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3. API E MIELE, PAROLE E IDEE

3.2 Juan Luis Vives Dalle lettere alla pedagogia

3.2.2 Tra Seneca e Quintiliano

L’imitazione come principio del processo educativo pone la questione dell’integrità morale del maestro: la corretta condotta non è data dal rispetto dei precetti, ma dalla buona

419 Il De disciplinis libri XX, pubblicato nel 1531, risulta così composto: una prima parte di storia delle discipline in sette libri – De causis corruptarum artium – in cui si ripercorrono le cause della decadenza dei saperi, dalla grammatica alla retorica e dialettica, alla filosofia naturale, morale e al diritto civile; una seconda parte in cinque libri sulla trasmissione dei saperi, che qui maggiormente interessa – De tradendis disciplinis; e infine il De artibus contenente i cinque trattatelli De prima philosophia sive de intimo naturae opificio, De censura veri, De explanatione cuiusque essentiae, De instrumento probabilitatis e il De disputatione.

420 V. Del Nero, introduzione a J. L. Vives, L’insegnamento delle discipline, cit., p. XIII. 421

Ivi, p. 50.

422 «L’abitudine è un fatto dolcissimo e le opinioni accolte a quell’età permangono a lungo per il resto della vita e ancora di più con il passare del tempo, si imprimono e si rafforzano con solide ragioni». Ibidem.

106 disposizione d’animo. Il retroterra senechiano di questa sovrapposizione tra l’educazione del fanciullo e la vita civile può emergere riprendendo la lettera 94 a Lucilio, in cui ci si interroga sulla parte morale della filosofia e in particolare sulla reale necessità dei precetti, a cui si obietta tramite le parole di Aristone:

chi ha assimilato nozioni e inteso ciò che deve fare e quel che deve evitare, non è ancora saggio, se il suo animo non si è modellato su ciò che ha formato l’oggetto del suo apprendimento. Questa vostra terza parte, consistente nel formulare precetti, risulta sia da principi fondamentali, sia dalla disposizione dell’animo; pertanto è qualcosa di superfluo per il perfezionamento della virtù, cui bastano quelle due prime parti».424

Seneca risponde alle parole di Aristone notando che l’inutilità dei precetti è di fatto il risultato del cammino morale proposto attraverso i precetti stessi; un cammino di formazione dell’individuo che raggiunge uno stato di saggezza in cui pensiero e azioni virtuosi coincidono e si somigliano l’un l’altro. Non così per l’uomo medio, comune, imperfetto, che apprende il senso morale per via imitativa:

ciò che tu dici si riferisce a un uomo dotato di una personalità già interamente compiuta e giunta al culmine della felicità umana. Però a questo stato si arriva lentamente, e intanto anche a un uomo imperfetto, ma in fase di progresso morale, occorre indicare la via da percorrere nella comune prassi di vita. (…) se un uomo così si dispone ad aspettare il momento in cui riesce con le sue sole forze a rendersi conto di ciò che è meglio fare, sbaglierà nel frattempo, e, sbagliando, troverà ostacoli che gli impediranno di raggiungere quella condizione nella quale potrebbe bastare a se stesso. Dunque egli deve essere guidato appena riesce a dirigersi in modo autonomo. I fanciulli imparano su un modello di scrittura: l’insegnante regge le loro dita, che così vengono condotte da mano altrui lungo i segni delle lettere. Poi il maestro invita a imitare gli esempi e a regolare la scrittura sulla loro forma. Analogamente il nostro animo trova un sostegno, mentre viene dirozzato secondo un modello.

La metafora del fanciullo che apprende propone, per mezzo della relazione tra maestro che è modello, e fanciullo che è uomo imperfetto, la funzione del saggio nella società, come modello di virtù e di buon vivere per tutti gli esseri umani. Si tratta di un ruolo che si articola negli scritti pedagogici umanisti sulle figure del maestro saggio, del buon padre e del regnante giusto che, come abbiamo visto, ritorna in Erasmo, di cui diventa allora necessario vagliare la preparazione e l’integrità morale perché, in questo senso, insegnare ed educare sono innanzitutto offrire un modello, e le conseguenze non ricadono unicamente sul singolo, ma sulla collettività: «Mentre uno rende peggiore il prossimo, ha già peggiorato se

107 stesso; ha appreso il peggio, poi lo ha insegnato, e così si è formata quella tendenza collettiva al male»425.

Laddove, come abbiamo visto, l’educando è ancora acerbo e incapace di scegliere i contenuti migliori per educare l’abitudine e acuire l’ingegno, il maestro integro è colui che permette di orientarsi nella corrente disordinata della realtà e offrire gli strumenti necessari per non cadere nella vanità delle opinioni scorrette del volgo426. Così come Seneca, anche Quintiliano, l’altro grande sottotesto classico del De disciplinis427, dedica una capitolo del secondo libro dell’Istituzione Oratoria ai requisiti dell’educatore che viene sovrapposto alla figura del genitore:

Nei confronti dei suoi allievi assuma innanzitutto l’atteggiamento di un genitore e pensi di subentrare a coloro che gli affidano i propri figli. Egli per primo sia immune da difetti e non ne tolleri. La sua riservatezza non sia ombrosa, la sua affabilità non sia eccessiva perché non ne derivino rispettivamente antipatia e mancanza di rispetto. Parli spesso di ciò che è buono e di ciò che è moralmente corretto; tanto più frequentemente infatti farà raccomandazioni in merito e tanto più di rado sarà costretto a castigare (…) Egli dica ogni giorno qualcosa, anzi, molte cose che coloro che ascoltano ripetano poi da soli. Infatti anche se la lettura fornisce un numero di esempi sufficiente all’imitazione, tuttavia quella che si definisce “viva” voce fornisce un nutrimento più ricco: specialmente quella di un maestro che gli alunni, purché adeguatamente formati, amano e temono al tempo stesso.428

Al punto che l’integrità morale è il requisito che favorisce o mina la totalità del processo educativo: «Ma se c’è qualcuno che, scegliendo il precettore per il proprio figlio, non evita il rischio di un’immoralità che pure è palese, sappia fin d’ora che, se viene a mancare questo aspetto, anche tutti gli altri argomenti che cerchiamo di affrontare a vantaggio del ragazzo risultano del tutto inutili»429.

425 Ivi, XV, 94, 54, pp. 735-7.

426 «Non abbiamo la facoltà, io affermo, di procedere sulla retta via: ti conducono fuori strada i genitori; i servi ti fanno deviare; nessuno si travia a proprio a proprio rischio». Ibidem.

427 Per l’influenza di Seneca e Quintiliano in Vives si veda C. G. Noreña, Juan Luis Vives, The Hague 1970, p. 174 e ss. e M. Conde Salazar, Presencia de Quintiliano en las «Teorías psicológicas» de Juan Luis Vives, in T. Albaladejo, E. Del Rio, J. A. Caballero (a cura di), Quintiliano: Historia y Actualidad de la Retórica, I, La Rioja 1998, pp. 1209-1218.

428 Quintiliano, Istituzione Oratoria, a cura di S. Beta ed E. D’Incerti Armadio, Milano 2007, vol. II, 2, 5-8, p. 161. Il tema del maestro come genitore ritorna anche in II, 9, 1-3, p. 199-201: «ho una sola raccomandazione da rivolgere agli alunni: di amare i propri maestri non meno degli studi stessi e convincersi che essi sono padri e madri non delle loro persone fisiche, ma delle loro menti. (…) Come il concepimento di un essere umano è il prodotto di entrambi i genitori ed è inutile aver seminato se un solco preparato non ha accolto il seme, così l’eloquenza non può svilupparsi, se non si è stabilita una comune intesa tra chi impartisce l’insegnamento e chi lo riceve».

429

Ivi, II, 2, 15, p. 163. Così anche nelle fonti italiane, ad esempio Matteo Palmieri, nella Vita Civile: «Sopra ogni cosa sieno nel maestro approvati costumi, però che, giovando alla doctrina e nocendo al bene vivere, sarè contro allo intendimento nostro, che sempre propognamo l’onestamente vivere all’optimamente imparare. Non sia dunque il maestro vizioso, e non desideri d’essere; (…) il padre (…) admonisca il fanciullo che il maestro

108 Troviamo i medesimi precetti, di matrice quintilianea come ha fatto notare Del Nero, nel II libro del De Disciplinis, dove accompagnano la descrizione dell’ambiente in cui deve essere situata la scuola, ricerca importante e da fare con cura «dal momento che tanto ansiosamente ricerchiamo uno spazio per le api che produrranno il miele, prodotto che è tanto inferiore alla sapienza»430.

Imitazione come principio dell’apprendimento ed educatore come modello da emulare sono i due assi su cui si costruisce l’azione formativa, indipendentemente dalla materia. E tuttavia, il De tradendis, mantiene la necessità di ʻguidareʼ l’imitazione – morale e stilistica, dal momento che l’apprendimento della buona condotta e della bella scrittura si tengono431 – sia per l’immaturità del fanciullo, ancora incapace di giudicare, che per la necessità di ponderare sulle sue forze la proposta del percorso educativo, proprio per la sua riuscita. Il maestro sarà allora «un’ape diligente»432 che ricercherà esempi e osservazioni giuste per il suo discepolo:

L’imitazione consiste dunque nel realizzare qualcosa prendendo a modello un esempio proposto, per cui bisogna presentare tipologie utili da raffigurare indubbiamente molto valide, non così semplicemente, ma secondo le effettive capacità degli studenti. Saggiamente Quintiliano consiglia che i ragazzi fin dall’inizio non cerchino di innalzarsi all’imitazione del maestro, perché non vengano loro meno le forze ma, scelta questa che sarà per loro più agevole e più a portata di mano, di prendere a modello qualcuno dei compagni di studio più bravi, appoggiandosi sul quale arrivino fino all’emulazione dei docenti.433