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Il nazionalismo in Transilvania all’inizio del Novecento

1. L’ipotesi federalista

Dopo il fallimento del Memorandum e l’archiviazione definitiva della speranza di un inter- vento dell’imperatore a difesa dei diritti romeni nei territori sotto dominio ungherese, l’ultimo scorcio dell’Ottocento si caratterizzò per la ricerca di vie alternative. Queste vie passavano quasi obbligatoriamente per l’attivismo, che infatti divenne l’opzione ufficialmente abbracciata dal PNR dopo il congresso del 1905, e per la ricerca di un’intesa con le altre popolazioni “oppresse” del Regno di Ungheria. Vi era in verità anche un’altra opzione, che fu coltivata ancora per qual- che anno da alcuni esponenti più accesamente antirussi del nazionalismo romeno, i quali, diffi- dando dei popoli slavi – possibili alleati della Russia nel nome del panslavismo – continuavano a preferire un accordo con il governo di Budapest. Queste idee, che risalivano al XVIII secolo, erano basate sulla convinzione che romeni e ungheresi fossero degli «alleati naturali» in quanto convivevano nello stesso territorio ed erano rimasti isolati assieme in un «mare di slavi» per mil- le anni. Negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento, i leader romeni di Transilvania continuaro- no a dare parecchio credito all’idea della «missione comune» di romeni e magiari di fronte al pe- ricolo slavo in Europa centro-orientale. Poiché – si pensava – gli ungheresi da soli non sarebbero riusciti ad arginare la marea slava e tedesca, in cambio dell’aiuto romeno si sarebbe giunti ad un compromesso su base federale con Budapest. Vincenţiu Babeş, uno dei principali fautori dell’intesa romeno-magiara, criticò aspramente il governo ungherese, accusandolo di non capire il «pericolo mortale» costituito dalla Russia e dal panslavismo per i due popoli1.

Questa opzione, sostenuta con forza anche da altri leader del movimento nazionale rome- no, come Slavici, si dimostrò alla prova dei fatti illusoria e non perseguibile, in quanto il governo ungherese non mostrò nemmeno alla vigilia della prima guerra mondiale alcuna propensione in questo senso. La scelta dell’ala maggioritaria del nazionalismo romeno di Transilvania dalla fine dell’Ottocento fino alla guerra fu allora quella del federalismo su base linguistica: scelta che comportava appunto una collaborazione con gli “slavi” della Transleitania: slovacchi, serbi e croati. Con i croati, come si è detto, la collaborazione non diede molti frutti, godendo questa na-

1 K. Hitchins, International aspects of the Rumanian national movement in Hungary, 1867-1895, in Der Berliner

Kongress von 1878. Die Politik der Grossmächte und die Probleme der Modernisierung in Südosteuropa in der Zweiten Hälfte des 19. Jahrhunderts, Herausgegeben von Ralph Melville und Hans-Jürgen Schröder, Franz Steiner

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zione di uno status privilegiato di autonomia che Zagabria temeva di compromettere nel caso di un’unità di azione troppo stretta con gli altri popoli. Inoltre, i leader croati erano diffidenti nei confronti del movimento nazionale serbo di Croazia e delle sue spinte secessioniste nella dire- zione di un’unione con i serbi dell’Ungheria meridionale. Invece, si realizzò un’intesa proficua con slovacchi e serbi, che portò in seguito alla creazione di uno stesso gruppo al parlamento di Budapest.

Un passo importante fu il congresso delle nazionalità tenutosi a Budapest nel 1895. In real- tà la collaborazione fra romeni e slavi non era una novità assoluta: già nel corso dei fatti rivolu- zionari quarantotteschi avevano avuto luogo delle iniziative comuni. Il 26 aprile 1849 i rappre- sentanti di romeni, slovacchi e serbi avevano presentato un memorandum al governo austriaco chiedendo la creazione di entità territoriali autonome nell’ambito della monarchia; nel giugno 1861 i capi del movimento nazionale slovacco avevano incluso nel loro memorandum - in cui ri- chiedevano l’autonomia slovacca – un appello alla solidarietà fra le nazionalità non magiare dell’Ungheria, come via maestra per ottenere il rispetto dei diritti costituzionali. Inoltre, fra la fi- ne degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, i deputati romeni e serbi del parlamento ma- giaro avevano costituito, seppure per breve tempo, un “partito delle nazionalità” e nel 1886 alcu- ni rappresentanti delle popolazioni romena, slovacca, croata, slovena e ceca si erano incontrate a Praga e a Vienna per esaminare le possibilità di un’azione comune nella direzione di una riorga- nizzazione su base federale della monarchia asburgica. D’altronde, nello stesso programma del PNR del 1881 si parlava della necessità di una stretta cooperazione con le altre nazionalità “fra- terne” dell’Ungheria.

Nella conferenza del PNR tenutasi nell’ottobre 1890 il comitato esecutivo del partito stabilì di instaurare contatti con slovacchi e serbi. Fin dall’inizio, i croati si erano mostrati reticenti, mentre gli slovacchi si manifestarono gli alleati più attivi e collaborativi. A Vienna il 10 e l’11 gennaio 1893 si tenne un vertice allo scopo di esaminare la possibilità di avviare un’alleanza operativa, a cui parteciparono il presidente del PNR Raţiu, Emil Brote e Aurel Popovici in rap- presentanza dei romeni, Pavel Mudroň, Miloš Štefanovič, Samo Daxner e Matuš Dula, leader del partito nazionale slovacco, per gli slovacchi, e Emil Gavrila, capo del partito radicale serbo, per i serbi. Nel frattempo, a Vienna, Aurel Popovici stabiliva delle relazioni più strette fra studenti romeni e slavi e un giornalista slovacco, Gustav Augustini, iniziò a lavorare, su invito di Brote, alla redazione di «Tribuna», in cui perorò un’alleanza romeno-slovacca. Nemmeno con i serbi tuttavia si trattava di un’intesa semplice: i due principali partiti serbi, i radicali guidati da Gavrila e i liberali, presieduti da Mihailo Polit-Desančić erano divisi sia fra di loro sia all’interno dei ri-

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spettivi partiti e la stessa Chiesa serbo-ortodossa era profondamente diffidente nei confronti della Chiesa romeno-ortodossa, che aveva ottenuto un proprio statuto separato nel 18652.

Nonostante tutte queste difficoltà, il 10 agosto 1895 il congresso delle nazionalità si aprì a Budapest, alla presenza di quasi quattrocento delegati: presidenti furono eletti George Pop de Băseşti, Mudroň e Polit-Desančić. I delegati affermarono di voler rispettare l’integrità territoriale della corona di Santo Stefano, ma proponevano una riorganizzazione dell’Ungheria su una “base naturale”, cioè con un criterio etno-linguistico. Nelle regioni, nelle municipalità e nei comuni ru- rali in cui prevaleva una determinata popolazione, avrebbero dovuto prevalere anche i funzionari appartenenti alla stessa etnia; inoltre, la loro lingua avrebbe dovuto essere utilizzata nell’amministrazione e nella giustizia, mentre l’autonomia ecclesiastica avrebbe dovuto essere mantenuta ed estesa, senza tener conto dei confini politici. Per permettere ad un tale sistema di funzionare realmente, i delegati chiedevano il suffragio universale e l’elezione diretta dei funzio- nari attraverso il voto segreto, la libertà di associazione e di stampa e l’abolizione dei distretti elettorali discriminatori per le nazionalità non magiare. Approvato questo programma, il con- gresso nominò un comitato esecutivo di dodici persone, composto in modo paritario da romeni, slovacchi e serbi, cui sarebbe spettato il compito di convocare periodici congressi, elaborare pro- poste d’azione comune e pubblicizzare la causa dei popoli oppressi del Regno d’Ungheria3

. Anche se l’attività del comitato esecutivo non portò ai risultati che si erano sperati e l’azione più incisiva dei rappresentanti delle tre nazioni fu esercitata dal solo gruppo parlamenta- re a Budapest nei dieci anni che precedettero la prima guerra mondiale, l’abbandono delle riven- dicazioni di carattere storico-giuridico di un ripristino dell’autonomia transilvana e l’approdo alla concezione di una cooperazione fra “popoli oppressi” era la spia di un cambiamento sostanziale che stava avendo luogo nel nazionalismo romeno di fine secolo. Dietro tutto ciò vi era un più stretto legame fra gli intellettuali transilvani e i movimenti politico-culturali coevi dell’Europa occidentale e centrale e della stessa Romania, che comportò la penetrazione di un’idea moderna del concetto di nazione. Già Alexandru Mocioni (o Mocsonyi nella dizione ungherese), politico e filosofo romeno che operò in particolare nel Banato, oltre che per molte legislature nel parlamen- to di Budapest, aveva sostenuto i moderni principi nazionali negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento, ispirandosi al federalismo belga e svizzero. Tuttavia, il primo a elaborare un’idea moderna di nazione fu Aurel C. Popovici, assurto alla notorietà internazionale dopo la pubblica-

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La frattura fra i serbi era dovuta al fatto che, mentre il gruppo serbo nella Bačka (in ungherese Bácska, regione at- tualmente al confine fra Serbia e Ungheria) e del Banato, avendo legami stretti con il governo di Belgrado, guidato dal partito radicale, condivideva la strategia dello stato serbo di collaborazione con i magiari in funzione antiaustria- ca, i liberali, guidati da Polit-Desančić, erano fortemente antimagiari: cfr. H. e C. Seton-Watson, The Making of a

New Europe. R.W. Seton-Watson and the last years of Austria-Hungary, Methuen, London, 1981, p. 39.

3 K. Hitchins, Conştiinţă naţională şi acţiune politică la românii din Transilvania (1868-1918), Editura Dacia, Cluj,

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zione nel 1906 del suo Die Vereinigten Staaten von Groß-Österreich, in cui aveva illustrato il suo progetto di federalizzazione dell’Impero austro-ungarico, anche sotto l’influenza del celebre De la démocratie en Amérique di Alexis de Tocqueville, che gli aveva lasciato una positiva im- pressione sulla costituzione degli Stati Uniti4. La novità del pensiero di Popovici consisteva nel fatto che egli era stato il primo romeno a trattare la questione nazionale in Ungheria applicando le categorie dei social-darwinisti e quindi l’evoluzionismo deterministico. La legge di natura, che regolava in modo vincolante l’evoluzione della società umana, avrebbe portato necessariamente – secondo Popovici – al trionfo dell’idea di nazione e alla riorganizzazione nazionale dell’intera Europa. Per ragioni di carattere pratico, Popovici rinunciò a chiedere uno smembramento su base nazionale dell’Ungheria, ma auspicò invece una riorganizzazione federale di tutto l’Impero au- stro-ungarico, in cui le singole unità territoriali sarebbero state costituite con un criterio di tipo etnico. Era, questa di Popovici, la prima chiara archiviazione delle rivendicazioni storico- giuridiche che avevano costituito la base dell’azione politica dei romeni di Transilvania dalla fi- ne del XVIII secolo. Il ricorso ai diplomi imperiali e al corpus legislativo-costituzionale dell’Impero fu sostituito definitivamente con i diritti etnici “naturali”.

Il progetto di riorganizzazione federalista dell’Impero elaborato da Popovici non era tutta- via il primo in tal senso: precedentemente, in particolare nella temperie degli eventi rivoluzionari del 1848-49, erano stati prospettati i primi pioneristici piani di riforme in senso federale basate su criteri etnici e non più storico-giuridici. Il deputato liberale tedesco Ludwig von Löhner, lo scrittore croato Ognjeslav Utješenović Ostrožinski, lo sloveno M. Kaučič e il ceco František Pa- lacký – gli ultimi due in particolare nel corso della dieta di Kremsier (Kroměříž) in Moravia – avevano presentato piani più o meno complessi di riorganizzazione su base costituzionale e fede- rale, anche se solo Palacký aveva preso in considerazione tutto l’Impero, compresa quindi anche la parte ungherese, mentre gli altri avevano escluso l’Ungheria e la Transilvania5

. Probabilmente, da questo punto di vista, il progetto di Palacký deve aver poi influenzato, direttamente o indiret- tamente, quello elaborato da Popovici quasi sessant’anni dopo.

L’idea della cooperazione con gli altri “popoli oppressi” di Ungheria era stata abbozzata da Popovici già nel 1892 con la sua Replica6, il documento con cui gli studenti universitari romeni dell’Impero avevano replicato al memoriale degli studenti ungheresi e in cui avevano difeso le ragioni del movimento nazionale romeno. Nella Replica, concepita in primo luogo da Popovici,

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Cfr. V. Neumann, Federalism and Nationalism in The Austro-Hungarian Monarchy: Aurel C. Popovici’s Theory, «East European Politics and Societies», 16 (2002), n. 3, p. 886.

5 R.A. Kann, The Multinational Empire. Nationalism and National Reform in the Habsburg Monarchy 1848-1918,

Columbia University Press, New York, 1950, vol. II, Empire Reform, pp. 11-35.

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Come già ricordato nel primo capitolo, il titolo intero del documento era Cestiunea română în Transilvania şi Un-

garia. Replica junimii academice române din Transilvania şi Ungaria la “Răspunsul” dat de junimea academică maghiară “Memoriului” studenţilor universitari din România.

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si era evidenziato il fatto che romeni e slavi erano accomunati dalla loro situazione di soggezione all’interno del regime oppressivo ungherese, per cui sarebbe stata necessaria una collaborazione reciproca, pena l’estinzione di tutte queste nazioni. Vero è che ancora in quegli anni Popovici supportava le proprie tesi con la tradizionale paura del panslavismo: una cooperazione fra romeni e slavi dell’Impero avrebbe allontanato gli stessi slavi dalla Russia e sarebbe quindi tornata utile ai romeni. In ogni caso, fu anche per impulso delle teorie esposte da Popovici che ebbe luogo il già citato congresso delle nazionalità del 18957.

Nato a Lugoj, nel Banato, nel 1863, Popovici aveva fatto i propri studi superiori sia nella sua città natale, al liceo ungherese, sia poi nella città transilvana di Beiuş, imparando da autodi- datta diverse lingue europee: tedesco, ungherese, francese e italiano. Dal 1885 studente di medi- cina a Vienna e poi a Graz, aveva iniziato ben presto ad approfondire la questione delle naziona- lità nell’Impero asburgico, considerando la soluzione federale come la più appropriata per raffor- zare l’Impero stesso e per tutelare al contempo i diritti delle singole nazioni. Assurto a notorietà per la già citata Replica, ed eletto presidente di «România Jună», la società degli studenti romeni dell’Austria-Ungheria, a partire dal 1891 Popovici era diventato uno dei dirigenti più in vista del PNR, oltre che direttore del giornale «Tribuna». Perseguitato dalle autorità ungheresi, nel 1893 si rifugiò in Romania, a Bucarest, dove insegnò tedesco continuando peraltro ad occuparsi dei pro- blemi relativi all’idea di nazione. La pubblicazione nel 1906 a Lipsia del volume Die Vereinigten Staaten von Groß-Österreich proiettò Popovici nel mondo dell’alta politica imperiale, conferen- dogli la dignità di teorico di un rigoroso quanto rivoluzionario progetto di federalizzazione dell’Impero asburgico. Entrato ben presto in contatto con l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria e noto fin dagli anni Novanta per le sue convinzioni federaliste, Popovici in- staurò con il circolo del Belvedere (il palazzo di Vienna in cui risiedeva l’arciduca) una frequen- tazione regolare. Convinto dallo stesso Popovici, Francesco Ferdinando ebbe un incontro con re Carlo I di Romania nel palazzo reale di Sinaia per affrontare direttamente la questione dei rome- ni di Transilvania. Nel 1912 Popovici si trasferì a Vienna, per stare in contatti più stretti con i capi di tutti i partiti nazionali dell’Impero, allo scopo di moltiplicare gli sforzi con l’obiettivo della riforma costituzionale federale. La morte dell’erede al trono in seguito all’attentato di Sara- jevo mise tuttavia bruscamente fine a questi progetti e Popovici, abbandonata Vienna, si stabilì prima a Zurigo poi a Ginevra. Il piano di federalizzazione fu tuttavia ripreso ancora una volta – l’ultima – prima dall’imperatore Carlo I nell’ottobre 1918, poi dal governo democratico unghere- se di Mihály Károlyi nel novembre, nel tentativo di scongiurare un completo smembramento dell’Impero e della Grande Ungheria, ma troppo tardi.

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Sulla questione nazionale, considerata nell’ambito dell’Impero asburgico sempre in una prospettiva federale – era questa l’unica soluzione che Popovici vedeva – lo studioso romeno pubblicò alcuni lavori di rilievo come La question roumaine en Transylvanie et en Hongrie (1892) e La question des nationalités et les modalités de sa solution en Hongrie (1894)8. Nel suo lavoro più celebre, quello del 1906, Popovici aveva trasfuso tutto ciò che aveva fino ad allora studiato, dando alla luce l’opera probabilmente più significativa sulla relazione fra questione na- zionale e federalismo elaborata nell’Impero asburgico, oltre a quelli esposti fin dalla fine del se- colo dalla socialdemocrazia austriaca (Congresso di Brünn del 1899). Il volume Die Vereinigten Staaten si apriva affermando esplicitamente di basarsi su «un’intera letteratura […] scritta nel secolo XIX sulle nazionalità e le particolarità che le caratterizzano, sulle basi su cui sono giusti- ficate le aspirazioni nazionali, in una parola sul principio dell[a] nazionalità», definita «un’idea politica eminentemente moderna», che Popovici faceva risalire alla rivoluzione francese. A sua volta, la nazionalità veniva identificata con «un popolo, che vive sulla stessa terra, parla la stessa lingua e, raggiunta la coscienza della propria omogeneità nazionale, aspira ad un ideale politico- culturale comune». Per lo studioso romeno, il concetto di nazione non si fermava al dato lingui- stico, ma si estendeva in modo organico ad una collettività intera, che prendeva la forma di «un’unità morale». Libertà ed uguaglianza, concetti che la rivoluzione francese aveva applicato all’individuo, dovevano ora essere applicati alle nazioni. Fra «centralismo estremo» e «federali- smo estremo» esisteva una «via di mezzo», che conduceva allo stato federale, il quale a sua volta doveva essere sia centralista, «nella misura in cui può essere garantita la stabilità e il potere di un’autorità», sia federalista o decentralizzato, «nella misura in cui è necessità indispensabile per il libero sviluppo delle nazionalità giunte alla maturità». Popovici respingeva la qualifica di «se- paratismo» o di «irredentismo» per il suo progetto federalista: si trattava invece di una naturale, deterministica «tendenza dei popoli una volta rianimata la coscienza, a formare individualità po- litiche autonome, sui loro territori nazionali9 dentro la nostra monarchia».

Per la riforma costituzionale che sarebbe stata indispensabile a questa nuova sistemazione dell’Impero, Popovici proponeva la divisione dell’Impero stesso in quindici nazioni, ognuna composta da una sola nazionalità10. Tali «unità etnico-geografiche» sarebbero così state delle en- tità omogenee «come pochi degli stati nazionali [allora esistenti] in Europa». Riconoscendo il fatto che in molte delle nazioni dell’Impero sarebbero rimaste delle minoranze più o meno gran-

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J.C. Dragan, Aurel C. Popovici, l’européiste, in J.C. Dragan, O. de Habsbourg, M. Pons, A. Randa, F. Wolf (eds.),

Aurel C. Popovici, Fondation Europeenne Dragan, Milan, 1977, pp. 27-48.

9 Corsivo nel testo.

10 L’intero territorio dell’Impero austro-ungarico, con l’eccezione della Bosnia-Erzegovina, avrebbe dovuto essere

diviso nelle seguenti entità politiche: Austria tedesca, Boemia tedesca, Moravia tedesca (Slesia), Boemia, Ungheria, Transilvania, Croazia, Galizia occidentale, Galizia orientale, terra degli slovacchi, Ucraina, Voivodina, terra dei se- cui, Tirolo e Trieste.

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di, in modo particolare in Boemia, Ungheria e Transilvania e nei territori serbi, si sarebbe ottenu- to comunque che «in ognuna di queste nazioni […] la nazione dominante formerebbe la grande, soverchiante maggioranza della popolazione». Tuttavia, queste «isole etniche» non avrebbero potuto «turbare il carattere nazional-unitario delle rispettive nazioni», le quali, d’altra parte, avrebbero dovuto proteggere le minoranze etniche da una «snazionalizzazione forzata». Quanto alla lingua ufficiale di comunicazione all’interno dell’Impero, questa avrebbe dovuto essere il te- desco, da usarsi in tutti gli organi del governo con sede a Vienna, nel parlamento, nell’esercito e nella marina, oltre che come lingua di collegamento fra gli stati nazionali e l’autorità imperiale. L’Impero così rimodellato avrebbe preso il nome di Stati Uniti della Grande Austria, unificati dal punto di vista doganale e ispirati ai principi liberal-democratici, con un parlamento eletto a «suf- fragio universale, diretto e segreto»11.

Una simile impostazione mirante ad una riforma federale dell’Impero era condivisa dalla parte maggioritaria della giovane leva del PNR, e venne portata avanti da Alexandru Vaida- Voevod, legato strettamente al Belvedere di Vienna. Vaida-Voevod era nato nel 1872 nel villag- gio di Olpret (l’odierna Bobîlna), vicino a Dej, in una famiglia romena antica e agiata. Dopo aver fatto gli studi liceali a Bistriţa e a Braşov, formatosi nell’ambiente tedesco di quelle scuole, pro- seguì la propria formazione culturale alla facoltà di medicina dell’Università di Vienna, entrando in contatto con l’associazione studentesca romena «România jună», di cui divenne poi presiden- te. Cominciò a partecipare attivamente alla vita politica della Vienna fin-de-siècle, come entusia- sta sostenitore del presidente del partito cristiano-sociale Karl Lueger, contribuendo alla sua ele- zione nel 1895 a sindaco della capitale. Lueger, personaggio estremamente carismatico, era riu- scito a guadagnare intorno alla propria figura il consenso della piccola borghesia viennese, fa- cendo concorrenza contemporaneamente ai socialisti tramite una «caratteristica miscela di inter-