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2. SCHEMI STRUTTURALI RICORRENTI

2.3 Sistema spingente

2.3.1 L’arco

L’arco offre maggiori garanzie di stabilità rispetto alla trabeazione e permette di coprire spazi molto ampi. Esso lavora nelle condizioni ottimali quando è in compressione ed è in compressione se è ben costruito; per questo è il sistema più adatto a sfruttare le qualità meccaniche della pietra e della muratura, ma da solo serve a poco se non si è in grado di individuare e, di conseguenza, contrastare le spinte che determina. Grazie alle condizioni di vincolo agli estremi che consentono una componente orizzontale alle reazioni, la curva d’asse dell’arco può essere avvicinata alla funicolare dei carichi fino anche a coincidere con essa, in modo tale che l’arco risulti soggetto solamente a compressione. In questa maniera la generica sezione trasversale è integralmente sfruttata ai fini della resistenza e a parità di portata e di carico, ne consegue sia una maggiore economia di materiali rispetto alle strutture resistenti a flessione, sia la possibilità di superare luci notevoli, impensabili per strutture a travata.

L'arco si presenta come una struttura ad asse curvo impostata su due piedritti con la quale si riesce a coprire un vano. È costituito da più elementi posizionati in direzione radiale rispetto al centro, o ai centri dell’arco, che trasferiscono i carichi ai sostegni con una direzione non verticale, ma inclinata verso l’esterno. Come si osserva dalla figura 2.18, l’arco parte dalla sommità delle spalle o piedritti che possono concludersi con peducci o mensole, sulle quali appoggia il cosiddetto

piano o concio d’imposta, da cui inizia la curvatura, ossia il sesto. I piani inclinati

di circa 30° rispetto al piano orizzontale passante per il centro dell’arco sono i

piani alle reni. Nel punto più alto del tratto curvilineo, vi è la chiave dell’arco

posta al centro e talvolta evidenziata da un motivo decorativo. La faccia inferiore dell’arco è detta intradosso o imbotte, mentre la faccia superiore è spesso inglobata nel muro. La distanza tra intradosso ed estradosso determina lo

spessore; la distanza verticale tra il piano di imposta e il punto più alto

dell’intradosso defisse la freccia o saetta o monta, mentre la distanza tra i due piedritti si dice luce o corda o linea d’imposta.

Nell’arco, come in ogni solido geometrico, vi è una zona della propria sezione chiamata nocciolo centrale di inerzia in cui deve cadere la risultante delle forze affinché si abbia compressione, altrimenti si ha trazione e quindi possibili lesioni se la struttura è realizzata con materiale non resistente a tale sollecitazione. Più precisamente, il poligono delle successive risultanti delle forze agenti (reazioni all’imposte e carichi verticali) prende il nome di curva delle pressioni; ogni punto di tale curva appartiene ad una sezione trasversale dell’arco e ne costituisce il

centro di pressione e, nel caso in cui l’arco sia in muratura o in calcestruzzo non

armato, occorre che il centro di pressione sia non esterno al nocciolo centrale d’inerzia della sezione e che il massimo valore della sollecitazione non superi il carico di sicurezza del materiale impiegato.

Può accadere che il luogo dei centri di pressione coincida con l’asse mediano e quindi cadere nel centro del terzo medio della sezione solo in minima parte e in zone precise, mentre tenda ad allontanarsi alle reni e in chiave, dove la sezione sarà quindi sollecitata a trazione e quindi si localizzeranno le fratture.

Se il centro di pressione cade fuori dal nocciolo della sezione alla sezione, è necessario rendere i piedritti stabili contro il rovesciamento ingrossandoli (spalleggiamento) o concentrandovi delle azioni verticali mediante carichi sia direttamente applicati su di essi sia riportati a loro tramite tiranti.

Nel caso in cui l’arco sia costruito in cemento armato o in acciaio, come nelle strutture moderne, la resistenza a trazione che garantisce il materiale adottato consente ai centri di pressione di uscire dal nocciolo centrale, senza alcuna

fessurazione, a patto che la sollecitazione rimanga inferiore al valore di carico limite.

La stabilità dell’arco, a parità di luce, di materiale e di carico dipende dal rapporto tra la freccia e la corda, poiché al variare di esso varia l’azione trasmessa alle spalle e la sua inclinazione. Per esempio, questa sarà prossima alla verticale in un arco a sesto acuto e si avvicinerà all’orizzontale nella piattabanda.

Dal punto di vista statico, tra i vari tipi di arco si distinguono: arco a 3 cerniere;

arco a 2 cerniere;

arco incastrato agli estremi; arco a spinta eliminata;

Dal punto di vista del materiale adottato, nelle opere monumentali si trovano per lo più archi in pietra da taglio. Attualmente, si usano archi di mattoni sopra l’apertura di porte o finestre nei muri, oltre che in ponti di modesta luce. Proprio per la realizzazione di ponti, si sceglie ancora l’utilizzo di archi in pietra da taglio, se risultano convenienti per le risorse locali disponibili, altrimenti i ponti di grande luce si costruiscono in cemento armato, acciaio o in lega d’alluminio. 2.3.1.1 Tipologie di arco

Esistono diversi tipi di archi che possono essere formati da elementi che agiscono tra loro per mutuo contrasto o da strutture monolitiche di getto, in ogni caso comunque spingenti. Le varie tipologie si stabiliscono a seconda del profilo del sesto e della posizione del centro o dei centri rispetto la linea d’imposta.

In particolare, rivestono notevole importanza i seguenti tipi di arco, riportati in figura 2.19:

arco a tutto sesto (1) o semicircolare che ha l’intradosso formato da una

semicirconferenza con il centro sulla linea d’imposta ed il raggio pari a metà della luce. È caratteristico dell’architettura romana, romanica e rinascimentale;

arco rialzato (2) ad intradosso semicircolare avente centro rialzato rispetto

alla linea d’imposta e raggio pari alla metà della luce. È caratteristico dell’architettura bizantina;

arco scemo (3) ad intradosso con un solo centro posto al di sotto delle

linee d’imposta che sono inclinate e convergenti verso il centro di curvatura. È molto spingente ed è stato usato come arco di controspinta negli edifici romani dell’età imperiale e del Medioevo;

arco ribassato (4) che presenta una freccia superiore a metà della luce; arco a sesto acuto costituito da due archi di cerchio aventi i centri sulla

linea d’imposta e raggio maggiore di metà della corda; la freccia è maggiore di metà della luce e le due curve si intersecano a cuspide. Può essere compresso (6) se i centri sono interni alla corda, equilatero (5) se sono all’estremità di essa e lanceolato (7) se i centri sono al di sopra della linea d’imposta. È meno spingente dell’arco a tutto sesto ed è caratteristico dell’architettura gotica e di quella araba;

arco Tudor (8) che è policentrico ribassato, con due curve raccordate con

due tratti retti riuniti a cuspide secondo un angolo all’incirca di 160°. È caratteristico dell’architettura anglosassone dal XV al XVIII secolo;

arco rampante (9) che è asimmetrico con piani d’imposta a diverso livello

ed intradosso semiellittico o policentrico. A livello statico riveste la funzione di arco di controspinta, in quanto puntella il muro dall’esterno, tramite un contrafforte che scarica le spinte orizzontali al suolo e, come tale, fu usato nell’architettura romana e medioevale;

piattabanda (10) che è un arco con centro di curvatura quasi all’infinito e

intradosso quasi piano. È l’arco più spingente in assoluto perché la risultante delle azioni trasmesse ai piedritti è prossima all’orizzontale e quindi dà luogo ad una spinta di notevole intensità;

arco inflesso che è costituito da quattro archi di cerchio alternati in

andamento concavo e convesso. È tipico della tradizione costruttiva orientale;

arco di scarico che è inserito all’interno dell’apparecchio murario, devia il

peso di un eventuale aggravio rafforzando i punti deboli della parete.(cfr. 2.1.1).

2.3.1.2 Esempi di arco nella storia

Seneca presentò il problema dell’origine dell’arco nel suo Epistolario sostenendo che:- Posidonio dice che l’inventore dell’arco fu Democrito bloccando con un concio centrale [chiave] le pietre disposte ad assecondare una curva. Questo è falso dal momento che anche prima di Democrito vi furono ponti e porte di cui la maggior parte era ad arco-. (Seneca, I secolo d.C.)

Visto che si parla di Democrito (480 a.C.-360 a.C.), contemporaneo di Socrate (469 a.C.-399 a.C.), questo prova l’esistenza di esempi di arco più antichi rispetto a quelli romani, per esempio ai tempi degli assiri e degli etruschi, ma i romani sono stati i primi ad aver capito il suo comportamento statico e ad averlo utilizzato

consapevolmente. L’arco divenne infatti il cardine dell’edilizia romana, essendo la sola struttura che potesse sfruttare a pieno la qualità di resistenza a compressione della muratura e di tutti i materiali da costruzione disponibili nell’antichità. Liberandosi dai limiti sulle luci a cui obbligava il sistema trilitico, in cui l’architrave era inflesso e quindi lavorava a trazione, l’arco consentì la realizzazione di strutture eccezionali quali ponti (nella figura 2.20 il ponte di Tiberio a Rimini, risalente al I secolo a.C.) e acquedotti, divenendo anche un simbolo estetico ed infine politico e propagandistico. IA conferma di ciò, tanti sono gli archi onorari e trionfali, realizzati per celebrare imprese di condottieri ed imperatori, come ad esempio quello di Augusto a Rimini, del 14 d.C., riportato nella foto 2.21.