• Non ci sono risultati.

La storiografia e il nazionalismo: il caso transilvano

In questo paragrafo si vuole ripercorrere in modo sintetico il dibattito storiografico sul na- zionalismo, cercando di applicarlo allo specifico caso transilvano, allo scopo di chiarire come la presente ricerca intenda collocarsi da un punto di vista metodologico e quale sia l’approccio scel- to alla materia trattata. Inoltre, si cercherà di evidenziare il contributo che, tramite il presente la- voro, ci si propone di portare al generale dibattito sull’argomento, con particolare riferimento al nazionalismo nell’Europa orientale. Partirò proprio da quest’ultimo punto: non esiste a tutt’oggi alcuno studio complessivo sul passaggio dal nazionalismo democratico e radicale al nazionali- smo totalitario in Transilvania o in un’altra regione di confine dell’Europa centro-orientale: uno studio cioè che analizzi le modalità con cui i movimenti per l’indipendenza nazionale, radicaliz- zandosi nei primi anni del Novecento, sfociarono poi fra le due guerre mondiali nei nazionalismi totalitari, spesso definiti genericamente con il termine di “fascismi” est-europei.

76 Cfr. M. Petreu, An infamous past. E.M. Cioran and the Rise of Fascism in Romania, Ivan R. Dee, Chicago, 2005. 77 Cfr. M. Călinescu, “How can one be what one is?”: Cioran and Romania, in Identitate/alteritate în spaţiul cultu-

ral românesc. Culegere de studi editată cu ocazia celui de al XVIII-lea Congres Internaţional de Ştiinţe Istorice,

Montréal, 1995, Editura Universitaţii “Alexandru Ioan Cuza”, Iaşi, 1996, pp. 21-44; Z. Sternhell – M. Sznajder – M. Asheri, Nascita dell’ideologia fascista, prefazione di M. Revelli, Baldini & Castoldi, Milano, 1993.

45

Dal punto di vista terminologico, chiarisco che l’espressione “nazionalismo totalitario” è stata scelta in questa sede per sottolineare gli elementi di continuità esistenti fra tale fenomeno e ciò che si è qui definito nazionalismo democratico e radicale. Tutti avevano infatti come comune denominatore l’idea che la nazione costituisse il punto di riferimento della propria azione politi- ca, finalizzata a preservare il supposto interesse della comunità nazionale e dello stato che ne è la rappresentazione giuridica. Il passaggio dall’una all’altra forma di nazionalismo si realizza con alcune variazioni che però non comportano l’alterazione di un nucleo di idee-base della categoria “nazionalismo”: sulla natura di queste idee, tuttavia, gli storici e i sociologi non hanno raggiunto un’identità di vedute.

La nota affermazione di Ernest Gellner, secondo cui «il nazionalismo è anzitutto un princi- pio politico che sostiene che l’unità nazionale e l’unità politica dovrebbero essere perfettamente coincidenti» è tanto vera quanto vaga78. Più preciso è forse John Breuilly, quando elenca le tre «asserzioni fondamentali» della dottrina politica nazionalista: «esiste una nazione con un suo chiaro e peculiare carattere», «gli interessi e i valori di questa nazione sono prioritari rispetto a tutti gli altri interessi e valori» e «la nazione deve essere quanto più possibile indipendente», condizione quest’ultima che «di solito richiede almeno il conseguimento della sovranità politi- ca»79.

Anche sulla categoria di “totalitarismo”, che viene qui utilizzata, esiste una vastissima pro- duzione di analisi scientifiche che si può far risalire alle fondamentali intuizioni di Hannah Arendt e Carl Friedrich80; nell’ambito della storiografia italiana, Emilio Gentile ha associato a questa categoria il fascismo italiano81. In questa sede si utilizzerà la categoria di “totalitarismo” per descrivere la fisionomia che l’estrema destra nazionalista assunse in Romania fra le due guerre mondiali. Anche se il termine totalitarismo è stato generalmente applicato a situazioni in cui un partito unico giunge al potere e tende ad imporre alla società un’identificazione totale con lo stato, dominato dal partito stesso, facendo uso sia della repressione che dell’indottrinamento propagandistico, in questa sede lo si utilizzerà in riferimento ad un movimento che andò al pote- re soltanto per pochi mesi. Tuttavia, la pretesa del legionarismo romeno di essere l’unico e auten- tico rappresentante politico della nazione e l’idea organicistica della nazione stessa, per cui l’individuo non sarebbe che una cellula del corpo politico della “stirpe”, che lo trascende e da- vanti i cui interessi i diritti individuali non contano, rende appropriato l’aggettivo “totalitario” a

78

E. Gellner, Nazioni e nazionalismo, prefazione di G.E. Rusconi, Editori Riuniti, Roma, 1985, p. 3.

79 J. Breuilly, Il nazionalismo e lo stato, il Mulino, Bologna, 1995, p. 15.

80 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino, 2009; C.J. Friedrich – Z. Brzezinski, Totalitarian dicta-

torship and autocracy, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 1965. Cfr. anche S. Forti, Il totalitarismo, La-

terza, Bari, 2001.

46

questa realtà. Nazionalisti totalitari non furono tuttavia solo i legionari, ma anche gruppi politici che, soprattutto dalla metà degli anni Trenta, indirizzando una critica radicale alla democrazia parlamentare, sostenevano la necessità di sostituirla con uno “stato organico”, etnocratico e anti- pluralistico, considerato autentica espressione della volontà del popolo romeno.

Il nazionalismo liberale, che caratterizzò il movimento nazionale romeno di Transilvania nella seconda metà del XIX secolo, associava all’idea di operare per il raggiungimento del be- nessere nazionale, quella di ottenere maggiori diritti per il popolo romeno nell’ambito della du- plice monarchia. L’idea che il nazionalismo fosse connaturato al liberalismo era radicata in tutti i nazionalisti romeni dell’epoca, in quanto il liberalismo forniva il supporto ideale per giustificare la pretesa che tutti i sudditi della corona godessero degli stessi diritti. Quando tuttavia, come conseguenza sia delle politiche assimilazioniste messe in atto dal governo magiaro, sia dell’incapacità o della non volontà da parte dell’imperatore di ascoltare le richieste romene, sia infine per influenza delle nuove idee del nazionalismo francese e tedesco circolanti anche in Transilvania, le élite romene iniziarono a teorizzare una linea diversa dal tradizionale appello al rispetto dei diritti del loro popolo, un nuovo tipo di nazionalismo prese forma. Si trattava di un nazionalismo che aveva avuto la sua incubazione nell’ultimo decennio dell’Ottocento quando, abbandonata l’abituale richiesta di ripristino dell’autonomia transilvana, che si fondava su basi storico-giuridiche, si passò a considerare il diritto del popolo romeno da un punto di vista etnico- linguistico. La differenza era rilevante: se della Transilvania storica facevano parte altre comuni- tà etnico-confessionali (magiara, sassone, seclera, ebraica), il rivendicare invece i diritti del po- polo romeno di Ungheria sic et simpliciter significava basare le proprie richieste su presupposti di carattere etnico, nel senso che al termine dà il nazionalismo moderno.

Il nazionalismo radicale, che si sviluppò negli anni che precedettero la prima guerra mon- diale, si caratterizzava per un appello diretto al popolo, quindi per una maggiore spinta di caratte- re democratico: sua principale richiesta politica fu l’introduzione del suffragio universale. Ma ta- le spinta democratica era sostanzialmente strumentale alla realizzazione di un fronte di carattere nazionale all’interno del regno di Ungheria, che potesse portare al conseguimento di un’entità prima autonoma nel contesto di un Impero asburgico riformato in senso federale e poi sempre più orientata verso l’unione con la Romania. Se il nazionalismo radicale aveva puntato più di quello liberale sulla democrazia, ciò non significa che avesse accettato i principi del costituzio- nalismo occidentale relativamente alla limitazione del potere dello stato – anche del proprio stato nazionale – verso l’individuo. La realizzazione della Grande Romania alla fine della prima guer- ra mondiale che implicava, oltre al raggiungimento dell’“unità nazionale”, anche l’immissione di un rilevante numero di popolazioni minoritarie all’interno del nuovo stato, fu il contesto in cui si

47

sviluppò una successiva forma di nazionalismo, quello totalitario (o tendenzialmente totalitario). Il nazionalismo totalitario, che ebbe in Transilvania – come si è detto – il suo “battesimo del fuo- co” e che si radicò particolarmente in questa regione fin dall’inizio (oltre che in Moldavia, dove Codreanu si era formato), costituisce un’ulteriore evoluzione del nazionalismo radicale. Se quest’ultimo aveva usato liberalismo e democrazia a fini strumentali per scardinare il predominio magiaro sull’etnia romena, una volta conseguita la finalità della “liberazione” e della realizza- zione di uno stato nazionale, tutto l’armamentario liberal-democratico fu reputato ormai inutile ed anzi dannoso. Questo avrebbe infatti permesso alle minoranze etniche e religiose di minare legalmente il nuovo stato romeno a confessione maggioritaria cristiana-ortodossa, e avrebbe inoltre dato spazio ai partiti “antinazionali”, cioè quelli di sinistra, considerati una quinta colonna dell’Urss e dell’“ebraismo internazionale”82

.

Il nazionalismo totalitario si caratterizzò quindi come una fase in cui l’occidentalismo e il cosmopolitismo con le sue libertà furono respinti in blocco – ricollegandosi al tradizionalismo ottocentesco romeno – e in cui si teorizzò uno stato etnocratico senza minoranze, senza partiti, guidato da un’élite ispirata direttamente da Dio per il bene della “stirpe” o, nel caso del naziona- lismo tendenzialmente totalitario e laico degli ex esponenti del PNR, da un’élite meritevole di governare nel nome del popolo. Il nazionalismo totalitario romeno può essere incluso nella più vasta categoria concettuale del fascismo, definito come un movimento di integrazione nazionale radicale, antiborghese, antiliberale e antimarxista, stando però attenti a non dimenticare le sue peculiarità specifiche, date ad esempio (nel caso dei legionari) dall’esaltazione del sacrificio di sé spinta fino all’esasperazione, coniugata con una visione quasi mistica della militanza. Anche per questo motivo – come si è già detto – in questo lavoro si è privilegiato il termine “nazionali- smo totalitario” anziché quello più classico di “fascismo”83.

Facendo riferimento alla suddivisione in tre fasi del nazionalismo fatta da Miroslav Hroch, questa tesi si propone di analizzare in particolare il passaggio dalla fase di agitazione patriottica alla fase di massa del movimento nazionale romeno di Transilvania, rispettivamente indicate, nella sua schematizzazione, con «fase B» e «fase C»84. Tale passaggio sembra coincidere, nel ca- so transilvano, con il passaggio dal nazionalismo democratico-radicale a quello radicale- totalitario e quindi con il mutato contesto in cui il nazionalismo si trovò ad operare: da quello

82 Zeev Barbu ha messo in evidenza la persistenza nel tempo in Romania di un atteggiamento di diffidenza verso ciò

che è “altro”: «Come la maggior parte dei popoli vissuti a lungo in uno stato di soggezione coloniale o semicolonia- le, i rumeni sono vittime di un grave complesso di inferiorità, che li spinge a ricercare la definizione della propria identità, di individui o di gruppo etnico, stabilendo innanzi tutto che cosa essi non sono». Z. Barbu, Romania, in H.R. Trevor-Roper – S.J. Woolf – A.J. Nicholls et. al., Il fascismo in Europa, Laterza, Bari, 1973, p. 171.

83 Per una riflessione sui concetti di “fascismo” e “totalitarismo”, cfr. ad esempio I. Kershaw, Che cos’è il nazismo?

Problemi interpretativi e prospettive di ricerca, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, pp. 37-67.

84 M. Hroch, Social Preconditions of National Revival in Europe. A Comparative Analysis of the Social Composition

48

asburgico a quello della Grande Romania, quindi da “nazionalismo separatista” – e, grosso modo dallo scoppio della prima guerra mondiale, “nazionalismo di unificazione” - a “nazionalismo ri- formatore”.

I concetti di nazionalismo di separazione, riforma e unificazione sono stati usati da John Breuilly per distinguere diverse modalità di manifestazione del nazionalismo stesso in situazioni di opposizione rispetto ad uno stato85. Come spiega Breuilly, «una opposizione nazionalista può cercare di separarsi dallo stato esistente (separazione), di riformarlo in senso nazionalista (rifor- ma) o di unirlo ad altri stati (unificazione)». Il conflitto che si sviluppa quindi fra il nazionalismo di opposizione e il governo (il quale a sua volta esprime solitamente un suo proprio nazionali- smo), è dato dalla combinazione fra le tre modalità predette e le due situazioni in cui si può tro- vare lo stato a cui ci si oppone, cioè «stato non nazionale» o «stato nazione». Breuilly colloca quindi il nazionalismo romeno transilvano nella categoria di nazionalismo separatista ad uno sta- to non nazionale, ovvero l’Impero asburgico, nel XIX secolo, e in quella di nazionalismo rifor- matore di uno stato nazione, ovvero la Grande Romania, nel XX secolo86. Si potrebbe però ag- giungere, a tale schema, anche il nazionalismo di unificazione espresso dai nazionalisti radicali fuoriusciti, che già prima dello scoppio della guerra, da Bucarest, avevano sostenuto la necessità di un ingresso nel conflitto della Romania con l’obiettivo di annettere la Transilvania. Inoltre, in- crociando le categorie elaborate da Hroch e Breuilly e la suddivisione da me proposta, è possibi- le osservare che il nazionalismo liberale romeno in Transilvania viene a collocarsi nella fase di agitazione patriottica e nella categoria di nazionalismo separatista ad uno stato non nazionale, mentre il nazionalismo radicale continua a collocarsi nella fase di agitazione patriottica ma tende ad avere delle velleità di massa e, oltre ad essere separatista, è anche progressivamente di unifi- cazione (al Regat). Infine, il nazionalismo totalitario viene a collocarsi nella fase di massa e con- temporaneamente nella categoria di nazionalismo riformatore di uno stato nazionale. Esso di- venne di massa quando, in un contesto ormai agrario-industriale, dove una finanza e un’industria controllate in gran parte da elementi considerati “non nazionali” (stranieri, ebrei) coesistevano con una popolazione romena largamente contadina e a livelli di sussistenza, i nazionalisti furono in grado di sviluppare un programma capace di coinvolgere i contadini stessi. Mentre il naziona- lismo liberale e quello democratico-radicale avevano puntato soprattutto sugli elementi culturali e sui diritti politici (suffragio universale), che avevano tuttavia poco appeal fra i contadini e limi- tavano così la penetrazione delle idee nazionaliste ai ceti medi, quindi ad una piccola parte della popolazione romena, il nazionalismo totalitario, facendo proprie alcune rivendicazioni di caratte- re sociale, come la riforma agraria e una forma imprecisata di partecipazione della classe operaia

85 J. Breuilly, Il nazionalismo e lo stato, cit. 86 Cfr. ivi, pp. 26-27 e i capitoli V e XIII.

49

alla gestione delle fabbriche, fu accolto con considerevole successo dalle classi subalterne. Su questo punto in particolare, come si mostrerà nel corso della tesi, ci furono tuttavia delle diffe- renziazioni fra il totalitarismo dei legionari e quello degli ex leader del PNR (Vaida, Goga, Vlad), più inclini ad un modello di carattere corporativo-conservatore e quindi più cauti rispetto al mito della palingenesi sociale. Sul tema della maggiore capacità di penetrazione a livello di massa del nazionalismo radical-totalitario interbellico rispetto a quello liberale e democratico del periodo precedente, Hroch affermava che

dove il movimento nazionale nella Fase B87 non era capace di passare ad un’agitazione nazionale e di articolare in termini nazionali gli interessi delle classi e dei gruppi specifici che costituivano la piccola nazione, non era capace di ottenere successo. Un’agitazione portata avanti sotto l’esclusiva bandiera del

linguaggio, della letteratura nazionale e di altri attributi sovra-strutturali come storia, folklore e così via, non poteva da sola portare gli strati popolari sotto la bandiera patriottica: la strada dalla Fase B alla Fase C88 era chiusa o, in qualche caso, interrotta89.

Il passaggio da nazionalismo radicale a nazionalismo totalitario può anche essere visto nel- la prospettiva dello spostamento dell’idea di nazione dal carattere sovrano del popolo (democra- zia) al prevalere di una sola etnia all’interno dello stato nazionale (etnocrazia). Liah Greenfeld ha evidenziato in proposito due tipi di nazionalismo, uno individualistico-libertario, l’altro colletti- vistico-autoritario, tentando di associarli ai due criteri antitetici di appartenenza ad una collettivi- tà nazionale, civico ed etnico. Il primo criterio considera la nazionalità, in linea di principio, co- me aperta e volontaristica, in misura tale da poter essere acquisita. Il secondo invece la reputa innata, per cui non costituisce una volontà individuale ma una caratteristica di tipo genetico o, al limite, culturale. Da qui deriva che «il nazionalismo individualistico non può che essere civico, ma il nazionalismo civico può anche essere collettivistico. Più spesso, tuttavia, il nazionalismo collettivistico prende la forma di particolarismo etnico, mentre il nazionalismo etnico è necessa- riamente collettivistico»90. In sostanza, quindi, il nazionalismo individualistico-libertario può es- sere civico ma non etnico, mentre il nazionalismo collettivistico-autoritario può essere sia civico (giacobinismo) che etnico (fascismo)91. Applicando lo schema proposto da Greenfeld alla realtà transilvana, si vede che la fase liberale del nazionalismo romeno era individualistica-libertaria,

87

Intende la fase di agitazione patriottica.

88

Intende la fase di massa.

89 M. Hroch, Social Preconditions of National Revival in Europe, cit., pp. 185-186.

90 L. Greenfeld, Nationalism. Five Roads to Modernity, Harvard University Press, Harvard-London, 1994, pp. 10-

11.

91 Greenfeld precisa tuttavia che questi sono modelli, mentre nella realtà si realizzano casi misti fra quelli proposti.

50

quella radicale rappresentava un ibrido fra momento individualistico-libertario e momento collet- tivistico-autoritario, e, infine, quella totalitaria (o tendente al totalitarismo) era tendenzialmente collettivistico-autoritaria.

Secondo Peter F. Sugar, che a sua volta ha sviluppato la nota tesi di Hans Kohn92, mentre il nazionalismo dell’Europa occidentale era tipicamente individualistico-libertario, quello est- europeo non tendeva verso «una sua realizzazione all’interno di una società mondiale democrati- ca», ma «verso l’esclusivismo», cercando di trovare una specifica missione storica per un dato gruppo etnico e diventando perciò messianico. Il messianismo etnico, notava Sugar, non può es- sere per definizione egualitario nel senso liberale del termine, in quanto «chiede i diritti per un popolo scelto, il Volk, non per l’individuo o il cittadino» ed è in effetti tendenzialmente totalita- rio93. Ancora Greenfeld offre lo spunto per un’ulteriore riflessione sul motivo di questa tendenza del nazionalismo dell’Europa orientale a diventare etnico piuttosto che civico e quindi autoritario e – nella sua fase più estrema o, se si vuole, più compiuta – totalitario. Nella sua analisi, il nazio- nalismo moderno, nato in Europa occidentale (in specie in Inghilterra), si è diffuso in Europa orientale dal XVIII secolo in quanto quelle società, che ambivano a far parte del sistema occi- dentale – più avanzato e simbolo di modernità – tendevano ad importare il modello fornito dall’occidente e quindi a diventare nazioni. Ne consegue che «lo sviluppo delle identità nazionali fu […] essenzialmente un processo internazionale», guidato dalle ristrette élite di quei paesi e, «allo stesso tempo, per diversi motivi, ogni nazionalismo era uno sviluppo indigeno». L’adozione dell’identità nazionale, precisava Greenfeld, era sempre nell’interesse dei gruppi che la facevano loro ed era motivata da un’insoddisfazione per l’identità che avevano precedente- mente. Tuttavia,

Ogni società importando l’idea straniera di nazione inevitabilmente si focalizzava sulla fonte dell’importazione – un oggetto di imitazione per definizione – e reagiva ad esso. Poiché il modello era superiore all’imitatore nella percezione di quest’ultimo (il suo essere un modello implicava ciò), e il con- tatto stesso più spesso che no serviva ad enfatizzare l’inferiorità di quest’ultimo, la reazione comunemen- te assumeva la forma del risentimento.

Da qui si origina una «transvalutazione di valori», cioè una trasformazione o addirittura un rovesciamento della scala di valori originali, per cui i valori che erano supremi (libertà, demo- crazia) divengono secondari o vengono denigrati e, contemporaneamente, vengono rimpiazzati

92

H. Kohn, L’idea del nazionalismo nel suo sviluppo storico, La Nuova Italia, Firenze, 1956.

93 P.F. Sugar, External and Domestic Roots of Eastern European Nationalism, in P.F. Sugar – I.J. Lederer, National-

51

con altri (il Volk). La nuova identità nazionale si sviluppa allora conformemente a questi nuovi valori, la cui codificazione sarà inoltre influenzata da elementi di carattere autoctono, rendendo in tal modo specifico ogni nazionalismo94. Questa interpretazione del nazionalismo sembra atta- gliarsi bene, sotto diversi aspetti, al nazionalismo romeno di Transilvania, nato come importa- zione di modelli culturali occidentali o centro-europei, impiantati nel contesto locale da parte di ristrette élite che, negli anni della loro formazione universitaria, avevano avuto l’occasione di trascorrere un periodo in Francia o in Germania95. A completare il quadro, vi è un ulteriore ele- mento offerto alla riflessione da R.J. Crampton, secondo cui il nazionalismo est-europeo nella sua fase totalitaria (fascista), fece del fattore religioso un punto qualificante della propria ideolo- gia, molto più che in Europa occidentale: la sovrapposizione fra religione e identità nazionale,