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8.  L’innovazione sociale nelle imprese: un modello di

8.4  Dalla Corporate Social Responsibility alla Corporate

Parte del vantaggio competitivo delle moderne imprese dipende dal grado di sostenibilità non solo economica, ma soprattutto ambientale e sociale (Coyne, 1986; Pfeffer, 1995) al fine di migliorare la gestione delle proprie risorse tangibili (Barney, 1991) e intangibili (Hall, 1993). Per ottenere per-formance sempre più elevate, sia in termini quantitativi che qualitativi, le imprese devono essere fonte e allo stesso tempo erogatori di innovazione. L’innovazione influenza profondamente la competitività (Mintzberg, 1994), aumenta la sostenibilità di un business (Eccles e Serafeim, 2013) e consente la creazione di un vantaggio competitivo nel quale esiste un intrinseco valore sociale. La gestione dell’innovazione, in uscita ed entrata dalle organizza-zioni ha bisogno di nuovi schemi di interpretazione e gestione. Ecco quindi che le aziende trovano nuove applicazioni, o nuovi usi, per creare valore so-ciale attraverso un coinvolgimento diverso degli stakeholder: un coinvolgi-mento attivo e partecipativo. La predisposizione di alleanze e nuove forme di partnership permette di allineare obiettivi economici a obiettivi sociali (Capo e Caroli, 2015; Tantalo et al. 2012) con lo scopo di creare valore sia per le imprese sia per gli altri membri dell’ecosistema. La progettazione di un modello partecipativo ha bisogno di rivedere i confini delle organizza-zioni e favorire una permeazione di informaorganizza-zioni all’interno delle imprese. Le imprese sono anch’esse un soggetto che, oltre ad operare all’interno di un ecosistema, ne trae benefici e valore, a volte come promotore, a volte come beneficiario. Questa duplice prospettiva cambia il ruolo delle imprese nell’ecosistema: oltre a creare valore sociale per gli stakeholder e la comunità nella quale le imprese operano (approccio di responsabilità d’impresa), que-ste riescono, grazie all’apertura del loro modello organizzativo ad appro-priarsi di parte del valore che gli spetta, in quanto attore dell’ecosistema. L’impresa non è più responsabile nei confronti degli altri stakeholder del suo operato in maniera distaccata, in parte difensiva. L’impresa è chiamata a met-tere a disposizione parte delle sue risorse e competenze e permetmet-tere ad altri soggetti di sfruttare al meglio tali risorse per trovare soluzioni innovative. In questa direzione, alcune aziende cominciano a superare il concetto di RSI integrandolo o sostituendolo con quello di Corporate Social Innovation-CSI (Kanter, 1999). Uno dei modi per aprire il modello e concretamente svilup-pare un modello di valore sociale condiviso è, per esempio, quello di fornire una mappatura dei processi di una catena del valore e identificare aree ad alta potenzialità di generazione di valore condiviso.

Altro esempio è quello di formalizzare attività di output sociali tangibili e misurabili, attraverso attività filantropiche a sostegno del rafforzamento del

tessuto produttivo locale (Caroli, 2013). Se l’attenzione alla responsabilità non è allineata con le linee di sviluppo del business, si rischia di concentrare sforzi in attività che riducono i rendimenti dell’azienda o, peggio ancora, non si stanzi un investimento sufficientemente grande a produrre un impatto so-ciale evidente e sostanziale. Il rischio, molto spesso, è che singole azioni non conducano a un risultato rilevante in grado di generare impatto nel medio e lungo termine.

Altra critica al modello della RSI riguarda il potenziale trade-off tra im-pegno morale e imim-pegno sociale (Zamagni, 2004), dove si possano produrre investimenti filantropici lontani dal core business dell’azienda per nascon-dere la necessità di intervenire sull’azione morale diretta dell’impresa, lad-dove sussistano comportamenti errati nei fattori di produzione o in elementi di primaria importanza.

Ogni azienda, se non è in grado di individuare sinergie tra la sua attività di business e le richieste sociali lontane da questa, per pura necessità è co-stretta a fornire un elenco di priorità di intervento. Laddove rimangano ri-sorse a disposizione, queste possono essere impegnate per il soddisfacimento di bisogni secondari rispetto a quelli più vicini all’azione originale. Una sorta di piramide dei bisogni di stampo Maslowiano, adattata al rapporto tra busi-ness e bisogno sociale.

Se, quindi, le azioni di RSI rischiano di limitarsi al controllo delle ester-nalità dirette e indirette dell’azione di un’impresa, il risultato finale delle azioni ha la natura di vero e proprio prodotto complementare al core busi-ness, misurato in base alle opportunità di volta in volta impegnabili in tali azioni. Laddove l’impresa non ritenga opportuno impegnarsi nella risolu-zione di specifiche esigenze sociali, intervengono gli stakeholder che con la loro forza contrattuale e normativa possono imporre determinati comporta-menti. Anziché massimizzare la funzione di profitto, l’impressa massimizza la funzione che rappresenta la soluzione del gioco di contrattazione tra tutti gli stakeholder (Sacconi, 2003). Secondo questa logica le aziende costrui-scono valore sociale solo in relazione ai partner di riferimento verso i quali le azioni sono indirizzate. La scelta dei partner influenza le azioni di soste-nibilità e influenza la strategia dell’azienda, secondo il rapporto delle tre di-mensioni della sostenibilità. Se invece, emergono bisogni sociali che non trovano spazio nelle attività economiche delle imprese, non c’è diretta logica tra l’interesse e lo stakeholder di riferimento e soprattutto si tratta di bisogni in precedenza risolti da attori diversi dalle imprese, il modello della RSI non è in grado di rispondere a questo tipo di esigenze nuove ed entra in crisi.

In un progetto di innovazione sociale, invece, una azienda è uno degli attori che partecipa alla risoluzione del problema; non è per forza il princi-pale attore e soprattutto necessita del coinvolgimento di altri attori per creare

vero e proprio valore condiviso (Porter e Kramer, 2011). Nella progettazione e nello sviluppo di una attività di innovazione sociale, le imprese, insieme agli altri attori coinvolti, cercano di far crescere nuclei di soluzioni ad alta intensità di conoscenza, cercando di applicare tali soluzioni ai contesti o agli attori che hanno richiesto l’intervento o la soluzione (Caulier-Grice et al. 2012). Come espresso dalla prof.ssa Kranter (2009) i vecchi modelli di filan-tropia e RSI non sono più efficaci perché non hanno incentivi sufficiente-mente interessanti per le aziende. La logica del solo volontariato, per esem-pio, non è più sufficiente. È necessario individuare un modo nuovo per coin-volgere le imprese sia a collaborare con le istituzioni e le imprese non profit, sia a trovare uno spazio proattivo all’interno delle comunità locali nelle quali agiscono con il loro business.

Una gestione ottimale di un progetto innovazione sociale richiede modi-fiche sostanziali nella struttura e nelle attività svolte dalle aziende, soprat-tutto per quanto riguarda le modalità di generazione dei progetti stessi.

Questa attitudine è simile a quanto avviene con il paradigma dell’innova-zione aperta (Chesbrough, 2006), nel quale molte aziende si distinguono se riescono ad identificare soluzioni emergenti all’interno di potenziali nuove traiettorie di innovazione in relazione al loro business (Petroni, 2010).

Stesso discorso, ma con una maggiore enfasi sulla trasferibilità, vale per l’innovazione sociale: data la composizione ampia ed eterogenea di attori coinvolti, le imprese sono efficaci laddove riescono a raccogliere informa-zioni e flussi di conoscenza necessari a ottenere una completa e affidabile caratterizzazione delle proposte innovative, e che sono potenzialmente inte-ressanti per la risoluzione di un determinato problema sociale. L’integra-zione, a questo punto, avviene dall’esterno verso l’interno, se il problema sociale riguarda il coinvolgimento di stakeholder primari, cioè i dipendenti, o dall’esterno verso l’esterno se l’azienda è soltanto uno degli attori coinvolti nello sviluppo di una progettualità che vede come utenti fruitori dell’innova-zione sociale altri soggetti.

In questo secondo caso, l’azienda mette il suo know-how a disposizione per elaborare, testare o sviluppare un prototipo di innovazione sociale e, suc-cessivamente, riversare l’output verso gli utenti finali che possono variare in base ai luoghi e alle esigenze da soddisfare. Tutto questo può diventare eco-nomicamente sostenibile se le aziende sviluppano dei modelli di business innovativi in grado di catturare parte di questo valore.

La cattura del valore economico passa attraverso l’identificazione di un modello di business in grado di convogliare la sostenibilità economica, am-bientale e sociale delle pratiche innovative. Come riferito da Picciotti (2013) “L’innovazione (sociale) è, prima di tutto, il risultato di un atteggiamento,

dell’impresa”. È l’impresa che, con le sue decisioni ed i suoi comportamenti

costruisce, pertanto, contesti di innovazione (Paoli, 2006).

Come tale ha bisogno di essere sviluppata in dei modelli che favoriscono l’individuazione e lo sviluppo di un processo di innovazione sociale.