5. INVENTIO E IUDICIUM COME PARTI DEL METODO
5.3 Induzione e analogia
Nell’indagine rinascimentale che ricorre all’argomentazione retorica (e dialettica), sfidando la preminenza del sillogismo tipica della logica scolastica, il vantaggio della prima sulla seconda è dato essenzialmente dalla possibilità di coniugare utilità e verità, in una prospettiva che abbiamo visto essere preminente nell’opera di Montaigne e di Bacon653. In questo senso, l’analogia non si propone come prova dell’argomentazione654, dal momento che il contesto dell’indagine sarà quello esperienziale – l’unico a portata umana – in cui cioè regna la verosimiglianza e non la verità, il “per lo più” e non la necessità655. L’analogia come costruzione di nessi similari – espressi nella forma letteraria della similitudine – apparirà invece come uno strumento per lo svelamento delle cose, come già nella Poetica e nella Retorica aristotelica in cui Aristotele ammonisce che per la filosofia «è segno di buona intuizione il cogliere l’analogia anche tra cose molto differenti tra loro»656. Com’è noto, nella prospettiva aristotelica, l’analogia costituisce il dispositivo di un’induzione che riconosce una proprietà comune tra casi particolari che ne costituiscono gli esempi657. Sia nei Topici che nella Retorica esempio e induzione costituiscono così gli elementi di un discorso che brilla per capacità di persuasione e di convinzione, «più chiaro e più noto secondo la percezione e comune ai più»658. La capacità persuasiva è rimandato nella Retorica alla forza di quello che abbiamo chiamato langage imagé in riferimento a
652
F. Bacon, Prefazione alla storia naturale, in id., Opere filosofiche, cit., vol. I, pp. 515-6.
653 D. Norbrook, Rhetoric, ideology and Elizabethan world picture, in P. Mack (a cura di), Renaissance Rhetoric, New York 1994, pp. 140-64, p. 141.
654 Così in Agricola, la similitudine appare come la forma meno potente dal punto di vista probatorio, ma più convincente per l’assenso dell’uditorio: «Omnium locorum et quibus ducuntur argumenta, nulli fere minus est virium contra renitentem audioterm, quam similitudini. Ad eum vero qui sponte sequitur docendumque se praebet, accomodiator, nullus est. Aperit enim rem (si recte adhibeatur) et quandam eius immagine subiict animo, ut cum assentiendi necessitatem non afferat, afferat tacitum dissentendo pudorem. Quapropter ad probandum non ita crebro, ad explanandum illustrandumque saepe ab oratoribus, a poetis saepius adhibetur». R. Agricola, op. cit., I, 26, p. 38.
655
Cfr. Aristotele, Retorica, II, 25, cit., p. 930. 656 Ivi, p. 962.
657 Aristotele, Topici, I, 12.
160 Montaigne, nella misura in cui, per mezzo dell’immagine e della metafora, rende disponibile ai più l’esperienza dell’evidenza che il discorso pone davanti agli occhi dell’uditore.
Il XVI si impone come il secolo dell’analogia – quarta tra le forme aristoteliche della metafora: la ricerca di un medesimo rapporto in domini diversi investe il campo dell’indagine naturale, facendo di uno schema logico-retorico la garanzia di una possibile unità ontologica di fronte alla varietà: conseguentemente, lo schema logico diviene un principio di metodo659. L’intrecciarsi delle varie fonti che dall’antichità al Medio Evo hanno costituito il discorso sui tropi è complesso660, ma possiamo forse soffermarci sulla categoria homoiosis/similitudo, che raggruppa tre fenomeni argomentativi, quali l’imago, l’exemplum e la comparatio, e che viene recepita nei termini di strategia argomentativa definendola come dimostrazione della cosa meno nota, attraverso la similitudine con una cosa più nota («est minus notae rei per similitudinem ejus, quae magis notae est, demonstratio»661). Il valore tradizionalmente speculativo si gioca quindi nella ricerca del simile capace di mostrare l’ignoto attraverso il noto.
Così negli Essais le similitudini e le induzioni di Socrate divengono a loro volta comprensibili ai più. La mente del più grande filosofo si dimostra in perfetta sintonia con l’ordine naturale e il suo parlare si fa comprensibile e spontaneo, soprattutto utile per la vita:
Socrate fa muovere la propria anima d’un movimento naturale e comune. Così parla un contadino, così parla una donna. Non ha mai in bocca altro che cocchieri, falegnami, ciabattini e muratori. Sono induzioni e similitudini tratte dalle più volgari e conosciute azioni degli uomini. Ognuno lo capisce. (…) Costui non si propone vane fantasie: il suo scopo fu di fornirci cose e precetti che realmente e più direttamente servano alla vita662
È interessante notare che il termine induction occorre solo una volta negli Essais, affiancato al lemma similitude e alla figura di Socrate. Demonet663 ha sottolineato un possibile legame con l’induction socratique che Antoine de Gouvèa, maestro di Montaigne, distingue dalla semplice induzione e dalla deduzione e considera migliore per il giudice. È questo un tipo di induzione che, meno stretta di quella logica, e meno relativa dell’esempio di tipo oratorio, stabilisce delle comparazioni ma lascia libero l’interlocutore di concludere sull’argomento. Concordando con Demonet664 è pur vero che Montaigne non sembri considerare
659 Si veda C. Perelman, Traité de l’argumentation, Bruxelles 2000, p. 507.
660 Si veda J. Molino, F. Soublin, J. Tamine, Présentation: Problèmes de la métaphore, in «Langages», 12, 1979, n. 54, pp. 5-40, pp. 11-12.
661 Isidoro di Siviglia, Etymologies, I, 21, cit. in ivi, p. 12. 662
M. de Montaigne, op cit., II, 12, p. 1928.
663 M.-L. Demonet, Au-delà de la rhétorique : le vrai et la fiction poétique chez Montaigne, in «Rhetorica. A Journal of the History of Rhetoric», 20, 2002, n. 4, pp. 357-374, p. 363.
161 positivamente le figure retoriche come similitudine e metafora, nella prospettiva della catalogazione stilistica dell’eloquenza; eppure il principio che ne è a fondamento – trasferimento di significato e costruzione di nessi significanti – percorre tutti gli Essais. La raccolta di esempi e di contro esempi è il procedimento tipico di molti capitoli e Montaigne stesso testimonia questo atteggiamento mentale e scritturale in I, 21: «Se non scelgo bene gli esempi, un altro li scelga per me»665. Il testo francese «Si je ne comme bien» è, alla luce delle importanti ricerche di André Tournon, di grande interesse, nella misura in cui il termine comme rimanda alla particella che introduce la similitudine, perciò il verbo commer chiama in causa non solo la raccolta di esempi, ma la capacità di notare le analogie666. Anche Bacon condividerà il principio induttivo, ma rifiutandone le forme tradizionali come l’enumeratio, la collatio ciceroniana e il paradeigma aristotelico – quei procedimenti cioè che mirano a raccogliere exempla simili da cui indurre un medesimo principio. Questo procedimento teoretico è infatti inquinato, come abbiamo visto, dalla presenza degli idola e dell’atteggiamento epistemologico che costruisce la scienza come la si desidera, a partire dal lume molle che è l’intelletto, impregnato di affetti e immaginazioni. Lo scopo della scienza baconiana non è la scoperta – inventio – degli argomenti, ma delle arti e dei principi della scienza; non la costrizione dell’assenso ma la costrizione delle cose, per cui l’ordine e la natura delle dimostrazioni dovranno adeguarsi, e fondare il metodo dell’interpretazione della natura.
Innanzitutto, nell’aforisma I, 14 del Novum Organum, Bacon affronta la forma del sillogismo identificandolo come strumento di dimostrazione del sapere sofistico. Come tale, il sillogismo conserva le illusioni e gli errori legati al linguaggio: il termine medio attraverso la quale si stabilisce la relazione tra due elementi è ingannevole, in virtù della vaghezza e dell’astrazione arbitraria delle parole che contrassegnano le nozioni.
Bacon quindi si volge all’induzione come forma di dimostrazione fondata sul senso e non sulle grandi macchinazioni logiche, stringe la natura da vicino e si mescola alle opere: attraverso l’induzione infatti, l’intelletto stabilisce un rapporto stretto con i fatti particolari, sui quali si fonda al fine di stabilire i principi primi. Tuttavia, l’intelletto non può semplicemente approcciare l’esperienza vasta che gli presenta «il numero di particolari è così elevato, quasi un esercito, e sono sparsi e diffusi così da distrarre e confondere l’intelletto»667. Il rischio, che è l’errore dell’induzione fin ora in uso, che dai fatti vola subito
665 M. de Montaigne, op. cit., I, 21, p. 185.
666 A. Tournon, Montaigne. La glose et l’essai, Paris 2000, p. 38 e nota.
162 agli assiomi della natura, risiede nell’incompletezza di un’esperienza troppo grande e mal registrata, da cui si ottengono solo conclusioni precarie:
Infatti, l’induzione che procede per enumerazione semplice è cosa puerile: giunge a conclusioni precarie, si espone al pericolo di un’istanza contraddittoria e, in genere, si pronuncia su un numero di casi inferiore al necessario, e solo su quelli che sono a portata di mano. Invece, l’induzione utile alla scoperta e alla dimostrazione delle scienze e delle arti dovrà esaminare la natura attraverso i necessari rifiuti ed esclusioni; e di qui, dopo un numero sufficiente di istanze negative dovrà concludere sulla base delle istanze affermative.668
La centralità del metodo è ribadita proprio nella sua capacità di supplire alle mancanze e fallacie del senso, e di mitigare i poteri della mente riscaldata e ammollata negli idola: il problema non consiste nelle fallacia umane più o meno arginabili – attinenti alla specie o al sapere che deriva da questo intelletto imperfetto – ma nella via seguita.
Per parlarvi con semplicità, uno zoppo che segue la via giusta arriva, come suol dirsi, prima di un corridore che segue la strada sbagliata. Ricordatevi che la questione concerne la via da seguire e non le forze, e che sosteniamo non la parte di giudici, ma quella di guide. Per questo, abbandonato ogni travestimento e artificio, affermo di essere convinto che, se tutti gli ingegni di tutte le età si riunissero in uno solo, continuando ad usare il metodo che ora si segue, fondato sulla meditazione e sull’argomentazione, non potrebbero compiere grandi progressi nelle scienze. E non mi limito a questa affermazione; ma sostengo che, quanto più il genio di un uomo è potente tanto più precipita e si perde nei labirinti e negli abissi dell’immaginazione, se si allontana troppo presto dalla luce della natura, cioè dalla storia e dall’evidenza delle cose particolari. (…) Il metodo che noi applichiamo alle arti e il modo della nostra ricerca sono tali da produrre l’eguaglianza dell’ingegno e delle capacità fra gli uomini, cosi come accadeva per l’eredità presso gli Spartani. (…) in quello studio della natura che si affida solo alle forze della mente un uomo potrà esser di molto superiore ad un altro, ma in ciò che propongo non c’è, tra gli intelletti umani una differenza molto maggiore di quanta non soglia essercene fra le percezioni sensibili dei vari uomini. Per parte mia temo come pericolose la sottigliezza e la precipitazione degli ingegni quando essi sono trasportati dal loro stesso movimento e mi preoccupo al massimo grado di fornire agli spiriti non penne e ali, ma piombo e pesi.
L’efficacia del metodo si fonda sulla possibilità di trovare la minima differenza che sveli le vere nervature naturali della realtà, attraverso la comparazione dei casi simili tra di loro, perché non c’è procedimento nell’inventio della conoscenza che non si fondi dalla similitudine: «there is no proceeding in invention of knowledge but by similitude»669 e ancora «è errata l’induzione che inferisce i principi delle scienze attraverso l’enumerazione
668 Ivi, I, 105, p. 195.
669 Id., Valerius Terminus. Of the interpretation of Nature, in J. Spedding, R. L. Ellis, D. D. Heat, The works of Francis Bacon, London 1861, vol.VI, p. 28.
163 semplice, senza affidarsi alle esclusioni, alle soluzioni o alle separazioni richieste dalla natura»670.
Il buon filosofo, in Bacon, si contrappone ancora al cattivo macellaio platonico, e la dialettica come processo intellettuale che scinde e unisce è rivalorizzato e ripulito dalla verbosità viziata del sapere tradizionale.
5.4 La ragione zoppica: il caso contrario e il metodo dell’interpretazione della natura