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Nazionalismo transilvano ed estremismo di destra negli anni Vent

Da nazionalismo non dominante a nazionalismo dominante

4. Nazionalismo transilvano ed estremismo di destra negli anni Vent

Gli anni Venti si aprivano in Romania nel segno di un cambiamento profondo rispetto all’anteguerra sotto molteplici aspetti: istituzionale, politico e socio-economico. La creazione della Grande Romania, l’approvazione della nuova costituzione del 1923, l’adozione del suffra- gio universale maschile, il varo di un’ambiziosa riforma agraria, avevano modificato il paese nell’intento di modernizzarlo, avvicinandolo maggiormente al modello dei paesi liberaldemocra- tici occidentali. Tuttavia, permanevano delle inadeguatezze strutturali che avrebbero nel periodo interbellico rallentato questo processo di modernizzazione, mantenendo la Romania in una situa- zione di costante fragilità politica e sociale, esponendola, in particolare negli anni Trenta, ai ri- chiami dell’estrema destra, che si sarebbe presentata come un’alternativa radicale all’immobilismo e alla decadenza della nazione. Innanzitutto, in Romania mancava una classe dirigente moderna e competente: le élite politiche erano sostanzialmente delle consorterie di po- tere, a volte di carattere familiare – ad esempio il partito liberale era una sorta di proprietà della famiglia Brătianu -, che si combattevano più per la conquista del potere fine a se stessa che per realizzare definiti e alternativi programmi di governo. Il re continuava a mantenere – anche con la nuova costituzione del 1923 – ampli poteri: poteva nominare ministri e farli dimettere senza chiedere il parere del parlamento, emetteva dei “regolamenti” applicativi, con un certo margine di discrezionalità, delle leggi approvate dal parlamento, aveva l’autorità di negoziare e conclude- re trattati di alleanza, che tuttavia dovevano essere ratificati dal parlamento. Continuò poi la con- suetudine inveterata, diretta prosecuzione dell’uso invalso sin dal secolo precedente, per cui era il re a nominare il governo che avrebbe condotto alle nuove elezioni: questo governo, controllan- do l’apparato amministrativo e in modo particolare i prefetti, poteva esercitare pressioni, intimi- dazioni e brogli di diverso tipo, assicurandosi la maggioranza in parlamento. Un partito poteva quindi ottenere delle percentuali di voto e un proporzionale numero di deputati incredibilmente diverso a seconda che si trovasse al governo o all’opposizione al momento delle elezioni. Anche l’attività legislativa era nelle mani del governo: fra il 1919 e il 1940, il 71% delle leggi approvate dal parlamento era di iniziativa governativa, mentre il restante 29% concerneva questioni di se-

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condaria importanza. In base ad una legge del 1925 sulla riorganizzazione delle amministrazioni locali, si realizzò poi un deciso accentramento su tutto il territorio nazionale, per cui il potere esecutivo, tramite i suoi rappresentanti locali – in particolare i prefetti distrettuali - poteva scio- gliere sia i consigli distrettuali che quelli comunali.

Un altro indice dell’arretratezza della realtà romena era che, benché fosse stato introdotto il suffragio universale, la gran parte della popolazione, costituita da contadini semianalfabeti ed indigenti – l’orizzonte della cui esistenza spesso coincideva con i confini del proprio villaggio -, non era in grado di partecipare attivamente alla vita politica, astenendosi o subendo passivamen- te le pressioni dei partiti di governo.

Dalla costituzione del regno di Romania (1881), nel paese si era affermato una sorta di bipartitismo, con l’alternanza al governo del partito conservatore, legato agli interessi dei grandi proprietari terrieri (boiari) e del partito liberale, che promuoveva una modernizzazione conforme agli interessi dei ceti borghesi emergenti. La riforma agraria postbellica, messo in crisi il partito conservatore – fra l’altro indebolito considerevolmente dalla sua tradizionale posizione protede- sca antebellica –, sembrava aver assicurato il predominio al partito liberale, che controllava, tra- mite la famiglia Brătianu, una buona parte del settore finanziario e industriale del paese. Tutta- via, la fusione fra il partito contadino145, creato nel 1918, e il PNR, avvenuta nel 1926, da cui prese vita la nuova formazione del partito nazional-contadino (PNŢ)146, portò alla stabilizzazione di una nuova rivalità fra questi due gruppi di potere147.

Il partito contadino, il cui elettorato di riferimento erano i piccoli e medi proprietari ter- rieri, che si erano avvantaggiati con la riforma agraria postbellica, era guidato da Ion Mihalache, un insegnante di campagna che, dotato di un carisma considerevole, ambiva a portare avanti un programma incentrato su riforme di carattere democratico, in favore della classe contadina, ma senza trascurare anche gli interessi di artigiani, commercianti e piccoli industriali. Il partito di Mihalache poteva contare inoltre sull’appoggio di alcuni intellettuali di orientamento populista- democratico, come l’antropologo Dimitrie Gusti, l’economista Virgil Madgearu e il romanziere Cezar Petrescu. Pur rifacendosi alla tradizione populista-agrarista romena, che, come si è visto, aveva una lunga storia, affondando le proprie radici nel romanticismo e nella visione idealizzata del mondo contadino come “serbatoio spirituale” del românism, il partito contadino era decisa- mente lontano da suggestioni di carattere reazionario e si attestava invece su posizioni piuttosto progressiste, ispirate alle teorie di Constantin Stere e dello stesso Madgearu148. Programma del

145 Partidul Ţărănesc.

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Partidul Naţional-Ţărănesc.

147 K. Hitchins, România, cit., pp. 414-420.

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partito contadino era la creazione di una democrazia agraria, caratterizzata da un controllo dei contadini sui mezzi di produzione, dall’organizzazione dell’agricoltura sulla base della piccola proprietà contadina indipendente, da un forte impulso al movimento cooperativo e da una decen- tralizzazione amministrativa che potesse avvicinare il contadino-proprietario allo stato, facendo- ne un autentico cittadino. Il PNR – partner nella fusione del 1926 – rappresentava invece una realtà di tipo interclassista, avendo una base elettorale spiccatamente regionale: era infatti votato da contadini, ma anche da artigiani e industriali, trovando largo seguito fra le classi medie pro- fessioniste e intellettuali della Transilvania. Il partito, che era nato con l’obiettivo di difendere i diritti nazionali dei romeni di Transilvania ed aveva poi optato per l’autodeterminazione una vol- ta che l’Impero austro-ungarico aveva iniziato a disgregarsi sotto i colpi della sconfitta militare, conseguita l’unità nazionale, aveva mostrato al proprio interno diversi orientamenti politici. Se nell’immediato dopoguerra, durante la fase di transizione del governo provvisorio di Transilva- nia guidato dallo stesso PNR, vi era stata un’incertezza sul tipo di profilo che il partito avrebbe dovuto assumere nella Grande Romania – regionalista o pienamente nazionale -, aveva alla fine prevalso un orientamento che accantonava l’idea dell’autonomia transilvana, optando invece per una piena integrazione nel nuovo stato e nel sistema politico bucarestino. Iuliu Maniu, che ini- zialmente aveva ammonito sui rischi di una “balcanizzazione” della Transilvania se non fossero state rispettate le peculiarità della regione, accettò infine l’idea di avvicinarsi al partito contadino precipuamente allo scopo di costruire una solida opposizione al partito liberale, percepito come la quintessenza della corruzione e del “politicantismo” (politicianism) della capitale. D’altra par- te, Maniu e il PNR avevano capitalizzato, sia in Transilvania che nel resto del paese, l’immagine di una “diversità” morale rispetto alla classe politica romena, che gli veniva dal prestigio guada- gnato durante la lunga fase di opposizione al governo ungherese149. La fusione del 1926 diede vita ad un partito vagamente di centro-sinistra, orientato in senso democratico, che tuttavia man- teneva al proprio interno una netta divisione fra l’ala di Mihalache, più nettamente radicale, e quella dei nazionalisti transilvani, meno sensibili al tema della democrazia sociale e più inclini a seguire ideologie che poggiassero sul mito della nazione. Gli stessi uomini provenienti dalle file del vecchio PNR, tuttavia, non avevano un’uniformità di posizioni politiche: come si è detto, la fine della guerra e il conseguimento dell’obiettivo principale del partito – l’unione della Transil- vania alla Romania -, aveva evidenziato differenze anche rilevanti fra le sue diverse anime. Se Maniu occupava una posizione “di centro”, vi era una parte consistente orientata piuttosto nel

149 «Esisteva una vera corrente nazionale a favore degli uomini politici della Transilvania, considerati “un’altra co-

sa”, in primo luogo dal punto di vista etico»: cfr. C. Sandache, Naţional şi naţionalism în viaţa politică românească

interbelică (1918-1940), Tipo Moldova, s.l., s.d., p. 70. Sull’unione fra partito nazionale romeno e partito contadi-

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senso di un nazionalismo di destra, che si raggruppava intorno a uomini come Alexandru Vaida- Voevod e Aurel Vlad150. Al momento della fusione, si tentò quindi di dare rappresentanza alle diverse tendenze del nuovo partito: Maniu fu nominato presidente, Mihalache, Vaida e Lupu – quest’ultimo rappresentante la sinistra del partito contadino - vicepresidenti e Madgearu segreta- rio generale e capo dell’organizzazione di Bucarest del partito151

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Nonostante la fusione fra i due partiti, la frattura fra le due anime permase. Come in molti altri casi della vita politica romena interbellica, infatti, fusioni, scissioni e apparentamenti eletto- rali erano spesso dovuti a logiche di potere e di scontro fra i diversi gruppi, senza che vi fossero alla base reali motivazioni di carattere programmatico o ideale. La convergenza fra nazionalisti transilvani e partito contadino non comportò quindi uno spostamento a sinistra del vecchio nu- cleo del PNR, ma semplicemente un “matrimonio d’interessi” concluso soprattutto allo scopo di costruire una forte alternativa di governo al partito liberale, inviso ad entrambi i partiti. Quanto poco rappresentasse una seria opzione di carattere ideale la fusione con i contadini di Mihalache è dimostrato dal fatto che, dopo la conclusione di un primo accordo elettorale di collaborazione per l’assemblea costituente del marzo 1922 fra i due partiti, il PNR aveva scelto – visti i deluden- ti risultati che avevano premiato i liberali al governo – di fondersi piuttosto con il partito conser- vatore democratico di Take Ionescu. Che la piattaforma programmatica del PNR dopo la fusione con questo partito fosse piuttosto vaga, ma comunque non particolarmente “di sinistra”, lo si de- sume dalla mozione adottata il 21 novembre 1922, dove si diceva che la stessa fusione era realiz- zata «per servire con forze congiunte la patria e la dinastia»152. L’aver scelto di fondersi con dei partiti di rilevanza nazionale – prima il piccolo partito di Ionescu, poi il partito contadino - ebbe tuttavia un’importanza non trascurabile nella ristrutturazione “nazionale” del PNR, per cui l’opzione regionalista fu definitivamente abbandonata e il partito nazionale transilvano, pur man- tenendo salda la coscienza delle proprie radici regionali, entrò pienamente nell’agone politico della Grande Romania: di grande rilevanza simbolica fu a questo proposito lo spostamento della sede del partito da Cluj a Bucarest. Sull’assetto conservatore che il PNR si era dato a seguito del-

150 Come ha scritto Armin Heinen, il partito nazionale «era dal punto di vista politico un partito abbastanza disomo-

geneo. Il suo spettro politico variava da una posizione democratica di sinistra ad una nazionale di destra, orienta- menti tenuti insieme solo dalla coscienza delle particolarità regionali. Quando, con l’annessione della Transilvania, il problema nazionale perse d’importanza, in seno al partito giunse di nuovo la scissione»: cfr. A. Heinen, Legiunea

«Arhanghelul Mihail», cit., p. 94.

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K. Hitchins, România, cit., pp. 427-431. Achim Mihu definisce, non del tutto propriamente, il partito nazional- contadino come partito di destra, in quanto aveva una «larga base contadina e nazionale», aggiungendo però che aveva «alcune note di sinistra venute dal Partito Contadino di Mihalache e alcuni lati liberali consistenti, in modo evidente, nel sostegno allo sviluppo democratico»: cfr. A. Mihu, introduzione a E. Weber, Dreapta românească, Editura Dacia, Cluj-Napoca, 1999, p. 12.

152 I. Scurtu, Istoria Partidului Naţional-Ţărănesc, Ediţie a II-a, revazută şi adaugită, Editura Enciclopedică, Bucu-

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la fusione, Goga non aveva dubbi, parlando di un «categorico indirizzo verso destra» preso dal suo ormai ex partito153.

L’avvicinamento definitivo fra PNR e partito contadino avvenne quindi con l’obiettivo di opporsi ai liberali e di impedire l’approvazione della nuova costituzione elaborata da quel parti- to, criticando soprattutto gli eccessivi poteri che la costituzione dava all’esecutivo. L’opposizione congiunta dei due partiti fu inutile, vista la maggioranza che i liberali avevano in parlamento, ma segnò l’inizio del percorso che portò poi alla fusione. Nel periodo successivo, si sviluppò infatti un fronte comune di opposizione, che mirava da un lato ad allontanare i liberali dal potere, dall’altro ad annullare la legislazione politica, economica ed amministrativa di carat- tere accentratore che era stata nel frattempo emanata, giudicata dai due partiti una sorta di «colpo di stato» effettuato con la complicità del re. Il programma del nuovo partito nazional-contadino guidato da Maniu, formulato attraverso complesse trattative fra i due partiti fondatori, si poteva considerare come una vittoria del PNR, che aveva ottenuto dal partito contadino una rinuncia ai punti più radicali del proprio programma, in cui si vagheggiava una sorta di «lotta di classe» con- tadina contro la grande industria e la grande finanza. Nel programma si prevedeva l’approvazione di una nuova costituzione che tutelasse realmente i cittadini dagli abusi dei fun- zionari pubblici e limitasse la discrezionalità del potere esecutivo, chiedendo inoltre la modifica della legislazione liberale in una direzione opposta a quella presa fino allora, ovvero verso una decentralizzazione amministrativa e una valorizzazione delle autonomie locali, con particolare riferimento alla tutela delle minoranze così come previsto dalla risoluzione di Alba Iulia del I di- cembre 1918. Alcuni punti più avanzati del programma del partito contadino erano scomparsi, come la concessione del diritto di voto alle donne, lo scioglimento del senato – quasi per metà nominato per cooptazione da parte di vari enti pubblici e dal notabilato del paese (erede al trono, patriarca ortodosso, presidente dell’Accademia romena, ex presidenti del Consiglio ed ex mini- stri, ecc.)154 -, la possibilità di organizzare referendum popolari, la riorganizzazione della polizia e della gendarmeria, lo scioglimento dei tribunali speciali. Permanevano invece altri punti con- notati in senso progressista, come la lotta all’analfabetismo e per lo sviluppo dell’insegnamento primario.

Una svolta nella marcia di avvicinamento del PNŢ – e quindi al suo interno dei nazionali- sti transilvani, che lo controllavano saldamente – al potere fu la morte di re Ferdinando il 20 lu- glio 1927 e l’ascesa al trono di suo nipote Michele, vista l’abdicazione del suo discusso figlio Carol, che si trovava all’estero con l’amante Elena Lupescu. Considerata la minore età di re Mi-

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O. Goga, O limpezire, «Ţara noastră», 3 dicembre 1922, cit. in I. Scurtu, Istoria Partidului Naţional-Ţărănesc, cit., p. 23.

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chele, fu nominata dal governo liberale di Brătianu – il cui partito era uscito vittorioso dalle ele- zioni del 7 luglio 1927 - una reggenza, composta dal principe Nicolae, fratello di Carol, dal pa- triarca ortodosso Miron Cristea e dal presidente della corte di Cassazione Gheorghe Buzdugan. La morte di Ferdinando significava tuttavia la fine di un’epoca in cui il re aveva appoggiato co- stantemente il partito liberale, tanto più che lo stesso Ionel Brătianu morì il 24 novembre 1927, sostituito alla guida del partito e alla presidenza del consiglio dal fratello Vintilă, sprovvisto del carisma del leader appena scomparso. Della debolezza dei liberali approfittarono i nazional- contadini, costringendo alle dimissioni Vintilă Brătianu in seguito ad una mobilitazione a livello nazionale e uscendo largamente vincitori dalle elezioni del dicembre 1928, che portarono Iuliu Maniu alla presidenza del Consiglio.

Su impulso di Maniu, uomo di convinzioni democratiche, pareva che la Romania potesse beneficiare di un cambiamento di classe dirigente e di un programma abbastanza avanzato, in- cardinato sulla decentralizzazione amministrativa, cara sia all’ex partito contadino, che ai nazio- nalisti transilvani. Inoltre, fu capovolta la politica protezionistica liberale, adottando una politica delle “porte aperte” agli investimenti stranieri, nei campi industriale, bancario e minerario, con un contemporaneo abbattimento delle tariffe doganali. Tuttavia, benché fossero presi provvedi- menti nella direzione di un potenziamento del credito fondiario ed agricolo, l’idea di uno “stato contadino”, che il partito di Mihalache aveva portato avanti dal 1918 in poi, non fu realizzata, a causa del peso prevalente che il PNR continuava a rivestire all’interno del nuovo partito e alla sua impostazione più conservatrice.

A mettere fine all’esperienza di Maniu quale capo del governo fu la strategia da lui adot- tata nei confronti di re Carol: appoggiato inizialmente il suo ritorno in patria, sperando di guada- gnarne l’appoggio in funzione antiliberale, Maniu si inimicò il favore del re dettando precise condizioni al suo rientro, in modo particolare chiedendo che l’amante Elena Lupescu non lo se- guisse in Romania e che avesse luogo una riconciliazione con la moglie Elena di Grecia, da cui peraltro Carol aveva già divorziato nel 1928. Al rifiuto del re di sottostare a queste condizioni – pur essendo comunque rientrato in patria il 6 giugno 1930 -, il giorno successivo Maniu si vide costretto a dimettersi, venendo sostituito dal compagno di partito Gheorghe Mironescu, che ac- cettò il rientro del re, per poi cedere nuovamente il posto a Maniu. Tuttavia, la coabitazione fra Maniu e re Carol si rivelò impossibile: il rientro in patria nel mese di agosto della Lupescu e l’accusa di immoralità lanciata dal leader transilvano sul monarca, portarono nuovamente alle sue dimissioni l’8 ottobre 1930 e all’avvio di un inesorabile declino del partito nazional-

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contadino, che avrebbe condotto ad un decennio di instabilità politica e di ascesa dell’estremismo di destra155

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In questo contesto piuttosto confuso, i leader nazionalisti transilvani mantennero un pro- filo non univoco: se Maniu conservò posizioni di tipo moderato, altri, come Goga, proseguirono spediti verso destra. Il poeta-vate, che aveva rotto con il PNR nel 1919 dissentendo dalla politica regionalista di Maniu e auspicando una rapida ricollocazione dei nazionalisti transilvani nel qua- dro nazionale della Grande Romania, aveva già da allora impostato una traiettoria divergente da quella del suo ex partito. Dopo essersi dimesso dal cosiddetto “blocco parlamentare” che soste- neva il governo Vaida fra il 1919 e il 1920 - composto da PNR, partito contadino e partito nazio- nale democratico di Iorga - e dal consiglio dirigente della Transilvania, Goga era passato alla le- ga del popolo, diretta dal generale Averescu, uscito vincitore dalle elezioni del febbraio 1920 e che succedette nello stesso mese a Vaida alla presidenza del Consiglio. Fra marzo e aprile 1920 ci fu una fusione tra il gruppo di Goga, che contava 32 parlamentari transfughi dal PNR, e la lega del popolo, rinominata per l’occasione partito del popolo, un partito “d’ordine”, che godeva di un ampio consenso popolare, in modo particolare fra i contadini. Il governo Averescu fece da un la- to alcune concessioni di carattere demagogico agli stessi contadini, con la creazione di un comi- tato agrario presso la presidenza del Consiglio, dall’altro si attivò per stroncare con la forza le agitazioni sindacali che allora turbavano il paese, vietando gli scioperi nel settore pubblico e de- cretando l’obbligatorietà dell’arbitrato per i conflitti di lavoro nel settore privato, compito affida- to a specifiche commissioni ministeriali. Averescu procedette inoltre in direzione di un deciso accentramento amministrativo, sciogliendo il consiglio dirigente della Transilvania e i ministeri per la Bucovina e la Bessarabia, creando inoltre una commissione per l’unificazione da lui pre- sieduta, di cui facevano parte anche Goga e Tăslăuanu156. I cosiddetti “goghisti” motivavano la loro uscita dal PNR e la loro fusione con il partito di Averescu con argomentazioni di carattere patriottico: si trattava di un’adesione senza reticenze alla Grande Romania, di una testimonianza di attaccamento al trono, di riconoscenza di fronte al «românism del Regno», con l’obiettivo di realizzare una piena unità di sentire «fra romeni sull’intero territorio della patria»157

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Dopo la vittoria elettorale del partito del popolo nel giugno 1920, Goga si vide affidato il ministero dei Culti e delle Arti, che detenne fino al dicembre 1921. L’ultima esperienza di go- verno nell’ambito del partito di Averescu fu quella che vide Goga a capo del ministero dell’Interno, nel terzo gabinetto presieduto dal generale, dal marzo 1926 al giugno 1927. I rap-

155 Cfr. K. Hitchins, România, cit., pp. 441-451; F. Guida, Romania, cit., pp. 123-129; I. Scurtu, Istoria Partidului