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Dal nazionalismo radicale al nazionalismo totalitario

La fine della guerra comportò l’annessione da parte della Romania di territori appartenuti all’Impero asburgico, la Transilvania e la Bucovina, e all’Impero russo, la Bessarabia: l’annessione ebbe una sanzione di carattere democratico, perché fu formalmente richiesta dalle assemblee rappresentative delle regioni interessate. Il PNR, che aveva ripreso la propria attività nel dicembre 1917, pur scegliendo inizialmente di non esporsi troppo, il 12 ottobre 1918 si era pronunciato in favore dell’autodeterminazione per «la nazione romena di Ungheria e Transilva- nia». Nella prima metà di novembre vi erano stati dei contatti fra il nuovo governo democratico ungherese di Mihály Károlyi e il PNR, tramite il ministro delle nazionalità magiaro Oszkár Jászi, il quale aveva proposto un sistema di autonomie cantonali basato sul modello svizzero, ma i ro-

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meni insistevano per la piena autodeterminazione, per cui questi tentativi fallirono. Nell’assemblea di Alba Iulia il primo dicembre 1918, alla presenza di circa centomila delegati venuti da tutta la Transilvania, si decise l’unione della regione alla Romania, mantenendo però una forma di autonomia fino a che non fosse stata eletta un’assemblea costituente che avesse or- ganizzato il nuovo stato su una base liberal-democratica. Il governo provvisorio della Transilva- nia avrebbe avuto sede a Sibiu e sarebbe stato affidato ad un consiglio dirigente. Il governo ro- meno da parte sua riconobbe l’unione, attraverso un decreto dell’11 dicembre.

Il primo dopoguerra tuttavia si rivelò complesso per il paese: il governo romeno, guidato dal liberale Brătianu, faticò non poco ad ottenere la ratifica dell’annessione delle nuove terre da parte delle potenze dell’Intesa, che inizialmente considerarono nullo il trattato di alleanza di Bu- carest del 1916, tenuto conto del fatto che la Romania aveva concluso una pace separata con gli Imperi centrali nel 1918. Seguirono grandi tensioni, in particolare per la questione della Transil- vania, fra il governo di Bucarest e il consiglio supremo delle forze alleate, che aveva fissato una linea di demarcazione, violata tuttavia dall’esercito romeno che si spingeva verso nord. La cadu- ta del governo Károlyi, la proclamazione il 21 marzo 1919 della repubblica sovietica ungherese guidata da Béla Kun e l’occupazione di Budapest da parte dell’esercito romeno il 4 agosto con la conseguente caduta del governo comunista, furono i passi successivi dell’affermazione della Romania come potenza regionale nell’Europa sud-orientale42.

Messe le grandi potenze di fronte al fatto compiuto sulla questione del confine nord- occidentale, il governo romeno dovette affrontare un altro spinoso problema, relativo alla tutela delle minoranze nazionali, quella ebraica in particolare. La Romania, la cui costituzione del 1866 prevedeva che agli ebrei fosse negata la cittadinanza, aveva promulgato nell’agosto 1918, per imposizione degli Imperi centrali con cui era stato appena firmato l’armistizio, una legge che ri- conosceva la piena cittadinanza agli ebrei nati in Romania. Tuttavia, la caduta del governo filo- tedesco di Marghiloman, la ripresa delle ostilità e la vittoria dell’Intesa avevano portato all’annullamento di questa decisione da parte del governo Brătianu il quale, sapendo che anche l’Intesa avrebbe imposto una legge analoga, decise di giocare d’anticipo. La legge varata da Brătianu, anche se teoricamente prevedeva che «gli abitanti del regno, maggiorenni, senza ecce- zione di religione, e che non godono di pieno diritto di cittadinanza», avrebbero potuto ottenerla provando «di essere nati in Romania e di non essere stati mai sottoposti ad alcuno stato stranie- ro», sollevò molte critiche da parte dell’Unione nazionale degli ebrei. Si obiettava non solo che in tal modo si sarebbero esclusi dalla cittadinanza gli ebrei delle terre appena annesse, ma anche che le procedure previste erano molto complesse e richiedevano un lungo e costoso iter presso i

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tribunali. Furono le pressioni dell’Alleanza israelita di Parigi sulla Francia e le grandi potenze a forzare il governo romeno a promulgare il 22 maggio 1919 un nuovo decreto legge, più liberale del precedente, che sostituiva l’iter presso i tribunali con una semplice dichiarazione del richie- dente.

Nel quadro dei trattati di pace, il governo romeno, guidato ora dall’esponente del PNR Vaida-Voevod, dovette anche accettare uno “statuto delle minoranze”, sottoscritto il 9 dicembre 1919, che prevedeva fra l’altro piena libertà di culto ed emancipazione politica per tutti gli ebrei. Inoltre, fu forzato ad inserire nella nuova costituzione del 1923 un articolo in cui si accordavano i diritti civili e politici a tutti gli ebrei della Grande Romania43.

La questione della tutela delle minoranze nazionali ebbe un’importanza considerevole nella genesi del nazionalismo totalitario romeno in Transilvania nel primo dopoguerra. A differenza del regno di Romania prebellico, in Transilvania gli ebrei godevano dei diritti civili e politici dal 1867, cioè da quando il principato era stato annesso al regno di Ungheria in seguito al compro- messo austro-ungarico. Questo fatto aveva portato ad un forte incremento del numero di ebrei, raddoppiato fra il 1869 e il 1910, i quali tendevano a concentrarsi nelle zone urbane. Il processo di modernizzazione in Transilvania fu stimolato in buona parte dal capitale e dall’iniziativa ebraici e, d’altronde, la tradizionale diffidenza della piccola aristocrazia ungherese verso le atti- vità imprenditoriali e la mancanza di una solida classe media sia nella popolazione ungherese che in quella romena avevano lasciato il campo libero all’iniziativa economica ebraica. La forte influenza a Budapest dei circoli liberali e protestanti portò, nonostante una decisa opposizione degli ambienti conservatori e cattolici, ad ulteriori provvedimenti tesi a garantire la totale equipa- razione della religione ebraica in tutti i campi, tanto da giungere, alla fine del secolo, alla libera- lizzazione delle conversioni dalle confessioni cristiane all’ebraismo e al salario statale per i rab- bini.

Si verificò così una progressiva propensione degli ebrei all’assimilazione nella società un- gherese, che non significò una rinuncia alla propria religione, quanto piuttosto una crescente omologazione in campo linguistico e culturale, analogamente a ciò che accadeva nel resto dell’Impero asburgico. Tuttavia, aumentava la resistenza di una parte della popolazione: i ceti declassati, coloro che risentivano della concorrenza ebraica nell’agricoltura, nell’industria, nel commercio, nelle professioni liberali, nell’istruzione, oltre alla piccola nobiltà magiara. Anche se, come si è detto, la Romania postbellica fu forzata dalle grandi potenze ad accettare lo “statuto

43 C. Iancu, Evreii din România (1866-1919). De la excludere la emancipare, Hasefer, Bucureşti, 2006, pp. 66-68,

286-290; Id., Emanciparea evreilor din România (1913-1919). De la inegalitatea civică la drepturile de minoritate.

Originalitatea unei lupte începand cu războaiele balcanice şi până la Conferinţa de Pace de la Paris, prefaţă de C.-

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delle minoranze” e a concedere la cittadinanza agli ebrei di Transilvania – insieme a tutti gli ebrei del regno – permaneva, nell’opinione pubblica romena, una diffusa ostilità nei confronti degli ebrei. La stessa costituzione del 1923, che prevedeva l’emancipazione della popolazione ebraica, fu in parte vanificata dalla legge voluta dal ministro della giustizia, il liberale Mârzescu (febbraio 1924), che limitava la cittadinanza agli ebrei in grado di dimostrare di avere avuto la propria residenza in Transilvania prima del I dicembre 1918. Tale legge restrittiva, che impedì a migliaia di famiglie ebree di ottenere la cittadinanza, restò in vigore fino al 1938, quando il go- verno presieduto da Octavian Goga inaugurò, sull’esempio tedesco, una serie di leggi dichiara- tamente antisemite. Ha notato lo storico Lucian Nastasă che, «nonostante tutti i provvedimenti costituzionali sulle questioni legate alle minoranze etniche, nei termini dell’alterità religiosa la discriminazione confessionale ha continuato a manifestarsi come principio legislativo»44. In par- ticolare, l’articolo 22 della costituzione del 1923, che definiva la chiesa ortodossa come «domi- nante», sancì, fino alle leggi apertamente discriminatorie adottate dal governo Goga nel 1938, un perdurante e oggettivo stato di subalternità delle minoranze religiose e soprattutto degli ebrei nel contesto della Grande Romania. È rivelatore il fatto che, nonostante l’assetto costituzionale for- malmente liberale, «la Romania è stato uno di quegli stati governati dalle élite nazionali e in cui le funzioni pubbliche sono rimaste più o meno chiuse agli allogeni, specialmente agli ebrei»45. Gli ebrei di Transilvania, di fronte al diverso atteggiamento che le istituzioni romene avevano manifestato nei loro confronti rispetto a quelle ungheresi prebelliche, reagirono da un lato man- tenendo una forte identificazione con la cultura ungherese, dall’altro entrando nelle file del mo- vimento sionista. Non è quindi casuale che proprio in Transilvania, luogo di così forti tensioni interetniche, ebbe inizio il movimento giovanile di estrema destra e antisemita, partito dagli stu- denti di medicina dell’università di Cluj e dilagato poi nel resto della Romania, che segnò simbo- licamente il passaggio dal nazionalismo radicale prebellico al nazionalismo totalitario interbelli- co46.

L’unificazione romena costituì una netta discontinuità per tutte le popolazioni coinvolte: il raggiungimento dell’unità nazionale comportò nuove tensioni di carattere etnico e sociale, dovu- te all’incorporazione di consistenti minoranze che, generalmente, erano più urbanizzate, con un livello culturale medio più alto e più moderne dei romeni. Inoltre, le istituzioni di carattere de- mocratico sul modello occidentale che si diede la Romania postbellica, in modo particolare la

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L. Nastasă, Imposibila alteritate. Note despre antisemitismul universitar din România, 1920-1940, in Identi-

tate/alteritate în spaţiul cultural românesc. Culegere de studii editata de Al. Zub, Editura Universitaţii “Alexandru

Ioan Cuza”, Iaşi, 1996, p. 347.

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L. Nastasă, Imposibila alteritate, cit., p. 347.

46 L. Gyémánt, Evreii din Transilvania. Destin istoric. The Jews of Transylvania. A Historical Destiny, Institutul

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costituzione del 1923, che garantiva eguali diritti a tutte le minoranze, furono generalmente per- cepite come un’ingiusta imposizione delle grandi potenze, in quanto radicalmente aliene rispetto al “carattere nazionale” romeno. Questi fattori, uniti alla crisi economica postbellica e alla perdu- rante sperequazione e arretratezza cronica del paese, lentamente avviato dalla fine del XIX seco- lo sulla strada dell’industrializzazione, ma che restava ancora eminentemente agricolo47

, favori- rono l’affermarsi di un nazionalismo diffuso a tutti i livelli politici e sociali. Tale generico nazio- nalismo, che aveva costituito del resto un denominatore comune a tutti i partiti politici romeni antebellici – del vecchio regno come della Transilvania -, si colorò sempre più di tinte radicali. Gli elementi caratterizzanti del nazionalismo radicale postbellico continuavano ad essere gli stes- si degli anni prebellici, con la differenza che le nuove condizioni date dall’annessione di vasti territori con un’alta presenza di elementi “allogeni” avevano estremizzato la logica ami- cus/hostis. La tradizionale esaltazione sămănătorista del carattere rurale dei romeni, che rispec- chiava la realtà di una popolazione prevalentemente contadina e poco scolarizzata, portava alla denuncia del carattere straniero e antinazionale delle città transilvane, viste come un ricettacolo di ungheresi ed ebrei, e alla richiesta, da parte del nazionalismo radicale, di una politica di “ri- conquista” dei centri urbani da parte dell’elemento nazionale romeno. Il caso della già citata ro- menizzazione forzata dell’università di Cluj nel 1919 è emblematico dell’ideologia del nuovo nazionalismo totalitario che costituì l’evoluzione del nazionalismo radicale antebellico e che eb- be come catalizzatore il movimento degli studenti dell’università transilvana. Come è stato scrit- to, «in Romania, le origini del fascismo si trovano nel movimento degli studenti nazionalisti», la cosiddetta «generazione del 1922»48.

Il movimento degli studenti si colloca nel contesto appena delineato, a cui c’è da aggiunge- re la profonda crisi del sistema universitario romeno, scarsamente finanziato e mal gestito, e il senso di frustrazione provato da coloro che avrebbero dovuto rappresentare la futura élite intel- lettuale del paese. Gli studenti si sentivano infatti trascurati dalla classe politica di Bucarest e ab- bandonati nel loro progetto di riconquista etnica delle zone urbane transilvane, in quella che ve- niva cioè considerata una vera e propria lotta per la sopravvivenza contro l’elemento magiaro ed ebraico. La protesta studentesca denunciava però anche un’effettiva carenza di finanziamenti, strutture e risorse dell’università di Cluj, insufficienti a far fronte al grande incremento delle im- matricolazioni. Davanti a questi problemi, prese sempre più forza la richiesta del “numerus clau-

47 Nel primo dopoguerra, circa tre quarti della popolazione romena erano impiegati nell’agricoltura. Cfr. J. Roth-

schild, East Central Europe between the Two World Wars, University of Washington Press, Seattle-London, 1974, p. 285.

48 I. Livezeanu, Cultural Politics in Greater Romania. Regionalism, Nation Building & Ethnic Struggle, 1918-1930,

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sus”, ovvero di una limitazione delle iscrizioni per le minoranze etniche, ma in modo particolare per gli ebrei, in modo da privilegiare gli studenti romeni.

La nuova generazione nazionalista si differenziava da quella che si è definita radicale, in quanto si proponeva una netta rottura con la tradizione del nazionalismo romeno nella sua con- danna di tutta la classe dirigente, accusata di aver svenduto la nazione agli stranieri firmando la costituzione del 1923 e garantendo i diritti civili alle minoranze. Inoltre, il nuovo nazionalismo si caratterizzava, rispetto a quello antebellico, per un antisemitismo fanatico, coniugato all’anticomunismo, essendo sia gli ebrei che i comunisti considerati la quinta colonna dei nemici esterni, magiari (con riferimento in particolare al periodo di Béla Kun) e russi.

Nei primi anni del dopoguerra, sull’onda della rivoluzione boscevica, alcuni scioperi e ma- nifestazioni operaie svoltisi in particolare a Bucarest avevano messo in allarme il blocco conser- vatore tradizionalmente preponderante nella classe politica romena e avevano fatto gridare al pe- ricolo comunista. Anche in alcune università, in particolare quella di Iaşi, nella Moldavia così vi- cina al temuto gigante sovietico, sembravano essere particolarmente attivi studenti e docenti di simpatie comuniste. Ad essere messo sotto accusa era ancora una volta l’elemento ebraico. Co- dreanu, allora studente di legge all’università di Iaşi e prossimo a diventare uno dei leader, in- sieme al transilvano Moţa, del movimento degli studenti nazionalisti, così descrisse la situazione che trovò all’ateneo moldavo nell’autunno 1919:

Tranne un gruppo molto ristretto, guidato da A.C. Cuza, Ion Gavanescul e Corneliu Sumuleanu, i professori dell’università erano sostenitori delle stesse idee di sinistra. Uno degli esponenti della maggio- ranza, il prof. Paul Bujor, dichiarò persino in termini lapidari, in pieno Senato di Romania: «La luce viene dall’oriente» - cioè d’oltre Nistro. Questo atteggiamento dei professori, che consideravano ‘barbarie’ ogni idea e posizione nazionalista, produceva l’effetto di disorientare completamente gli studenti. Di costoro, alcuni sostenevano il bolscevismo apertamente; altri – i più – dicevano: ‘Volenti o nolenti, il tempo del nazionalismo è passato: l’umanità va a sinistra!’49

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La reazione studentesca alla carenza di strutture e a ciò che era percepito come un com- plotto ebraico-bolscevico contro la nazione romena iniziò a Cluj e in particolare al Centro stu- dentesco “Petru Maior” – luogo di ritrovo dei giovani nazionalisti - e alla facoltà di medicina, e fu generato da un fatto apparentemente marginale: gli studenti di etnia romena chiesero che i loro colleghi ebrei usassero i cadaveri di correligionari per effettuare dissezioni50. Principale organiz- zatore del movimento studentesco fu Ionel I. Moţa il quale, insieme a Codreanu, fu uno dei capi

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C.Z. Codreanu, Per i Legionari. Guardia di Ferro, Edizioni di Ar, Brindisi, 1984, p. 30.

50 I. Livezeanu, Cultural Politics, cit., p. 269; V. Orga, Moţa. Pagini de viaţă. File de istorie, Editura Argonaut,

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carismatici del nazionalismo totalitario interbellico in Romania. Anche suo padre, Ion Moţa, un arciprete ortodosso, ricoprì un ruolo importante nella genesi del nazionalismo totalitario e fu anzi uno dei più importanti trait d’union, insieme a Octavian Goga, fra il nazionalismo radicale pre- bellico e l’estremismo degli anni successivi. Collaboratore di «Tribuna» e acceso difensore dei memorandisti durante il processo dalle pagine del giornale «Foaia Poporului»51, di cui era redat- tore capo dal 1893, Ion Moţa aveva assunto, due anni dopo, la direzione della «Revista Orăştiei». Qui aveva radicalizzato le proprie posizioni nazionaliste e – nei limiti della censura – si era bat- tuto per l’emancipazione nazionale romena dall’“oppressione magiara”, iniziando contempora- neamente a denunciare il pericolo rappresentato dagli ebrei, giudicati «la fillossera del mondo cristiano». Dopo aver diretto il giornale «Libertatea», sottotitolato in modo non equivoco «Fo- glio di lotta nazionale», Moţa, allo scoppio della guerra mondiale, si era rifugiato a Bucarest, do- ve aveva stretto legami con i fuoriusciti romeni, ma in particolare con l’ala più radicale: Octa- vian Goga, Onisifor Ghibu e Octavian Tăslăuanu. Alla fine della guerra, ritornato ad Oraştie, in Transilvania, dove aveva continuato ad esercitare il sacerdozio, Moţa aveva riaperto il giornale «Libertatea» e, dall’interno del PNR, aveva proseguito la sua campagna antimagiara, avversando ogni concessione alla minoranza ungherese, accusata di collusione con ebrei e bolscevichi. Fu proprio dalle pagine di «Libertatea» che Moţa padre appoggiò entusiasticamente l’azione del movimento studentesco guidato dal figlio, Ionel I. Moţa, pubblicando anche, tramite la sua pic- cola tipografia, la traduzione romena dei Protocolli dei Savi di Sion, scritta dal giovane Moţa. Il sostegno dato al movimento studentesco, portò Ion Moţa ad aderire al nazionalismo antisemita di A.C. Cuza, docente di diritto a Iaşi, in stretto rapporto con Codreanu, che fu anche suo allievo, e fondatore nel 1923 della lega per la difesa nazional-cristiana52. L’antisemitismo radicale della le- ga, che si batteva per l’espulsione degli ebrei dalla Romania, provocò un iniziale raffreddamento fra Moţa e il PNR, ma lo stesso leader del partito, Maniu, tentò di trovare un compromesso con il prete nazionalista che tuttavia, negli anni successivi, si sarebbe spostato sulle posizioni della de- stra più estrema53.

Dove fosse il legame fra il nazionalismo radicale dei primi del secolo e la nuova destra lo spiegava molto chiaramente lo stesso Ion Moţa, testimoniando al processo Codreanu nel 1938:

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Il giornale del popolo.

52 Liga apărării naţional-creştine (LANC). 53 Cfr. V. Orga, Moţa, cit., pp. 35-162.

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io sono un militante politico da quarant’anni e mi sono sempre riconosciuto, anche nella vecchia Ungheria, in posizioni di estrema destra. Allora eravamo tutti estremisti di destra, e non sarebbe potuto essere in maniera diversa, perché altrimenti non avremmo potuto conservare la nostra identità nazionale54.

Come è stato già osservato nelle pagine precedenti, vi era, nonostante le indiscutibili pro- fonde differenze fra il nazionalismo democratico di Iuliu Maniu e della maggioranza del PNR e il nazionalismo totalitario nato con il movimento degli studenti, un elemento di affinità, ovvero il comune culto dell’idea nazionale. Del resto, sempre al processo Codreanu, lo stesso Maniu ebbe modo di spiegare che fra il suo partito55 e la Guardia di Ferro c’erano differenze sostanziali: «La Guardia di Ferro è totalitaria ed è contro la democrazia. Il partito del signor Codreanu è un parti- to antisemita; il nostro partito non è antisemita. Oltre a questo, ci differenzia il metodo di lotta politica». Tuttavia, vi erano anche dei punti in comune fra questi due partiti:

Il signor Codreanu crede, come me, che l’idea nazionale sia il fattore vitale nello sviluppo di una nazione. Egli crede, come me, che lo Stato con tutto il suo potere debba perfezionare le qualità impareg- giabili del popolo romeno, sostegno dello Stato, e che lo Stato debba dare al popolo (mettendogli a dispo- sizione i mezzi materiali, culturali e sociali) la possibilità di compiere la sua missione in questa parte del mondo.

È vero che il signor Codreanu, come ho dichiarato, ha nella sua concezione un elemento, quello dell’antisemitismo, che io non approvo; ma l’idea fondamentale è identica56

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Posto che il nazionalismo ha costituito per la Romania e, generalmente, per tutti i paesi dell’Europa orientale e sud-orientale, un punto di riferimento obbligato di ogni movimento poli- tico, compreso il socialista57, è di fondamentale importanza effettuare una distinzione fra le di- verse fasi in cui il nazionalismo stesso si sviluppò. Per quanto riguarda il nazionalismo romeno