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10. LO SCHEMA STRUTTURALE GOTICO

10.2 Il gotico

10.2.3 Dalla chiesa romanica alla cattedrale gotica

Qoèlet, re di Gerusalemme e figlio di Davide, per esprimere una verità assoluta, ripeteva spesso la seguente frase:- ciò che è stato, sarà, e ciò che si è fatto si rifarà -. In altre parole, non c’è niente di nuovo sotto la luce del sole. Tale semplice concetto presenta molte sfaccettature ed interpretandolo secondo l’ottica di un ingegnere, consente di affermare che:- La saggezza dei costruttori che per secoli hanno utilizzato sempre gli stessi materiali è manifestata dall’idee che, ridotti i fatti alla loro essenza, si rivelano costanti. Così è per la volta ogivale e per le crociere che ne derivano: esse sono reperibili un pò ovunque nel bacino mediterraneo e più in là, a Oriente, in aree culturali islamiche fino all’India; nè è da escludere che altri studi possano produrre nuove informazioni o far spostare temporalmente all’indietro le improbabili date cui taluni, come scrive il Panofsky appendono i propri arazzi della storia-. (Di Pasquale, 2003)

A conferma di tale autorevole opinione, si può ricordare che alcuni tra i più importanti elementi caratteristici dell’architettura gotica e cioè:

arco a sesto acuto,

volta a crociera costolonata, contrafforte,

arco rampante,

fossero presenti anche in costruzioni erette in tempi e luoghi differenti, rispetto a quelli che si definiscono propri del gotico. Quello che è certo è che tali soluzioni tecniche trovarono una propria sistematica organizzazione nello stile diffusosi nel nord Europa tra il XII e il XIII secolo, costantemente adottato per la costruzione di cattedrali ed abbazie.

La necessità di una più intensa illuminazione degli ambienti, insieme a quella di una più accentuata verticalità, determinò il passaggio dall’architettura romanica a quella gotica.

Nelle chiese romaniche venivano molto usate le volte a botte, le cui spinte gravavano sulle pareti longitudinali delle navate e soprattutto sui muri perimetrali dell’edificio, che dovevano reggere le azioni esercitate dalle volte sia della navata centrale, sia di quelle laterali. Infatti, la mezza volta a botte che copriva il matroneo serviva per equilibrare la spinta laterale della copertura centrale, scaricandola sul muro esterno, anche perchè quello interno non poteva fornire una grande resistenza, a causa delle aperture che consentivano il passaggio tra la navata e le navatelle. La conseguente impossibilità di realizzare delle finestre sul muro perimetrale, essendogli totalmente affidata la stabilità della copertura, aggiunta alla presenza del matroneo (o tribuna) al secondo piano, rendeva scarsamente illuminati gli interni delle chiese del periodo.

Nelle chiese gotiche invece, venne raggiunta una maggiore illuminazione grazie all’utilizzo della volta a crociera, i cui costoloni assorbivano la spinta e la scaricavano sui pilastri della navata centrale e di quelle laterali, consentendo l’apertura di finestre nei muri perimetrali che, privati della funzione di sostenere l’azione divaricante, non correvano più il pericolo di ribaltarsi e potevano diventare così più sottili. Inoltre, i costruttori gotici scelsero di sacrificare la tribuna per realizzare le alte vetrate del cleristorio ed un piccolo, ma luminoso corridoio, chiamato triforio, che si affacciava sulla navata centrale.

Lungo lo sviluppo longitudinale delle chiese romaniche, le pareti erano esternamente irrigidite da lesene che si estendevano in verticale dal piano campagna fino alla linea di gronda, determinando un incremento di spessore nei muri laterali. Queste però non erano sufficienti a sopportare l’azione spingente di una copertura voltata e quindi furono progressivamente trasformate in contrafforti

che, sporgendosi molto di più dalla parete, garantivano la stabilità al sistema spingente, grazie al principio delle resistenze passive (cfr.2.3). Nel periodo gotico, la sempre maggiore altezza della navata centrale rispetto a quella delle laterali, raggiunta grazie all’utilizzo dell’arco a sesto acuto, richiese l’innalzamento dei contrafforti e l’introduzione di elementi strutturali che raccordassero questi alle alte pareti finestrate. Nacque così l’arco rampante, un semiarco che, scavalcando la navata laterale, aveva la funzione strutturale di esercitare una controspinta equilibrante a quella della copertura della navata centrale, secondo il principio delle resistenze attive (cfr.2.3); posto all’esterno della fabbrica, e articolato su vari livelli nel caso di più di due navate laterali, divenne uno dei simboli caratterizzanti lo stile gotico.

A proposito di archi rampanti Viollet-le-Duc, alla voce Arc del suo “Dictionnaire”, disegnava gli schizzi di figura 10.7 e affermava che:- Gli archi rampanti primitivi sono generalmente formati da un quarto di cerchio, ma i loro conci sono spessi e pesanti; resistono all’azione della spinta delle volte con il loro peso, e aggiungono un nuovo carico sulle pile in A, a quello delle volte. Allorché si comprende meglio la funzione degli archi rampanti si vede che si può opporre alla spinta obliqua una resistenza obliqua; e non soltanto evitare di sovraccaricare il pilone d’un nuovo peso ma addirittura alleggerirlo di una parte di quel peso. D’altra parte era stato osservato che gli archi rampanti, essendo tracciati con archi di cerchio, si rialzavano in B quando la spinta delle volte era considerevole e quando il peso dei conci dell’arco non era esattamente calcolato per conservare la curvatura. Perciò gli archi rampanti furono

centinati con un arco di cerchio con centro all’interno della navata; assolvevano

Figura 10.7: arco rampante (Viollet-le-Duc, 1854)

così la funzione d’un puntello non opponendo più una forza passiva a una forza attiva, ma sopportando una parte del peso della volta e, contemporaneamente alla funzione di azione laterale, scaricando il pilastro. Se per ragioni di economia, o altro, le spalle non potevano avere un grande spessore, gli archi rampanti diventarono dei veri e propri pilastri inclinati, leggermente incurvati, opponenti alle spinte una resistenza considerevole e riportando queste spinte quasi verticalmente sui contrafforti-. (Viollet-le-Duc, 1854-59)

Altri elementi costruttivi caratteristici introdotti dal gotico furono i pinnacoli, che svolgevano una funzione stabilizzante secondo il principio delle resistenze passive, aggiungendo al contrafforte il proprio peso in modo da aumentarne la resistenza al ribaltamento. Infatti, se si considera la composizione delle forze in gioco, riportata in figura 10.8, si nota come il peso della statua o della guglia, posta sopra al contrafforte (Pn), si somma ad esso (Cf) e con la spinta S dà origine ad una risultante R (in rosso) più vicina alla verticale. Bisogna anche evidenziare che la presenza di costoloni nelle volte a crociera determinò la trasformazione dei pilastri che, nel periodo trattato, subirono una notevole complicazione della sezione. Dal semplice pilastro cruciforme,

si passò a quello quadro affiancato da semicolonne, per arrivare a quello tipico del gotico: il pilastro composto

polistilo, riportato nell’immagine 10.9. Questa forma era

correlata alla presenza delle nervature intradossali della volta che assorbivano i carichi della copertura e fasciavano il pilastro, per scaricare i flussi di forze fino al terreno.

È chiaro che ogni elemento formale utilizzato era scelto in virtù di una motivazione funzionale:

arco a sesto acuto ridurre la spinta alle imposte e permettere una maggiore altezza; Figura 10.8: risultante spinta-contrafforte- pinnacolo Figura 10.9: sezione pilastro composto polistilo (Sparacio,1999)

volta a crociera costolonata convogliare i carichi ai 4 vertici della campata e assolvere i muri da oneri strutturali;

pilastro composto polistilo trasmettere gli sforzi al terreno tramite le colonnine (prolungamenti delle nervature della volta);

arco rampante contrastare la spinta della copertura e trasmetterla ridotta e verticalizzata al contrafforte;

contrafforte aumentare le dimensioni del piedritto per garantirne la stabilità.

Si possono osservare le caratteristiche appena descritte nella figura 10.10, che riporta il confronto tra le sezioni tipiche di una chiesa romanica ed una gotica, essendo:

NL: la navata laterale; NC: la navata centrale; S: la spinta; Tr: la tribuna; Cf: il contrafforte (nella chiesa romanica è riportato ma non era sempre presente); Trf: il triforio; Ar: l’arco rampante; pn: il pinnacolo; clc: la carpenteria in legno del tetto.

Nella cattedrale gotica non rimaneva nulla del carattere massiccio e pesante della chiesa romanica, ma anzi la materia sembrava dissolversi, data l’assenza di muri perimetrali sostituiti da vetrate, la struttura portante messa in mostra nella sua essenzialità e la copertura che appariva sfidare le leggi della gravità. Inoltre, l’articolazione verticale della parete, con i pilastri a fascia simili a frecce puntate verso l’alto e le strette finestre inserite all’interno degli archi a sesto acuto, faceva apparire l’interno più alto di quello che era nella realtà. Entrando nelle “cattedrali

Sezione di chiesa romanica Sezione di chiesa gotica

di Dio”, definite così da Le Corbusier, il semplice visitatore si sentiva esterrefatto per la loro altezza e luminosità, ma al contempo allibito e forse impaurito, temendo un improvviso crollo dell’edificio, che sembrava librarsi verso la patria celeste senza un adeguato sostegno terreno. Infatti, la realizzazione e la disposizione degli elementi costruttivi appena descritti era conforme ad un criterio di economia delle masse resistenti e perciò conferiva all’edificio un grande senso di leggerezza, ma garantiva nel contempo una sicurezza a livello statico pari, se non addirittura superiore, a quella dei massicci edifici precedenti.