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Dal nazionalismo democratico al radicalismo etnico

Il nazionalismo in Transilvania all’inizio del Novecento

3. Dal nazionalismo democratico al radicalismo etnico

Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, la città di Orăştie, nella Transilvania meridionale, di- venne un punto di riferimento per un gruppo di giovani nazionalisti esponenti dell’ala attivista che, in polemica con la dirigenza del PNR, avevano dato alla luce due riviste, la «Revista Orăştiei» nel 1895 e «Libertatea» nel 1902. Fu in particolare «Libertatea», diretta dal prete orto- dosso Ioan Moţa, ad imporsi, dopo la svolta attivista del 1905, come organo di stampa ufficioso del partito, a fianco di «Tribuna» che, pubblicata ad Arad, ne era il portavoce ufficiale86. Orăştie giocò un ruolo importante all’interno del movimento nazionale romeno anche dal punto di vista economico: qui infatti era stata fondata nel 1885, su iniziativa dell’avvocato Ioan Mihu, la Banca Ardealană, che si affiancò alle decine di banche con capitale romeno, la cui finalità era quella di agevolare la formazione di una classe media di agricoltori, capaci di costituire il nucleo del mo- vimento nazionale romeno in Transilvania87. Studente dal 1887 alla sezione teologica dell’Istituto pedagogico-teologico dell’arcidiocesi ortodossa romena di Transilvania, Ioan Moţa aveva svolto fin da allora un’intensa attività pubblicistica. Collaboratore di «Tribuna» e di «Foaia Poporului», di cui era stato caporedattore, aveva difeso con toni bellicosi, in modo parti- colare su quest’ultimo giornale, i memorandisti durante il processo del 1894. Nel 1895 aveva la- sciato Sibiu per Orăştie, dove aveva diretto l’omonima rivista, in cui aveva cominciato a pubbli- care articoli fortemente antisemiti, accusando gli ebrei di essere «la fillossera del mondo cristia- no». Dopo essere diventato secondo parroco di Orăştie nel settembre 1899, dal 1902 aveva diret- to «Libertatea», di cui era anche proprietario, che si era caratterizzata fin dall’inizio sia per un

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Cfr. B.C. Pauley, From prejudice to persecution. A history of Austrian anti-semitism, The University of North Carolina Press, Chapel Hill-London, 1992, p. 32.

85 Cfr. P. Pulzer, The rise of political anti-semitism in Germany and Austria, cit., pp. 241-243. 86

V. Orga, Grupul neoactivist de la Orăştie. Premise. Constituire. Activitate (1885-1914), Teza de doctorat, Cluj- Napoca, 2002, pp. 139-155.

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acceso nazionalismo antimagiaro – era sottotitolata significativamente «foglio di lotta nazionale» -, sia per argomentazioni spesso xenofobe e antisemite. Già nel primo numero del giornale, in un articolo intitolato Sporchi giudei, si scriveva che

Nella gran parte dei paesi d’Europa […] i popoli cristiani sono giunti ad essere convinti fino al fondo del- la loro anima, che la gran parte della colpa per la povertà che tormenta i popoli e le nazioni oggi, ricade sopra i vari trafficanti giudei, grandi e piccoli, che trafficano sia con merci, sia con denaro, e che spremo- no senza cuore il sudore dei popoli e delle nazioni […].

E, in chiusura, si informavano i lettori del fatto che «Libertatea» avrebbe seguito «da vici- no il movimento giudaico anche nella nostra nazione» e avrebbe consigliato «su cosa si deve fare per essere presto un giorno liberi dal giogo giudeo là dove esso tiene per il collo la nostra nazio- ne»88. Allo stesso modo, il giornale si schierava per una concezione militante del nazionalismo, di carattere tendenzialmente esclusivo, detta românism: «nessun segno è più chiaramente im- presso su tutte le grandi opere […] della nostra epoca quale quello nazionalista» e per questo motivo – si sosteneva - in Europa tutti i popoli si battono gli uni contro gli altri per la propria na- zione. Sempre per lo stesso motivo, anche i romeni avrebbero dovuto porre «su tutte le manife- stazioni della [loro] vita» «il sigillo del românism»89. Alla base del românism doveva esserci la consapevolezza dell’origine latina del popolo romeno, secondo i canoni della continuità daco- romena, per cui i romeni di Transilvania erano i discendenti dei daci romanizzati90. Riguardo al socialismo, lo si giudicava sostanzialmente contrario agli interessi della nazione romena, a causa della teoria della lotta di classe e in particolare del suo internazionalismo91.

La penetrazione e l’assimilazione da parte del nazionalismo romeno di Transilvania dei temi deterministico-razziali largamente diffusi in Europa, si contaminò anche con l’influenza del nazionalismo radicale che aveva già ben attecchito nel regno di Romania. La sempre più stretta collaborazione fra gli intellettuali transilvani e gli ambienti culturali di Bucarest accelerò una vi- rata in direzione etnicista che era iniziata negli ultimi due decenni dell’Ottocento con la rapida diffusione del pensiero junimista. Uno degli strumenti attraverso cui il junimism si diffuse in Transilvania fu la rivista del movimento, «Convorbiri literare», pubblicata dal 1867 a Iaşi, men- tre Ioan Slavici, uno degli esponenti di maggior rilievo di questa corrente culturale, manteneva i

88 Jidovii feştiţi…, «Libertatea», 1 gennaio n. 1902, p. 2. 89

Românism, «Libertatea», 30 marzo v. (12 aprile n.), 1902, p. 1.

90 Istorie, «Libertatea», 30 marzo v. (12 aprile n.), 1902, pp. 2-3. 91 Români socialişti?, «Libertatea», 4 (18) aprile 1903, p. 1.

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legami fra l’intellettualità transilvana e i principali rappresentanti del gruppo junimista, quali Maiorescu, Negruzzi, Alecsandri ed Eminescu92.

Secondo il poeta Eminescu, ispiratore del gruppo di Junimea e massimo esponente del ro- manticismo romeno, sia lo spirito del Quarantotto, sia quello della rivoluzione francese, da cui discendeva, avevano erroneamente preteso di cambiare in base a paradigmi astratti la società; a sua volta, il liberalismo romeno aveva sbagliato nel voler importare in Romania un sistema di valori estraneo al patrimonio ideale della nazione. Il 1848 era l’anno in cui «i romeni hanno per- duto il senso storico», accogliendo un sistema politico, la democrazia parlamentare di stampo occidentale, che si era rivelata una «forma senza sostanza» e aveva allontanato la Romania da uno sviluppo che si accordasse con la sua autentica natura. Eminescu è stato profondamente in- fluenzato dalle teorie elaborate dal romanticismo quarantottista sul concetto di nazione e in modo particolare dall’idealismo tedesco, da Herder a Hegel, oltre che dalla scuola storica di diritto e dalla sociologia tedesca del XIX secolo, ma anche dal pessimismo di Schopenhauer, che del re- sto aveva lasciato un segno profondo sulla cultura romena fra il 1860 e il 1890, in modo partico- lare sulla Società Junimea. Il junimism, attraverso il filtro del pessimismo schopenhaueriano, guardava infatti con preoccupazione a quello che veniva considerato un periodo di decadenza della società romena, ritenuta priva di valori morali e senza alcun punto di riferimento. Come Maiorescu, anche Eminescu si poneva contro il cosiddetto «stato contrattuale», di matrice illu- minista e rousseauiana, preferendogli uno stato che il gruppo di Junimea denominava «naturale» e «organico», fondato su dinamiche non rivoluzionarie e di rottura, ma su un evoluzionismo che fondeva echi di Auguste Comte con il reazionarismo di Edmund Burke. Insieme al parlamentari- smo, Eminescu condannava il capitalismo, giudicato un sistema di sfruttamento dell’Occidente e della borghesia cittadina sulle forze sane del paese, rappresentate dal mondo contadino del vil- laggio romeno, tanto da portare ad una sovrapposizione fra “questione sociale” e “questione na- zionale”. Di idee conservatrici, Eminescu non auspicava né una riforma agraria, né una qualsiasi forma di partecipazione democratica dei contadini alla vita del paese, che a suo avviso avrebbe dovuto restare saldamente nelle mani di una ristretta élite: il mondo contadino rappresentava in- fatti una risorsa spirituale, non un elemento da mobilitare politicamente. I contadini diventavano in qualche modo il simbolo della nazione etnica, essendo «la classe più positiva di tutte, la più conservatrice per lingua, costumi, abitudini, vettore della storia di un popolo, nazione nel senso più vero della parola». Le idee di Eminescu e di Junimea ebbero un’influenza fortissima sulla

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genesi del nazionalismo moderno sia in Romania – il sămănătorism organicista e tradizionalista di Iorga ne sarebbe stato un diretto discendente -, sia, di riflesso, in Transilvania93.

Anche Slavici vedeva nel mondo rurale la base per uno sviluppo autenticamente romeno della società, mentre il capitalismo occidentale e il parlamentarismo rappresentavano un agente disgregatore del românism94. La rivista «Sămănătorul»95, pubblicata a Bucarest fra il 1901 e il 1910, divenne un vettore di propagazione delle idee junimiste all’inizio del Novecento: temi forti di questa pubblicazione erano la rigenerazione dell’elemento rurale romeno, ritenuto la sola au- tentica fonte spirituale della nazione romena, e la difesa della Romania dagli influssi disgregatori della civilizzazione occidentale. Il sămănătorism assurse a vera e propria corrente ideologica nel periodo in cui il celebre storico Nicolae Iorga assunse la direzione della rivista, dal 1904 al 1906. Il nazionalismo di Iorga si distingueva tuttavia dal pensiero di Eminescu per il suo rifiuto del pessimismo e per un impegno volontaristico nel forgiare una letteratura patriottica e dinamica, capace di esaltare il carattere romeno della nazione: la sua condanna delle false idee esportate dall’Occidente e dalla Francia in particolare in Europa sud-orientale era comunque netta96

. Come ha efficacemente sintetizzato Zigu Ornea, autore di molti studi sul pensiero tradizionalista rome- no, «il sămănătorism usa[va] alcune delle tesi junimiste, esacerbandole in dimensione o coloran- dole con tinte xenofobe nazionaliste». Inoltre, alla fine degli anni Venti e in modo particolare negli anni Trenta, «le idee razziste, antidemocratiche, nazional-scioviniste come le tesi dell’esaltazione dello spirito “tradizionalista” del primitivismo rurale, specifiche del sămănăto- rism [sarebbero state] usate da sociologi e ideologi fascisti e adoperati sul piano letterario e so- ciologico»97.

Aurel Popovici assunse la direzione di «Sămănătorul» fra il 1908 e il 1909, periodo in cui pubblicò sulla rivista numerosi articoli su temi riguardanti l’idea di nazionalismo, mostrando una forte influenza da parte del pensiero junimista, sulla scia di Eminescu, Maiorescu e Petre P. Carp, gli ultimi due – fra l’altro - membri del partito conservatore romeno. Gli interventi di Po- povici si situavano in un ambiente culturale, quello romeno di inizio secolo, in cui ferveva il di- battito attorno a categorie ideali di carattere dicotomico influenzate in qualche modo dalla rifles- sione tedesca su Kultur e Zivilisation. Secondo i nazionalisti romeni, il polo negativo del mondo moderno era rappresentato dal razionalismo, dal cosmopolitismo, che assumevano la forma eco-

93 K. Hitchins, România 1866-1947, Humanitas, Bucureşti, 2004, pp. 261-264; N. Bocşan, Mihai Eminescu. Con-

cepţia despre naţiune, in Cultură şi societate în epoca modernă. Ingrijit de N. Bocşan, N. Edroiu, A. Răduţiu, Editu-

ra Dacia, Cluj-Napoca, 1990, pp. 145-156.

94 Ivi, pp. 269-70. 95 Il seminatore. 96

Ivi, pp. 275-77.

97 Z. Ornea, Caracterul reacţionar şi diversionist al sămănătorismului, «Cercetări Filozofice», 8 (1961), n. 1, p.

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nomica del capitalismo e la forma politica della triade liberalismo-democrazia-parlamentarismo. Su tali temi aveva pubblicato molto Nicolae Iorga, figura di riferimento del nazionalismo rome- no in quegli anni, ma avevano anche scritto diversi altri intellettuali romeni, in particolare Con- stantin Rădulescu-Motru98

. Popovici intendeva la nazione come un’entità organica e rifiutava decisamente l’idea di individualismo e l’atomismo sociale: per lui solo la nazione era una so- stanza reale, mentre l’umanità era un’astrazione se non veniva espressa da gruppi umani reali nella forma di collettività nazionali. Secondo Popovici

Non esiste un’“umanità” in realtà, perché non esiste uno stato degli umani, una lingua degli umani, una religione e altre credenze, costumi e abitudini degli “umani”. Tutte queste cose esistono solo come attri- buti delle nazionalità99.

La collettività nazionale costituiva quindi «un’individualità etnica» e aveva una propria «coscienza nazionale». Aderendo alle concezioni evoluzioniste darwiniste, Popovici pensava che tutte le nazionalità, con riferimento particolare a quelle dell’Impero austro-ungarico, avanzavano per le stesse leggi di natura verso la propria indipendenza. Influenzato dal politico e filosofo bri- tannico Edmund Burke, Popovici sosteneva che, pure in un contesto di continua evoluzione, ogni popolo fosse caratterizzato da una propria identità che poteva esistere solo in ragione di una sua persistenza nel tempo di carattere storico, culturale e spirituale. Non esisteva una purezza etnica, poiché tutti i popoli si mescolavano per natura, tuttavia la nazione – la «razza»100 - dominante avrebbe dovuto «assimilare facilmente, senza alcuna scossa» tutte le componenti allogene. In ca- so contrario, «un popolo tanto mescolato da non riconoscere più le grandi linee della propria fi- sionomia fisica, intellettuale e morale, è una massa bastarda senza potere creatore, senza garan- zia di un futuro»101. Per quanto riguardava la democrazia, essa portava inesorabilmente al dissol- vimento della nazione, in quanto «fra nazionalismo e democratismo veramente c’è un’antitesi organica». La democrazia significava distruzione delle élite, le sole che avessero titolo a gover- nare: Popovici tuttavia, a differenza di Eminescu, non respingeva in blocco il liberalismo, ma ne accettava i principi all’interno di una cornice non democratica, conservatrice ed elitaria102

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Cultura româna şi politicianismul (1904), Naţionalismul. Cum se înţelege. Cum trebuie să se înţeleagă (1909),

Sufletul neamului nostru. Calităţi şi defecte (1910). Rispettivamente: La cultura romena e il politicantismo; Il nazio-

nalismo. Come si comprende. Come si deve intendere; L’anima della nostra nazione. Qualità e difetti.

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Cit. in C. Schifirnet, Studiu introductiv, in A.C. Popovici, Naţionalism sau democraţie. O critica a civilizaţiunii

moderne. Studiu introductiv, îngrijire de ediţie, note de C. Schifirneţ, Editura Albatros, Bucureşti, 1997 (I ed. Mi-

nerva, Bucureşti, 1910), pp. XI-XII.

100 Popovici intendeva il termine «razza» come un sinonimo di «nazionalità»: cfr. A.C. Popovici, Naţionalism sau

democraţie, cit., p. 429 nota.

101 A.C. Popovici, Naţionalism sau democraţie, cit., p. 425. 102 C. Schifirneţ, Studiu introductiv, cit, pp. XX, XXII-XXIII.

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Già nel 1894, lo studioso transilvano aveva sviluppato una sua concezione del principio di nazionalità, che faceva derivare da un’estensione delle idee illuministe di libertà ed uguaglianza dagli individui alle individualità sociali collettive come le nazioni. Ispirandosi a Pasquale Stani- slao Mancini e alla prolusione da lui tenuta all’università di Torino nel gennaio 1851, intitolata Nazionalità come fondamento del diritto delle genti, che ebbe vasta risonanza anche oltre i con- fini del regno di Sardegna e che suscitò l’irritazione dell’Impero asburgico103, Popovici sottoli- neava il carattere deterministico della «coscienza nazionale» posseduta da un’«individualità etni- ca». Tale «coscienza nazionale», naturalisticamente innata nei popoli, assume consapevolezza di sé quando sente di essere privata della propria libertà dalla «dominazione straniera»:

Quando un intero popolo si vede minacciato di essere spazzato via dalla terra, quando è colpito nel- le radici esistenti, proprio nell’anima della propria vita nazionale, l’odio e l’avversione contro coloro che risvegliano queste sensazioni, contro gli oppressori stranieri, si condensa e scoppia con potenza elementa- re, esattamente come le grandi tempeste e i vulcani della terraferma.

Il nazionalismo confligge con il patriottismo laddove una nazione si trova all’interno di uno stato espressione di un’altra nazione: per tale motivo – scriveva Popovici – i romeni di Tran- silvania non potevano gioire per le fortune della “loro” capitale, Budapest. Ne discendeva che «il nazionalismo è il patriottismo particolare delle nazionalità, che non sono ancora giunte a costi- tuirsi in individualità di Stato, che tendono verso questo scopo»104. Già in tale occasione Popovi- ci enucleava un concetto di etnogenesi, che avrebbe mantenuto costante anche negli anni succes- sivi: l’idea per cui «oggi a stento esiste in Europa una nazione, di cui si possa sostenere che sia etnicamente pura»105. A queste «sotto-leggi eterne di natura» avevano dovuto sottostare nel cor- so dei secoli anche i romeni, che avevano assimilato «oltre ai resti dei Daci» anche «svariati frammenti di popoli che sono vissuti sulle terre romene», come slavi, greci e ungheresi. Questo processo era sostanzialmente una modalità di «selezione naturale fra i popoli»:

Il popolo, che nella naturale lotta per l’esistenza è più forte, fatalmente assorbe, assimila altri popo- li meno resistenti.

Di più: questo potere di assimilazione etnica dà ad un popolo la nota della sua vitalità. E proprio perché questa assimilazione è un processo ovvio, essa accade anche oggi.

103 Cfr. G.S. Pene Vidari, La prolusione di P.S. Mancini all’Università di Torino sulla nazionalità (1851), in Id.,

G.S. Pene Vidari (a cura), Verso l’unità italiana, Giappichelli, Torino, 2010.

104 Corsivo nel testo. 105 Corsivo nel testo.

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Ma se «l’assimilazione etnica naturale» in una «condizione di eguaglianza» era «normale», invece «l’assimilazione artificiale» di «nazionalità coscienti» imposta tramite la forza delle leggi di uno stato, attraverso quindi «procedure artificiali», era «mostruosa», in quanto si poneva «in conflitto flagrante con i principi liberali e egualitari». Mentre l’assimilazione naturale era «una forma di lotta pacifica e lenta fra i popoli», l’assimilazione artificiale era paragonabile ad una «guerra di conquista», che poteva essere messa in campo solo a condizione di utilizzare dei mezzi «bellicosi e reazionari». Così come gli individui hanno il diritto alla legittima difesa, le nazionalità oppresse avevano il diritto alla rivoluzione, cioè ad opporsi con la «violenza» alla na- zionalità sopraffattrice allo scopo di «conservare la loro individualità nazionale». Popovici pone- va la «centralizzazione» amministrativa di uno stato nel campo dei «sistemi innaturali», mentre giudicava la «decentralizzazione» e l’«autonomia» come l’unica soluzione capace di assecondare l’evoluzione naturale dei popoli verso una maggiore libertà. Negli anni Novanta dell’Ottocento, quando il nazionalismo ancora non si poneva in contraddizione con il socialismo – come dimo- stravano le già citate affermazioni di Vaida – anche Popovici poteva affermare che il socialismo aveva ragione nel voler risolvere i problemi materiali dei popoli, ma ciò non escludeva che si dovesse trovare soluzione anche ai problemi di natura spirituale: in realtà, il socialismo non rin- negava il «principio nazionale», soltanto considerava le «pretese nazionali» come delle cose «ovvie». D’altra parte, una volta che fossero stati raggiunti gli obiettivi nazionali di un popolo, tutto il popolo avrebbe dovuto beneficiare di questa libertà, perché «l’idea nazionale uscita dalle correnti potenti della democrazia moderna è strettamente legata alla sorte del popolo»106.

L’evoluzionismo democratico di Popovici subì una deriva di carattere etnico-razziale pa- rallelamente alla radicalizzazione delle posizioni di una parte del nazionalismo all’inizio del se- colo, anche grazie alla larga ricezione di tematiche diffuse dai teorici del razzismo europeo a ca- vallo dei due secoli. Tale deriva etnica, debitrice soprattutto della concezione tedesca di nazione, largamente diffusa nell’Europa centro-orientale, accomunava allora la maggior parte degli intel- lettuali delle “piccole nazioni” comprese nell’Impero asburgico107. Nel celebre Stat şi Naţiune. Statele-Unite ale Austriei-Mare del 1906, Popovici, oltre ad utilizzare argomentazioni di caratte- re costituzionalista e liberale per sostenere le proprie tesi federaliste – tema già affrontato nel primo paragrafo di questo capitolo -, faceva esplicito riferimento ad autori quali Gobineau (Essai sur l’inegalité des races humaines del 1884), H.S. Chamberlain (Die Grundlagen des Neun- zehnten Jahrhunderts del 1899, definita un’«Iliade del conflitto fra tedeschi e semiti»108), Gusta-

106 A.C. Popovici, Principiul de naţionalitate. Conferinţa desvoltată la 30, I, 1894 în “Ateneul Român” din Bucu-

reşti, Tipografia Modernă, Crecorie Luis, Editura Autorului, 1894, passim.

107

V. Neumann, Federalism and Nationalism in The Austro-Hungarian Monarchy: Aurel C. Popovici’s Theory, «East European Politics and Societies», 16 (2002), n. 3, p. 877.

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ve Le Bon (Lois psychologiques de l’évolution des peuples del 1894), Disraeli e Spencer. Se lo studioso romeno aveva già sostenuto il principio per cui i magiari non avevano il diritto di utiliz- zare i metodi dell’assimilazione forzata nei riguardi dei romeni, ora denunciava invece l’effettiva inferiorità degli stessi magiari, storicamente vissuti «dispersi in gruppi, in mezzo ai quali si sono infiltrate altre nazionalità». I magiari erano «una razza mongolide», essendosi «incrociati soprat- tutto con ebrei, quindi con semiti» e avendo prima tentato di «assorbire masse enormi di indo- germani»: «un simile incrocio», decretava Popovici, avrebbe portato evidentemente «alla dege- nerazione di tutte queste razze». Contraddicendo ciò che aveva affermato in altre sedi negli anni precedenti, Popovici stabiliva che «per creare una nazione superiore, devono essere evitati incro- ci di razza in massa, mescolanze di sangue e promiscuità etnica»:

Il celebre conte Gobineau, che è stato il primo ad attrarre l’attenzione sui rapporti fra razze e sulle loro influenze sulla civilizzazione, crede proprio che gli incroci di razza sarebbero vere cause della spari-