e non solo.420

L’organicità del processo educativo, così come emerge nell’opera di Vives, è rispecchiato nella declinazione pedagogica dei principi già espressi nell’Introductio ad Sapientiam. Come Erasmo, Vives richiama la capacità imitativa come facoltà primaria dell’apprendimento:

i fanciulli sono per natura delle scimmie, imitano tutto e sempre, soprattutto coloro che, per la loro autorità e per la fiducia che ripongono in loro, giudicano degni di essere imitati, come i genitori, le nutrici, i maestri, i pedagoghi. Sappiamo pertanto che l’indole di molti è stata corrotta da coloro dai quali sarebbe stato opportuno che fosse stata corretta, precisamente da quelle persone che ho rammentato or ora.421

A fronte di questo assunto e della forza dell’abitudine422, la prima mossa dell’educatore sarà aiutare il fanciullo a valutare le cose secondo la giusta misura: «Prima di tutto i ragazzi devono venire abituati a dilettarsi con cose buone e ad amarle, a rattristarsi per le cattive e ad odiarle»423.

L’obiettivo dichiarato dell’educazione umanistica è dunque rendere coincidenti buona condotta e buona volontà, secondo quella spontaneità tanto cara a Montaigne e agli scritti della civil conversazione: imparare a giudicare è il principio della nuova civiltà.