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Da nazionalismo non dominante a nazionalismo dominante

1. Il PNR e la conferenza della pace

La fine della guerra e la convocazione della conferenza della pace a Parigi proiettarono il PNR in una dimensione completamente nuova, per cui da partito di opposizione, l’organizzazione rappresentativa dell’élite nazionalista transilvana si trovò ad assumere respon- sabilità di governo. Oltre ad amministrare provvisoriamente le regioni nord-occidentali ex un- gheresi annesse, tramite un organismo denominato “consiglio dirigente” (l’autorità di governo dei romeni transilvani), in vista di una successiva cessione dei poteri allo stato romeno dopo le elezioni per l’assemblea costituente, i principali esponenti del PNR presero anche sostanzialmen- te in mano la difficile gestione delle trattative di pace alla conferenza di Parigi. Compito princi- pale della delegazione romena a Parigi era ottenere il riconoscimento da parte delle grandi po- tenze dei nuovi confini della Grande Romania, ovvero delle annessioni di Transilvania, Bucovi- na e Bessarabia, sanzionate tramite le “grandi assemblee nazionali” di Chişinău (27 marzo 1918), Cernăuţi (28 novembre 1918) e Alba Iulia (I dicembre 1918). Benché la strada non fosse in di- scesa, viste le rivendicazioni territoriali dei paesi confinanti, la Romania poteva fin dall’inizio contare su una disposizione generalmente benevola delle potenze dell’Intesa. Se il ministro degli Esteri inglese Balfour aveva espresso da parte britannica una «simpatia» per «il principio genera- le riguardante l’unificazione della Romania», il segretario di stato americano Robert Lansing aveva affermato che «il governo degli Stati Uniti si interessa delle aspirazioni del popolo rome- no, sia all’estero, che dentro i confini del regno»1

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La delegazione romena a Parigi, guidata da Ion I.C. Brătianu – primo ministro e ministro degli Esteri liberale - fra il 18 gennaio 1919 e il 21 gennaio 1920, annoverava fra i suoi membri numerose personalità politiche e “tecniche”, espressione del consiglio dirigente transilvano e quindi del PNR, che – come si vedrà – ne costituiva la preponderante maggioranza e ne esprime- va fra l’altro il presidente e ministro dell’Interno, nella persona di Iuliu Maniu. Se Maniu gestiva da Sibiu le delicate fasi della trattativa, Vaida-Voevod, che il 21 gennaio 1919 era stato delegato ufficialmente dal consiglio dirigente romeno come rappresentante degli interessi «della nazione

1 M. Racoviţan, Alexandru Vaida Voevod între Memorand şi Trianon (1892-1920), Ediţia a II-a, Sibiu, 2000, pp.

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romena di Transilvania, del Banato e di Ungheria» alla conferenza della pace2, affrontava diret- tamente il complesso nodo degli interessi contrapposti a Parigi. A fianco del nutrito gruppo na- zionalista, Maniu aveva pensato di inviare nella capitale francese anche il socialdemocratico Ion Flueraş, relegato in una posizione del tutto marginale, sperando così di spegnere «le illusioni dei compagni nostrani di fronte alla nobile Internazionale dell’Occidente [allude ai partiti sociali- sti]», che faceva, secondo Vaida, gli interessi delle potenze occidentali. Fra i componenti “tecni- ci” della delegazione vi erano esperti di statistica, silvicoltura, miniere, finanze, comunicazioni ed economia: il loro compito era, nelle intenzioni di Maniu, di fornire informazioni indispensabi- li nelle delicate trattative per il tracciato delle frontiere occidentali della Romania.

La delegazione del Regat mostrò fin dall’inizio, a differenza di quella transilvana, scarsa compattezza al proprio interno, dividendosi in due fazioni, che si ritrovavano una sulle posizioni di Brătianu e l’altra su quelle di Take Ionescu. Quest’ultimo, fondatore nel 1908 del partito con- servatore democratico, nato da una scissione con il partito conservatore, da cui si voleva diffe- renziare per un atteggiamento più aperto sulle riforme economico-sociali, in particolare nell’agricoltura, aveva assunto allo scoppio della guerra – diversamente dalla dirigenza del vec- chio partito conservatore - una posizione filointesista. Dopo l’occupazione della Romania da par- te degli Imperi centrali, Ionescu aveva scelto la via dell’esilio, costituendo a Parigi un consiglio nazionale romeno, riconosciuto dall’Intesa come autentica espressione del paese, a differenza del governo filotedesco di Marghiloman3. Alla conferenza della pace si creò un’obiettiva rivalità fra la delegazione governativa di Brătianu e quella dei transilvani da una parte, e Ionescu con il suo gruppo dall’altra. I dissapori fra i due uomini politici, da ricondurre più a questioni personali che a motivi di carattere ideologico, discendevano comunque da idee diverse sul modo in cui si sa- rebbero dovute affrontare le trattative: se Brătianu propendeva per una maggiore rigidità, anco- rando – similmente a quanto faceva Sonnino per l’Italia – le richieste territoriali romene a quanto stabilito nel trattato segreto fra Romania e Intesa del 1916, Ionescu si distingueva invece per il suo possibilismo. Egli, che credeva prioritaria una collaborazione fra Romania e stati balcanici, voleva infatti evitare di creare tensioni con la vicina Jugoslavia per il possesso del Banato, e ave- va concluso di propria iniziativa un accordo a Parigi con Pašić – capo della delegazione jugosla- va - in base al quale, annullando quanto precedentemente stabilito con l’Intesa, la Romania ri- nunciava a beneficio della Jugoslavia al Torontal occidentale, nella regione del Banato. Fu pro- prio sulla questione del Banato che si acutizzarono le tensioni fra Brătianu e Ionescu: questione che, al centro di una complessa contesa diplomatica, fu risolta tramite la mediazione delle altre

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Cfr. H. Salca – F. Salvan, Dr. Alexandru Vaida Voevod, corespondenţă. Publicată cu note, comentarii, indice şi studiu introductiv, Transilvania Expres, Braşov, 2001, p. 171.

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potenze con l’assegnazione alla Romania di Timişoara con la parte centrale del Banato e con il passaggio alla Jugoslavia della parte sud-occidentale della regione4.

Il gruppo transilvano a Parigi si schierò decisamente dalla parte di Brătianu, criticando in modo netto le posizioni di Ionescu, giudicate troppo arrendevoli nei confronti dell’Intesa: nella sua corrispondenza con Maniu, Vaida esprimeva una grande ammirazione per il leader liberale, che considerava un «genio», mentre disprezzava Ionescu, anche usando argomentazioni di carat- tere antisemita. Ionescu infatti – nelle parole di Vaida – si attorniava di un gruppo «ebreo- fanariota» e di tutti «i boiari autoctoni di Parigi». Nel gruppo di Ionescu vi era anche Octavian Goga, che aveva messo momentaneamente da parte il suo radicalismo nazionalista e, in continua polemica sia con il suo ex partito, sia con il partito liberale di Brătianu, si era accostato al partito conservatore democratico5. A parere di Ionescu e di Goga, il trattato del 1916, non più attuale, non poteva essere preso in considerazione dalle grandi potenze; viceversa, Brătianu sosteneva che il trattato fosse ancora in vigore6. Come riportava Caius Brediceanu – esponente del PNR, sottosegretario al ministero degli Esteri e delegato alla conferenza della pace - a Maniu, a un me- se dall’arrivo della delegazione del PNR a Parigi, Goga non aveva ancora preso contatti con i suoi ex compagni di partito:

Agli incontri occasionali ci critica, minimizza la nostra attività, che è molto intensa e molto più dura di altri popoli, - a causa della mancanza di uomini specializzati. […]

Goga si dà un’importanza malata, esagerata, - preparando in tal modo un’opposizione all’attuale governo [Brătianu], - per cui ha solo espressioni e gesti di compassione. – Egli è l’uomo che rifarà la na- zione romena ecc. ecc. – È sfruttato dal gruppo boiaro-ebreo di T. Ionescu, - che indebolisce la delegazio- ne ufficiale. […]

Per la cessione del Torontal è stato già a Bucarest, quando Brătianu negozia a San Pietroburgo!7

Da parte sua, Goga aveva rifiutato l’invito rivoltogli da Vaida e Brătianu a collaborare, accusando il PNR di eccessiva vicinanza al partito liberale8.

La delegazione romena affrontava problemi simili a quelli italiani: il tentativo infatti di far valere alternativamente le ragioni del wilsoniano principio di nazionalità e i trattati segreti preliminari all’entrata in guerra, anche qualora configgessero con lo stesso principio di nazionali- tà, portarono entrambe le delegazioni a tensioni con gli alleati. A differenza dell’Italia, tuttavia, la Romania poteva fare leva sulla propria posizione, strategica, in Europa sud-orientale per il

4 Cfr. F. Guida, Romania, cit., pp. 48-49; L. Boia, “Germanofilii”, cit., pp. 35-36. 5 Cfr. Vaida a Maniu, Parigi, 20-25 febbraio 1919, in AN, Fondul Vaida.

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Cfr. Brediceanu a Maniu, Parigi, 25 febbraio 1919, in AN, Fondul Vaida.

7 Brediceanu a Maniu, s.l. ma Parigi, 14 marzo 1919, in AN, Fondul Vaida. 8 Goga a Vaida, Parigi, 19 febbraio 1919, in AN, Fondul Vaida.

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contenimento della minaccia bolscevica. Fu in modo particolare la Francia, intenta a costruire un “cordone sanitario” per arginare quello che era visto come un imminente “contagio bolscevico” nell’Europa centrale, a mostrarsi particolarmente comprensiva nei confronti delle richieste terri- toriali romene. La proclamazione della repubblica dei Consigli in Ungheria nel marzo 1919, fon- data sulla collaborazione fra socialdemocratici e comunisti e ispirata direttamente alla Russia bolscevica, in cui il comunista Béla Kun, commissario del popolo agli Esteri, era la personalità di spicco, aumentò ulteriormente il peso specifico della Romania come baluardo dell’anticomunismo9

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Nella campagna militare diretta all’affermazione del proprio controllo sulla Transilvania, sostenuta politicamente sia dal consiglio dirigente transilvano che dal governo di Bucarest, pote- rono così fondersi assieme antimagiarismo e anticomunismo: su quest’ultimo punto, l’appoggio delle potenze dell’Intesa e particolarmente della Francia era praticamente incondizionato. Rivela- trice della disponibilità francese era la confidenza del maresciallo Ferdinand Foch – comandante in capo degli eserciti alleati - a Vaida:

cercate di essere forti, organizzatevi un esercito e fate ciò che credete essere gli interessi della Romania, senza più domandare e chiedere permesso, stando attenti solo a non porvi in conflitto con gli interessi del- la conferenza. Potete essere certi che poi troverete approvazione10.

Come scriveva Vaida a Maniu, la Romania doveva approfittare della situazione e il «pre- testo di avanzare oltre la linea fissata dagli alleati» doveva essere che «il bolscevismo non può essere schiacciato e respinto in altri modi»11. Bisognava quindi «approfittare e fare avanzare le truppe in Ungheria senza aspettare l’approvazione dell’Intesa», perché aspettare avrebbe com- portato l’arrivo a Iaşi degli «80 mila bolscevichi di Odessa e Kiev»12

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Il mio parere è che il bolscevismo magiaro ci può tuttavia fare grandi servizi, se lo sapremo sfrut- tare con abilità. Bisogna innanzitutto che sia isolato attraverso l’interruzione di ogni contatto con la Rus- sia e con il resto del mondo. […]

Un’Ungheria rappacificata con un governo che dispone di autorità ci serve, sì! tuttavia soltanto dopo la conclusione della pace13.

9 Cfr. P. Fornaro, Crisi postbellica e rivoluzione. L'Ungheria dei consigli e l'Europa danubiana nel primo dopoguer-

ra, Franco Angeli, Milano, 1987. Sul “cordone sanitario” cfr. K. Hovi, Cordon Sanitaire or Barrière de l’Est? The Emergence of the New French Eastern European Alliance Policy 1917-1919, Turku, 1975.

10 Cit. in S. Apostol, Iuliu Maniu şi delegaţia română la conferinţa de pace de la Paris din 1919, in «Muzeul Naţio-

nal», IX, 1997, p. 184.

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Vaida a Maniu, febbraio 1919, in AN, Fondul Vaida.

12 Vaida a Maniu, Parigi, 22 aprile 1919, in AN, Fondul Vaida. 13 Vaida a Maniu, Parigi, 28 aprile 1919, in AN, Fondul Vaida.

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Anche Caius Brediceanu suggeriva di «non aspettare l’ordine, ma di andare avanti», in quanto gli alleati «non prenderebbero così tragicamente un’avanzata, - al contrario tutti direbbero che abbiamo fatto bene»14.

Rispondendo ad uno sconfinamento dell’Armata Rossa ungherese oltre il fiume Tisa, che segnava la linea di demarcazione magiaro-romena, alla fine del luglio 1919 le truppe romene lanciarono una controffensiva che portò, fra il 3 ed il 4 agosto, all’occupazione di Budapest. La successiva formazione di quella che fu chiamata Piccola Intesa – l’alleanza filofrancese in Euro- pa centro-orientale, composta da Cecoslovacchia, Jugoslavia e Romania, mirante al mantenimen- to dello status quo territoriale e alla preservazione dell’“ordine borghese” di fronte al contagio rivoluzionario -, rese quasi ovvia la conclusione di una “pace cartaginese” nei confronti dell’Ungheria. Con il trattato del Trianon, firmato nel giugno 1920, veniva sancito il possesso romeno della Transilvania, oltre che l’annessione alla nuova repubblica cecoslovacca della Slo- vacchia e alla Jugoslavia di Croazia, Slavonia e Voivodina15.

Preoccupati di quella che veniva considerata una campagna propagandistica organizzata da ambienti “giudeo-comunisti” ungheresi, Maniu e Vaida avevano stabilito un centro di contro- propaganda romena a Berna, sia in quanto capitale del paese in cui avrebbe avuto sede la Società delle Nazioni, sia perché la Svizzera si era mostrata – secondo i romeni – particolarmente ospita- le nei confronti dei rappresentanti della repubblica dei Consigli. Già Goga del resto aveva teoriz- zato apertamente ancora nel corso della guerra l’importanza della propaganda come «giustifica- zione morale» della politica governativa per quanto riguardava le scelte belliche. «La guerra mo- derna», aveva scritto Goga, «non si può concepire senza un vasto arsenale morale»:

Perciò dal primo giorno in cui è risuonato il cannone, i belligeranti hanno messo reciprocamente al lavoro l’organizzazione della propaganda. Accanto al sangue che è corso, un altro nobile liquido è stato chiamato al contributo: l’inchiostro. […]

La dignità dei nostri prodi soldati e la giustizia della causa romena devono essere preservate all’estero attraverso una continua propaganda16

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Se sulla questione della Transilvania le potenze alleate avevano sostanzialmente già deci- so a favore della Romania, la situazione si presentava più difficile per i romeni riguardo al com- plesso tema delle minoranze etniche nel territorio della Grande Romania17.

14 Brediceanu a Maniu, Parigi, 11 marzo 1919, in AN, Fondul Vaida. Sottolineato nel testo. 15

M. Racoviţan, Alexandru Vaida Voevod, cit., pp. 203-204, 216-219.

16 Sânge şi cerneală, «România», 8 luglio 1917.

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La questione della tutela delle minoranze si rivelò da subito un ostacolo apparentemente insormontabile rispetto al mantenimento dei buoni rapporti fra Romania e alleati occidentali, in modo particolare sul problema della concessione della cittadinanza agli individui di religione ebraica, che le grandi potenze pretendevano. Tutti i nuovi stati nati nell’Europa centro-orientale, “eredi” territorialmente dell’Impero austro-ungarico, avevano infatti dovuto firmare, su richiesta dell’Intesa, dei trattati in cui venissero garantiti i diritti alle minoranze etniche e religiose, pre- senti in gran numero in tutte le nuove compagini statuali. Nei confini della Grande Romania, in particolare, il 28% della popolazione apparteneva alle minoranze nazionali, di cui il 7,9% erano ungheresi, il 4,1% tedeschi, il 4% ebrei, il 3,2% ruteni e ucraini, il 2,3% russi, il 2% bulgari, l’1,5% zingari, lo 0,9% turchi. In base alle statistiche del 1919, la popolazione transilvana si suddivideva nel modo seguente: romeni 57,12%, ungheresi 26,46%, tedeschi 9,87%, ebrei 3,28%, altre nazionalità 3,27%.

I sassoni e gli svevi, popolazioni di origine tedesca, tradizionalmente abituati ad essere una minoranza nazionale e tendenzialmente attestati su una linea di collaborazione con la nazio- nalità maggioritaria, si adattarono senza eccessivi problemi alla situazione postbellica: l’8 gen- naio del 1919 i rappresentanti dei sassoni, riuniti a Mediaş, accettarono all’unanimità l’atto di unione della Transilvania alla Romania, richiamandosi alle garanzie nei confronti delle minoran- ze sancite solennemente ad Alba Iulia. I sassoni si dichiararono, con tale atto, «cittadini della Grande Romania e […] sudditi fedeli del Regno di Romania»18

. Nel settembre 1921 si organizzò l’unione dei tedeschi di Romania, diretta da un consiglio nazionale presieduto da Rudolf Brandsch, con l’obiettivo di dare soluzione ai problemi di carattere culturale, religioso, politico ed economico della popolazione di lingua tedesca. Espressione politica dell’unione era il partito tedesco, presieduto da Hans Otto Roth, mentre gli organi di stampa più rilevanti della minoranza tedesca furono i giornali «Kronstäter Zeitung» e «Siebenbürgisch-Deutsches Tageblatt».

Nel novembre 1918, di fronte alla realtà di un’imminente occupazione romena della Transilvania, l’élite nazionalista seclera (ungherese) fondò a Budapest il consiglio nazionale dei secleri, assicurando inizialmente pieno appoggio al progetto federalista di tipo cantonale di Oszkár Jászi, ministro delle Nazionalità del governo democratico ungherese di Károlyi. All’assemblea nazionale seclera di Târgu Mureş, in Transilvania, fu anche presa in considerazio- ne l’idea di fondare una repubblica seclera indipendente, nel caso si prefigurasse un’annessione della Transilvania alla Romania. La cosiddetta “legione seclera”, composta da veterani magiari transilvani del disciolto esercito austro-ungarico, tentò di resistere fino all’ultimo in armi alle

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Cfr. I. Scurtu, România şi marile puteri (1918-1933). Documente, Editura Fundaţiei “România de Mâine”, Bucu- reşti, 1999, pp. 22-23; H. Salca – Dr. F. Salvan, Dr. Alexandru Vaida Voevod, corespondenţă 1918-1919, cit., pp. 168-169.

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truppe romene, subendo tuttavia una pesante lacerazione dopo la formazione della repubblica ungherese dei Consigli, i cui leader guardavano con sospetto al nazionalismo e all’indipendenza dei legionari. Una parte dei secleri si unì tuttavia alle forze dell’Armata Rossa ungherese pur di difendere i patri confini dai romeni, ma la gran parte preferì unirsi al governo controrivoluziona- rio di Szeged19. Inizialmente su una posizione di “resistenza passiva”, per alcuni versi simile a quella tenuta dal PNR fino alla svolta attivista del 1905, i leader politici magiari di Transilvania decisero di seguire una politica attiva a partire dal 1919, con la fondazione del partito democrati- co degli ungheresi di Transilvania, sostenuto dal giornale attivista «Uj Világ» (nuovo mondo) di Cluj. Alle elezioni del novembre 1919, però, solo una minoranza della popolazione ungherese prese parte al voto. Tuttavia, dopo la conclusione del trattato del Trianon nel giugno 1920, gli ungheresi di Transilvania iniziarono a considerare la loro presenza all’interno dello stato romeno come un dato di fatto di lunga durata, se non definitivo, adattandosi ad una partecipazione alla vita politica della Grande Romania, tramite il partito ungherese di Romania, fondato nel dicem- bre 1922. Questo partito, controllato dalla vecchia aristocrazia magiara, poggiava su una rete di solide istituzioni bancarie, su cooperative, sulla Chiesa (cattolica e riformata calvinista), oltre che su una miriade di associazioni culturali20.

Anche fra i civili vi erano state numerose forme di resistenza passiva: molti funzionari pubblici ungheresi decisero ad esempio di rassegnare le dimissioni, sperando in tal modo di met- tere in difficoltà il consiglio dirigente transilvano, inizialmente sprovvisto di personale qualifica- to romeno. La riforma agraria varata dal governo romeno fra il 1918 e il 1921, inoltre, aveva colpito in Transilvania soprattutto i grandi proprietari terrieri ungheresi e aveva sollevato la spi- nosa “questione degli optanti”, cioè il caso dei circa 260 grandi proprietari fondiari della Transil- vania che avevano optato dopo la guerra per la nazionalità ungherese ed erano stati espropriati conformemente alla legislazione romena. Tutto ciò aumentò considerevolmente la tensione fra Ungheria e Romania, mentre il partito ungherese di Romania si unì al governo di Budapest nel protestare presso la Società delle Nazioni e la Corte internazionale di giustizia dell’Aia, accusan- do il governo romeno di violare il trattato del Trianon e il trattato delle minoranze21.

Gli ebrei si trovavano in una situazione particolare: quelli che erano vissuti prima del 1918 in Romania avevano una formazione culturale romena, quelli transilvani si erano invece as- similati agli ungheresi, mentre i loro correligionari di Bessarabia e Bucovina erano parzialmente

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Cfr. G. Volpi, Stella rossa e sacra corona. La legione seclera in Transilvania, in A. Basciani – R. Ruspanti (a cu- ra), La fine della Grande Ungheria fra rivoluzione e reazione [1918-1920], Beit, Trieste, 2010, pp. 207-228.

20 I. Scurtu, Discours introductif. Les minorités nationales de Roumanie entre 1918-1925, in I. Scurtu – L. Boar

(eds.), Minorităţile naţionale din România 1918-1925. Documente, Arhivele Statului din România, Bucureşti, 1995, pp. 25-33; A.L. Ivan, La question des nationalités de Transylvanie, cit., pp. 90-105.

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assimilati ai russi e agli austriaci, conservando tuttavia una forte identità culturale yiddish. Più in particolare, gli ebrei del vecchio Regat si dividevano in due comunità, una valacca di matrice se- fardita, di tipo “occidentale”, ovvero più integrata ed acculturata, concentrata soprattutto a Buca- rest, l’altra moldava, di tipo “orientale”, culturalmente e socialmente arretrata, molto numerosa e in gran parte estranea alla popolazione romena. Gli ebrei di Bessarabia e Bucovina erano del tipo “orientale”, ma avevano vissuto in contesti profondamente diversi: i primi nell’oppressivo Impe- ro russo, i secondi nella tollerante Austria. Questi ultimi, inoltre, potevano vantare un’élite ger- manizzata nel capoluogo Cernăuţi (l’austriaca Czernowitz). Anche nelle regioni ex ungheresi le comunità ebraiche non costituivano una realtà omogenea: nella regione settentrionale di Crişana- Maramureş risiedevano ebrei del tipo “orientale”, mentre nei centri urbani della Transilvania