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Fra radicalismo nazionale e totalitarismo

1. La crisi economica e le sue conseguenze

Nei primi anni Trenta la crisi economica aveva ormai investito tutta l’Europa centro- orientale, colpendo in modo particolare i paesi a base economica prevalentemente agraria, come la Romania, che nel decennio precedente avevano beneficiato del trend ascendente dei prezzi dei prodotti agricoli sul mercato mondiale, oltre che di ingenti afflussi del capitale occidentale. L’improvvisa interruzione delle relazioni creditizie che fece seguito alla crisi di liquidità europea innescata dal fallimento dei maggiori istituti bancari del continente, come il Kreditanstalt di Vienna, comportò una caduta dei prezzi, che, nel campo cerealicolo, si ridussero da un terzo alla metà rispetto a quelli del 1929. Le economie dell’Europa sud-orientale, che si basavano sostan- zialmente sull’esportazione di prodotti agricoli e materie prime, furono quindi profondamente scosse: i redditi da agricoltura avevano subito in Romania una riduzione del 57,6%. Furono quindi soprattutto i contadini a vedere aumentare la forbice fra prezzi agricoli e prezzi industriali e a non riuscire più a far fronte a tasse e debiti, trovandosi in una situazione spesso insostenibile1. L’economia romena, già aperta all’ingresso di capitali stranieri dai governi del PNŢ alla fine de- gli anni Venti, cui fece seguito una crescente presenza di tecnici occidentali per tenere sotto con- trollo l’andamento del paese, subì quindi un colpo piuttosto forte in seguito al dilagare della crisi economica verso il sud-est europeo. In particolare, i piani nazional-contadini diretti a favorire il libero scambio, che avevano portato all’abbattimento delle barriere doganali il I agosto 1929, fu- rono messi pesantemente in discussione, all’inizio di un decennio che vide invece il risorgere del protezionismo come strumento principe per mettere al riparo le economie dei singoli paesi dalla recessione. Alla fine dell’agosto 1929, il piano Young aveva alleggerito la situazione debitoria romena nei confronti delle grandi potenze, in qualità di stato erede dell’Impero austro-ungarico, cancellando la quota di riparazioni nei confronti dell’Italia e riducendo quelle verso la Francia, mentre restavano invariate le riparazioni dovute alla Romania da parte di Ungheria e Bulgaria. Nel luglio 1930 Bucarest riuscì a garantirsi un credito di 8 milioni di dollari dalla statunitense In- ternational Telephone & Telegraph Corporation (ITT), che ebbe come contropartita la conces- sione della gestione del sistema telefonico romeno per una durata di dieci anni. Il governo guida-

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Cfr. I.T. Berend – G. Ránki, Lo sviluppo economico nell’Europa centro-orientale nel XIX e nel XX secolo, il Muli- no, Bologna, 1978, pp. 287-313; B. Jelavich, History of the Balkans, vol. 2, Twentieth Century, Cambrigde Univer- sity Press, Cambridge, 1983, pp. 184-185.

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to da Gheorghe Mironescu, esponente dell’ala conservatrice del PNŢ, tentò di fronteggiare la cri- si economica, da un lato negoziando e contraendo un nuovo prestito internazionale il 10 marzo 1931, dall’altro avviando una pesante politica deflazionistica, richiesta espressamente dalle grandi potenze a garanzia della stabilità del leu. Tale politica si basava principalmente su drasti- che riduzioni agli stipendi e ai salari dei dipendenti pubblici, che subirono anche cospicui licen- ziamenti. Le dimissioni di Mironescu, seguite a imponenti dimostrazioni antigovernative in di- verse città del paese, portarono Carol II a nominare prima un governo di unità nazionale, soste- nuto sia dal PNŢ che dal partito liberale e guidato da Nicolae Titulescu, diplomatico di grande prestigio internazionale e presidente della Società delle Nazioni, poi un successivo governo diret- to dallo storico Nicolae Iorga. Questo governo proseguì nella politica deflazionistica inaugurata da Mironescu, riducendo ulteriormente salari e stipendi del comparto pubblico, ma dovette di- mettersi dopo la mancata concessione di un nuovo prestito internazionale.

Sebbene alle elezioni del I giugno 1931 il partito nazional liberale guidato da Ion Duca, dopo la morte di Vintilă Brătianu, aveva ottenuto un successo maggiore di quello nazional- contadino, che si trovava all’opposizione, segnando una ripresa rispetto agli anni di eclissi in cui era caduto dalla metà del decennio precedente, il re decise di affidare la direzione di un nuovo governo a Vaida-Voevod. Questi aveva negli ultimi anni formato in seno al PNŢ una corrente dichiaratamente di destra, che si differenziava in modo netto dall’ala contadina di sinistra, facen- te riferimento a Mihalache. Anche il suo atteggiamento nei confronti del monarca si differenzia- va da quello assunto dal PNŢ e da Maniu, irremovibile nella sua posizione di condanna sia verso la cosiddetta camarilla di cui il re si circondava, sia sulla condotta – ritenuta immorale – tenuta con l’amante Lupescu. Vaida da un lato ebbe un contegno benevolo nei confronti dell’estrema destra antisemita e i legionari, dall’altro proseguì la politica deflazionistica affrontando con il pugno di ferro le proteste di piazza che tali scelte provocarono. Contrasti fra Vaida e l’ala centra- le e sinistra del PNŢ, segnatamente Maniu e Mihalache, furono provocati da un nuovo accordo fra il governo romeno e la Società delle Nazioni, che, a garanzia della solvibilità internazionale del paese, aveva imposto a Bucarest la firma del “piano di Ginevra” il 28 gennaio 1933. Con questo accordo, la Romania abdicava ulteriormente alla propria sovranità nazionale in materia economica e fiscale, ponendosi sotto il controllo di “esperti” stranieri. Approvato dal parlamento il 12 aprile del 1933, il piano fu criticato da diverse parti politiche, incluso il PNŢ, che pure esprimeva il capo del governo e sosteneva l’esecutivo. Nell’agosto del 1933, il governo prese le distanze dalla politica delle porte aperte, che era stato un cavallo di battaglia dei nazional- contadini negli anni Venti, inaugurando, sulla scia di altri paesi europei, una politica di protezio- nismo doganale e interrompendo i pagamenti del debito estero. Una serie crescente di scioperi

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interessò dapprima la zona petrolifera localizzata nella valle della Prahova, poi il comparto fer- roviario e in modo particolare le officine “Griviţa” di Bucarest, che furono occupate da migliaia di lavoratori, appoggiati dal partito comunista, allora in clandestinità. Scioperi e occupazioni in- teressarono anche altre zone del paese e furono repressi con l’uso della forza e dello stato d’assedio. Il governo Vaida si mostrò particolarmente duro con gli scioperanti delle “Griviţa”: la maggioranza parlamentare nazional-contadina votò il 3 febbraio 1933 una legge con cui si impo- nevano lo stato d’assedio e la censura per una durata di sei mesi in tutte le principali città ope- raie. Basandosi su questa legge, Armand Călinescu, esponente dell’ala conservatrice del PNŢ e “uomo d’ordine”, allora sottosegretario al ministero degli Interni, ravvisando nella sollevazione operaia «il carattere di una rivoluzione»2, mise fine in modo brutale all’occupazione delle offici- ne “Griviţa”, facendo uso dell’esercito. Si contarono tre morti e 16 feriti in modo grave, tutti fra gli operai; inoltre, furono arrestati 2000 scioperanti. Tale politica antipopolare, che creò forti dis- sensi nell’opinione pubblica, rese impossibile il permanere di Vaida alla guida del governo, da cui lo stesso Carol II aveva preso le distanze, compromettendo sia il prestigio del PNŢ, sia la sua tenuta interna. Altri dissapori si erano creati fra il capo del governo e il suo ministro degli Esteri, Nicolae Titulescu, che aveva orientato la politica estera romena in senso antifascista e si era av- vicinato all’Unione Sovietica, anche con l’intenzione di ottenere finalmente da questa il ricono- scimento dell’annessione romena della Bessarabia, avvenuta alla fine della guerra. Vaida presen- tò le proprie dimissioni il 9 novembre 1933, mettendo fine al ciclo di governi nazional-contadini e avviandosi a diventare uno dei leader dell’estremismo di destra3. Un ulteriore elemento di frat- tura del partito di Maniu, che indebolì anche la credibilità del leader transilvano, fu costituito dal cosiddetto “affare Škoda”, relativo all’accusa, sollevata in parlamento dall’ex esponente della si- nistra del PNŢ, Lupu, di aver ricevuto tangenti dalla fabbrica cecoslovacca in cambio di com- messe per materiale militare. Il contratto, per l’acquisto da parte della Romania di mitragliatori e pistole, era stato concluso dal governo nazional-contadino di Maniu nel marzo 1930: l’accusa di Lupu e dell’opposizione – sostenuta dallo stesso Carol II, desideroso di colpire il suo avversario - era che gli incaricati dal governo avessero in modo sospetto respinto altre offerte più vantag- giose fatte da ditte concorrenti. Il processo, che si aprì in base al lavoro condotto da una commis- sione d’inchiesta parlamentare, si concluse con un’assoluzione per le tre persone che erano state coinvolte direttamente4. In polemica con la deriva governativa del PNŢ e il suo ripiegamento su posizioni moderate, vi fu la scissione di alcuni esponenti del partito, guidati da Grigore Iunian,

2 A. Călinescu, Însemnări politice 1916-1939, ediţie îngrijită şi prefaţată de Dr. Al. Gh. Savu, Humanitas, Bucureşti,

1990, p. 147.

3 Cfr. F. Guida, Romania, cit., pp. 129-138.

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che fondarono il 20 novembre 1932 il partito contadino-radicale5, con l’obiettivo di riportarlo al vecchio programma fondativo nazional-contadino. Ma la rottura più plateale fra le due anime – entrambe transilvane – del PNŢ fu causata dall’accettazione, da parte di Vaida, dell’offerta fatta- gli da Carol II di subentrare a capo del governo a Maniu, nuovamente dimessosi nel gennaio 1933 in polemica proprio con il sovrano. A questo atto, giudicato un affronto personale, Maniu reagì lasciando la presidenza del partito, sostituito dallo stesso Vaida. Si aprì così all’interno del- la vecchia guardia del nazionalismo transilvano una spaccatura insanabile: da un lato vi era Ma- niu, fermo nel suo rigore morale nella condanna della condotta del monarca e di tutto l’ambiente legato alla corte e ancorato ai principi democratici, dall’altro vi era Vaida, incline al compromes- so e soprattutto persuaso che le posizioni di destra radicale fossero l’unica ricetta valida per usci- re dall’impasse in cui si trovava il paese. Particolare clamore suscitò la pubblicazione da parte del nipote di Maniu, Zaharia Boilă, nel settembre 1933, di un manifesto distribuito a politici e giornalisti, oltre che per le strade di Cluj, in cui si accusava direttamente la camarilla di aver se- questrato la vita democratica del paese, addossando gran parte della responsabilità sull’amante del re. Questa denuncia, che ebbe una certa circolazione anche sulla stampa occidentale, contri- buì ulteriormente ad aumentare la tensione fra i due leader transilvani. Colpendo nello stesso tempo Maniu e dimostrando la propria fedeltà al sovrano, Vaida fece espellere Boilă dal partito. Il gruppo fedele a Maniu, riunitosi il 14 e 15 settembre a Sovata, in Transilvania, dichiarò nulla questa decisione, attaccando pesantemente il governo Vaida, accusato di comportamento antico- stituzionale. Il 7 novembre, inoltre, fece la propria comparsa a Cluj il giornale «România Nouă», diretto dallo stesso Boilă ed espressione del gruppo di Maniu: il sequestro di tutte le 40 mila co- pie del primo numero, ordinato dal governo Vaida, non fece che aumentare la tensione fra i due gruppi. Con l’avvio di una stretta collaborazione fra il gruppo di Maniu e quello della sinistra contadina guidato da Mihalache in funzione anti-Vaida, si giunse alla paradossale situazione per cui il governo, guidato dal presidente del PNŢ, non godeva più della fiducia della maggioranza del suo stesso partito. Sollecitato quindi dal comitato centrale del PNŢ alle dimissioni e persuaso dal re in questo senso, Vaida lasciò la guida del governo il 9 novembre.

La fine del governo Vaida, che significava anche la fine dell’esperienza dei governi na- zional-contadini e il ritorno al potere dei liberali, fu accolta con favore da Maniu, che vedeva messo da parte il suo rivale più temibile. Era d’altronde evidente che il vecchio partito nazionale transilvano, a distanza ormai di più di un decennio dall’ingresso nell’agone politico nazionale e da più di cinque anni legato al partito contadino, mostrava seri segni di sofferenza. La crisi poli- tica ed economica, innescata sia dalla congiuntura sfavorevole a livello internazionale, sia dalle

5 Partidul Ţărănesc-Radical.

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difficoltà interne del paese in seguito al rientro in patria di Carol e al suo tentativo di rendere la corte l’effettiva protagonista della vita politica, mettendo in posizione subordinata parlamento e governo, avevano indubbiamente contribuito a fare emergere le contraddizioni esistenti fra i vec- chi nazionalisti transilvani. La tradizionale posizione di denuncia morale verso i maneggi e la corruzione di Bucarest, che erano stati un punto fermo nell’ideologia del vecchio PNR, erano ora rimasti un’esclusiva del gruppo di Maniu, mentre l’ala destra di Vaida pensava piuttosto di ser- virsi delle mire autoritarie di Carol per indirizzare il paese verso un regime di tipo illiberale. Fal- lito per il momento questo tentativo con la fine della propria esperienza di governo e trascinato giocoforza l’intero PNŢ all’opposizione, Vaida iniziò a lavorare per costituire una nuova forma- zione, dichiaratamente di destra e disposta a trovare un’alleanza anche con i gruppi del naziona- lismo totalitario, come la LANC di Cuza e i legionari6.

La piattaforma programmatica del gruppo di Vaida era già stata chiarita con l’indirizzo che il leader transilvano aveva impresso al proprio governo: da un lato, egli aveva stroncato con la forza gli scioperi e le occupazioni messe in atto dagli operai dell’industria petrolifera di Ploieşti e delle ferrovie della capitale nel febbraio 1933, bandendo tutte le organizzazioni politi- che e sindacali accusate di fiancheggiare il disciolto partito comunista. Dall’altro, aveva tenuto un atteggiamento conciliante nei confronti dei legionari, emanando direttive orientate a colpire in modo indiscriminato il “radicalismo di sinistra”. Su queste basi, Vaida rilanciò l’idea, che era stata la bandiera della destra radicale fin dal primo dopoguerra, del numerus clausus, cioè la li- mitazione per legge della presenza di ebrei e minoranze in generale, nella pubblica amministra- zione e nel settore privato. Vaida coniò quindi un nuovo slogan, il numerus valahicus, che era sostanzialmente il vecchio numerus clausus: ebrei e minoranze avrebbero potuto occupare posti nell’amministrazione, nelle professioni e nelle università solo proporzionalmente alla loro effet- tiva presenza sul territorio romeno. Maniu e la maggioranza del PNŢ si opposero a provvedimen- ti di questo tipo, mentre il re, pur avendo inclinazioni autoritarie di destra, era preoccupato della vicinanza fra Vaida e i legionari, percepiti come una forza sovversiva e minacciosa per la stessa corte. A tutti era infatti nota l’avversione di Codreanu e della Guardia di Ferro per la camarilla ruotante intorno al monarca, considerata diretta dell’amante Elena Lupescu, ebrea, insieme a un gruppo di finanzieri e industriali ebrei come Nicolae Malaxa, Max Auşnit e Aristide Blank7.

Liquidata la scomoda esperienza nazional-contadina, Carol si orientò piuttosto verso i li- berali, che, sotto la guida di Ion Duca, si proponevano al paese come un partito d’ordine e con una consolidata esperienza di governo. In modo particolare, il partito liberale prometteva la ma-

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Cfr. Istoria românilor, vol. VIII, România intregită (1918-1940), Editura Enciclopedică, Bucureşti, 2003, pp. 306- 320.

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no dura verso tutte le organizzazioni sovversive, incluse quelle di destra, tenute al riparo dalle persecuzioni poliziesche del governo Vaida. Già nel corso della campagna elettorale, che aveva portato il partito liberale alla vittoria nelle elezioni del dicembre 1933 con il 51% dei voti, la Guardia di Ferro era stata dissolta con la forza dal governo, che aveva effettuato migliaia di arre- sti, autorizzando le forze dell’ordine a usare metodi anche non ortodossi nei confronti dei legio- nari detenuti. L’assassinio di Duca da parte dei legionari il 29 dicembre fece passare le redini del governo ad un altro esponente del partito, Gheorghe Tătărescu, che aveva tuttavia opinioni diver- se dal suo predecessore sulla gestione della crisi istituzionale e dell’ordine interno. Se Duca in- fatti aveva tenuta ben ferma, nei confronti del monarca, l’intenzione di preservare il paese da de- rive autoritarie, Tătărescu si era mostrato molto flessibile sia verso il re, sia verso l’estrema de- stra in generale. Il governo anzi permise la formazione di un partito, denominato Totul pentru Ţara (tutto per la patria), che altro non era se non la Guardia di Ferro sotto un nome diverso. In effetti, sia il capo del governo che il re speravano di poter utilizzare i nazionalisti totalitari come una massa di manovra allo scopo di realizzare i propri obiettivi politici, ovvero portare il paese verso un sistema autoritario. Lo stesso Carol, che osservava con estremo interesse le dittature di destra operanti in Europa – fascismo italiano e soprattutto nazismo tedesco -, aveva formato un’organizzazione in cui inquadrare la gioventù monarchica, detta Straja Ţarii (la guardia della patria)8.

La rottura dell’unità del PNŢ, alla cui presidenza era stato nominato, dopo le dimissioni di Vaida, Ion Mihalache, ebbe come conseguenza un tracollo elettorale, per cui alle elezioni del dicembre 1933 il partito raggiunse soltanto il 13,9% dei voti. Dall’opposizione, Maniu si dedicò completamente alla propria lotta personale contro la camarilla, «un’idra che non deve più esiste- re e deve essere eliminata»9. Uscito dal PNŢ, Vaida aveva da parte sua fondato un partito dichia- ratamente nazionalista etnicista, il Fronte Romeno10, tentando di competere con Maniu per l’egemonia sul nazionalismo romeno di Transilvania e riuscendo a portare con sé alcuni vecchi compagni di strada, come Aurel Vlad11.

2. Nazionalismo radicale transilvano e legionarismo

Con la decisione di fondare il Fronte Romeno, in realtà, Vaida non aveva fatto che porta- re a compimento un percorso da lui iniziato molto lontano, alla fine dell’Ottocento, quando a

8 Cfr. K. Hitchins, România, cit., pp. 451-454. 9

Cit. in I. Scurtu, Iuliu Maniu. Activitatea politică, Tipo Moldova, Iaşi, 2010, p. 75.

10 Frontul Românesc.