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Oltre al comportamento antigiuridico, l’altro elemento oggettivo della responsabilità amministrativa è il c.d. “evento lesivo” o danno all’erario.

Per danno deve intendersi un pregiudizio patrimoniale che presenti i seguenti caratteri: a) certezza, la quale deve essere concretamente provata in giudizio senza ricorrere a presunzioni astratte o sulla scorta di vicende del tutto ipotetiche; b) attualità dovendosi solamente imputare il danno verificatosi e non quello che potenzialmente potrebbe verificarsi; c) concretezza ed effettività, posto che la sola illegittimità dell’atto o del provvedimento amministrativo esige ulteriormente, affinchè si

64 C. conti, sez I, 31 maggio 2002 n. 173/A, in Riv. C. conti, 2002, f. 3, 89.

65 V. TENORE, L. PALAMARA, B. MARZOCCHI BURATTI, Le cinque responsabilità

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configuri un illecito amministrativo, la concreta ed effettiva menomazione del patrimonio pubblico.

La vicenda dannosa, dalla quale potrebbe originare un’ipotesi di responsabilità amministrativa, può consistere o nella perdita economica subita venendosi così a delineare la figura del “danno emergente”, oppure in un mancato guadagno venendosi a delineare in questa seconda ipotesi la figura del “lucro

cessante”66. Una importante caratteristica del danno è che esso

deve essere ingiusto, ossia contra ius, e deve incidere sia su un interesse legittimo, sia su una situazione giuridica soggettiva. Una prima importante distinzione dell’elemento danno è quella,

appunto, fra danno patrimoniale e danno non patrimoniale67.

Come noi sappiamo, in tema di risarcimento del danno, i cardini

normativi fondamentali sono l’art 2043 c.c.68 e l’art. 2059 c.c.69.

Orbene mentre risulta semplice cogliere il significato di danno patrimoniale, consistente nella diminuzione del patrimonio di un soggetto attraverso il riscontro di quello che è il patrimonio

66 P. NOVELLI, L. VENTURINI, La responsabilità amministrativa di fronte

all’evoluzione delle pubbliche amministrazioni ed al diritto delle società. GIUFFRE’ EDITORE, 2008. pag. 90-91.

67 A. ALTIERI, La responsabilità amministrativa per danno erariale, op cit, pag. 9. 68 Art. 2043 del c.c. (Risarcimento per fatto illecito), il quale afferma che: “Qualunque

danno doloso o colposo cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

69 Art. 2059 del c.c. (Danni non patrimoniali), il quale afferma che: “Il danno non

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medesimo prima e dopo la verificazione dell’evento dannoso, più difficile risulta cogliere il significato della seconda tipologia di danno, ossia quello non patrimoniale, in quanto esso farebbe rifermento a beni immateriali, quali la vita affettiva, la salute, l’onore, il prestigio, il nome e simili. Sia la dottrina che la giurisprudenza riconoscono fra i danni non patrimoniali il c.d. danno morale consistente nel patema d’animo, nel dolore che il fatto può aver provocato suscettibile di riparazione, piuttosto che di risarcimento come nel caso dei danni patrimoniali. Recentemente sono comparse determinate figure di danno: ad esempio il danno “biologico” (contro il bene della salute), il danno “esistenziale” (contro il bene del condurre la propria esistenza), il danno all’ “immagine” (contro il bene dell’identità, dell’onore e del prestigio). Un aspetto che è importante rilevare, è il fatto che, sovente, il danno si pone come eventus damni, cioè come “conseguenza” di un comportamento omissivo o commissivo, al quale è connesso ad un nesso di causalità, e pertanto si parla di danno-conseguenza. V’è però da dire che vi sono delle situazioni nelle quali il danno si verifica contestualmente al fatto, senza la possibilità di poter distinguere un evento di danno: si pensi al cassiere che fugge con la cassa,

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questo comportamento causa un danno patrimoniale immediato. In questo caso si parla di danno-evento, e si dice che il danno è in re ispsa. Non bisogna però cadere nell’errore di pensare che nel caso di danno in re ipsa siamo sempre in presenza di un danno, ogni qual volta si ponga in essere un’azione capace di provocarlo. Per esempio, il danno all’immagine (di cui parleremo più avanti), non sussiste se non avviene la divulgazione sulla stampa o in altro modo, sicchè nessun danno ne sia derivato in concreto al prestigio dell’offeso. Sulla base delle norme civilistiche in questione si è arrivati alla conclusione che l’obbligo di risarcimento sussistesse soltanto nelle ipotesi di danno patrimoniale, mentre nelle ipotesi di danno non patrimoniale la risarcibilità era prevista soltanto “nei casi determinati dalla legge”, spesso individuati nell’art. 185 del

codice penale.70 Quindi in buona sostanza si è ritenuto che i

danni non patrimoniali dovessero essere risarciti soltanto nei casi in cui il fatto dannoso integrasse un reato. Come detto in precedenza i danni non patrimoniali sono stati identificati come danni morali, cioè col patema e la sofferenza causati alla persona

70 Art. 185 c.p., il quale afferma che: “Ogni reato obbliga alle restituzioni a norma delle

leggi civili. Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o ‘ non patrimoniale’, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto altrui”.

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fisica dal reato. Ed è stato ritenuto, proprio sulla base di questa identificazione, che l’art. 2043 c.c. non riguarderebbe i soli danni patrimoniali, ma esso costituirebbe una sorta di norma secondaria “in bianco”, la cui applicazione dipenderebbe da un’altra norma primaria, e trattandosi di danno biologico questa norma primaria sarebbe proprio l’art. 32 Cost. che integrerebbe e completerebbe il precetto di cui all’art 2043 del codice civile. In

proposito di quanto detto è possibile richiamare una sentenza71

della Corte Costituzionale, la quale in buona sostanza ci dice che: “L'art. 2059 c.c., nel sancire che il danno non patrimoniale deve essere risarcito nei casi espressamente determinati dalla legge, si riferisce solo al danno morale soggettivo, consistente in ingiuste perturbazioni dell'animo, o in sensazioni dolorose, e non esclude la risarcibilità delle lesioni alla salute, ancorché improduttive di pregiudizio patrimoniale, note come "danno biologico". Così interpretato l'art. 2059 c.c. non contrasta con gli art. 2, 3, 24 e 32 della Cost”. Tutto ciò sta a significare due cose: anzitutto che l’art. 2059 c.c. farebbe riferimento non a tutti i danni non patrimoniali, ma soltanto ai danni morali; in secondo luogo l’art. 2043 c.c. fungerebbe soltanto da norma di rinvio per

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la protezione di altri “valori” protetti dalla Costituzione. Sennonchè questo orientamento non è stato affatto condiviso

dalla Corte di Cassazione, la quale in un’altra sentenza72 ha

chiarito che: “Il concetto di danno non patrimoniale, a cui testualmente fa riferimento l’art. 2059 c.c., non si identifichi con la formula riduttiva del danno morale soggettivo (sofferenza o patema d’animo), limitazione estranea alla lettera della norma, e che la lettura costituzionalmente orientata della norma comporti che, per il principio della gerarchia delle fonti, il legislatore ordinario non possa limitare ai soli casi previsti dalla normativa ordinaria il risarcimento della lesione dei valori della persona umana ritenuti inviolabili dalla Costituzione. Riportata la responsabilità… nell’ambito della bipolarità prevista dal codice vigente tra danno patrimoniale (art. 2043) e danno non patrimoniale (art. 2059) e ritenuto che il danno non patrimoniale sia risarcibile non solo nei casi previsti dalla legge ordinaria, ma anche nei casi di lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti…, il danno che offenda valori considerati inviolabili dalla Costituzione è tutelato dall’art. 2059 e non dall’art. 2043, che attiene esclusivamente ai danni

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patrimoniali”. Quindi sulla base di questa sentenza, l’aver limitato il risarcimento dei danni non patrimoniali ai solo casi specificati nell’art. 185 del c.p., non può fungere da ostacolo al risarcimento di danni non patrimoniali derivanti dalla lesione di valori garantiti dalla Costituzione. Dunque oggi possiamo serenamente qualificare come danno ingiusto qualsiasi pregiudizio di un interesse, in senso lato, garantito dall’ordinamento. Quindi in definitiva possiamo tranquillamente affermare che i danni non patrimoniali sono risarcibili non solo nei casi nei quali essi originano dalla commissione di un reato, ma anche quando derivino dalla lesione di valori garantiti dalla Costituzione. Ecco dopo questa breve dissertazione di natura civilistica, possiamo passare alla figura del danno nella normativa sulla responsabilità amministrativa. Il dato che emerge passando in rassegna le varie normative, a partire dalla legge del Regno di Sardegna 23 marzo 1853, n. 1483, art. 20; art. 61 legge del Regno d’Italia 22 aprile 1869, n. 5026; art. 81 R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 e fino alle riforme del ’90 è che in nessuna delle norme in tema di responsabilità amministrativa il legislatore abbia fatto riferimento alla figura del danno accostando ad esso l’aggettivazione patrimoniale. Non sono del

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tutto chiari i motivi di questa scelta, ma il dato certo è che per molto tempo il danno all’aerarium oggetto della responsabilità

amministrativa fu inteso come esclusivamente patrimoniale73.

Quindi in sostanza per lungo tempo è prevalso in giurisprudenza l’orientamento che il danno dovesse essere configurato come una deminutio arrecata ad elementi di natura patrimoniale del soggetto pubblico, come conseguenza di una condotta dannosa da parte del pubblico dipendente. Però v’è da dire che questo orientamento cominciò a mutare a partire dagli anni ’70, quando proprio la giurisprudenza dell’organo contabile cominciò ad interessarsi della tutela di determinati valori riferibili alla collettività dello Stato, (tutela del paesaggio, dell’ambiente faunistico, fioristico ed ecologico). In conseguenza di ciò anche il concetto di danno iniziò a mutare, distaccandosi da quella concezione che lo assimilava ad una mera “turbativa di elementi del conto patrimoniale”. A riprova di questo mutamento possiamo citare almeno due sentenze della Corte dei Conti: la

prima74 afferma che “Il presupposto della giurisdizione in

materia di responsabilità amministrativa è da individuare nel

73 S. M. PISANA, La responsabilità amministrativa illustrata con la giurisprudenza più

recente, op cit., pagg. 162 e ss.

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‘danno pubblico’, comprensivo anche della turbativa di beni destinati ad uso o beneficio, diretto o indiretto, della comunità”;

ancora un’altra sentenza75 ci dice che: “La nozione di danno

erariale, non comprende esclusivamente ipotesi finanziarie quali l'alterazione e turbativa dei bilanci, ovvero patrimoniali, quali la distruzione, sottrazione o danneggiamento di beni demaniali, o il recupero di somme pagate per fatti lesivi commessi dai pubblici dipendenti, ma altresì la lesione di interessi più generali, di natura eminentemente pubblica (interessando tutta la categoria dei cittadini) purché suscettibili di valutazione economica”. Dopo qualche tempo rispetto a queste pronunce, anche la

Suprema Corte di Cassazione76 iniziò ad interessarsi di questa

tematica e ad assimilare il ragionamento fatto proprio dalla Corte dei Conti circa l’assenza nella legge di una oggettiva qualifica di danno erariale, per poterlo poi configurare come una ingiusta lesione di interessi economicamente valutabili di pertinenza dello Stato. Infatti la sentenza afferma che: “La giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità amministrativa per danni all’erario può esercitarsi anche nei confronti di persone giuridiche in quanto il rapporto di servizio con un ente pubblico,

75 C. Conti, Sez I, 08/10/1979, n. 61, in Foro Amm., 1980, I, 825. 76 Cass., Sez. U., 04/01/1980, N. 2, In Riv. C. Conti, 1979, 1192.

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presupposto della stessa, può instaurarsi, oltre che con persone fisiche, anche con persone giuridiche (ed enti di fatto) che siano

preposti ad uffici (ed assegnati a funzioni e servizi pubblici)”77.

A questo punto possiamo vedere qual è la seconda distinzione in tema di danno all’erario, perché la configurabilità della responsabilità amministrativa rileva non solo in presenza di danno c.d. “diretto”, cioè quel danno che incide direttamente sulla P.A., (come il danneggiamento di un arredo della medesima o sottrazione di una somma di denaro), ma anche nel caso di danno “indiretto”, e cioè quando si verifica la lesione di un terzo soggetto da parte di un dipendente della stessa Amministrazione, venendo quest’ultima ad essere citata innanzi al giudice ordinario, ed anche attualmente innanzi a quello amministrativo, ex art. 28 Cost., a risarcire il terzo danneggiato dal pubblico dipendente responsabile della lesione durante l’attività di servizio. Quindi il terzo danneggiato ha la possibilità di convenire in giudizio (innanzi al giudice ordinario o amministrativo) sia il lavoratore-dipendente della P.A., entrambi i soggetti, oppure la sola P.A. ed ottenere una sentenza di condanna. Quasi sempre il convenuto naturale in queste

77 L. TRAMONTANO, La tutela risarcitoria dell’interesse legittimo. WOLTERS

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situazioni è la P.A. in quanto ritenuta soggetto maggiormente “solvibile” rispetto al singolo lavoratore. Ovviamente dopo la sentenza di condanna la P.A. dovrà necessariamente recuperare quanto essa stessa ha erogato al terzo danneggiato, denunciando all’organo contabile l’autore materiale dell’illecito. Infatti il danno erariale indiretto si configura dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ed è da questo momento che inizia a decorrere il termine quinquennale di prescrizione dell’azione giuscontabile. Pertanto in entrambe le ipotesi di danno (diretto e indiretto), il giudice della rivalsa del credito vantato dall’amministrazione nei confronti del dipendente autore

della condotta illecita è la Corte dei Conti78.

3.1 Il danno da disservizio.

Per ciò che concerne il danno da disservizio, anzitutto v’è da dire che esso si caratterizza nell’inosservanza di doveri da parte di un pubblico dipendente, ormai specificati in leggi, codici di comportamento e CCNL, con conseguente diminuzione di

efficienza dell’apparato pubblico79: si è ritenuto dunque che esso

consiste nella “mancata” o “ridotta” prestazione del servizio

78 V. TENORE, L. PALAMARA, B. MARZOCCHI BURATTI, Le cinque responsabilità

del pubblico dipendente. Op cit., pagg. 310-311.

79 G. CAMMILLERI., Avvocato e giudice onorario di Tribunale. Come si configura il

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erogato dall’ente pubblico o nella cattiva qualità dello stesso80.

Secondo una sentenza81 della Corte dei Conti, “Il danno da

disservizio è ontologicamente diverso dal danno all’immagine, e costituisce fonte di responsabilità amministrativa solo quando venga raggiunta la prova che il perseguimento di fini diversi da quello tipico dell’attività posta in essere, abbia comportato il dispendio di risorse umane e mezzi pubblici”. Quindi in buona sostanza, il danno da disservizio origina nel caso in cui in concreto non si riescano a raggiungere le utilità previste, rispetto alle risorse umane ed economiche investite. Quindi in questo senso le risorse non sono state utilizzate secondo quelli che sono i canoni di legalità, efficacia, efficienza, economicità e

peculiarità propri della pubblica amministrazione82. Pertanto il

disvalore portato dal danno da disservizio non è identificabile col nocumento patrimoniale, ma nel non rispetto dei principi sopra enunciati e nel mancato raggiungimento delle finalità della Pubblica Amministrazione, sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo. Per questo motivo si preferisce inquadrare questo

80 S. M. PISANA, La responsabilità amministrativa illustrata con la giurisprudenza più

recente, op cit., pag. 187.

81 Corte Conti reg., (Sicilia), sez. giurisd., 17/03/2004, n. 795, in Riv. Corte conti 2004, 2,

245 (s.m.) (s.m.).

82 M. E. SANDULLI, Codice dell’azione amministrativa. GIUFFRE’ EDITORE, 2011,

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tipo di danno fra quelli non patrimoniali, anche se comunque

bisogna quantificarlo in termini monetari83. Vediamo qualche

fattispecie di danno da “disservizio”: anzitutto, per ciò che concerne il settore scolastico, sono state considerate fattispecie di “disservizio” le assenze di una insegnante, condannata peraltro al risarcimento, oltre che per il danno causato per quanto indebitamente percepito durante il periodo di assenza, ma anche per il mancato profitto scolastico degli alunni a causa delle ripetute ed ingiustificate assenze; altro esempio è quello del mancato utilizzo di costosi macchinari diagnostici acquistati da una struttura sanitaria; oppure ancora il danno da disservizio si configura nel momento in cui il servizio viene reso così negligentemente da essere completamente inutile, ed in questo caso più che di “disservizio”, si parla di “mancato servizio”, in altri termini un “aliud pro alio”. In definitiva il danno in questione si configura in tutti i casi in cui si verifica un pregiudizio concreto, attuale ed effettivo, da riferirsi sia al costo

del servizio che all’utilità collettiva mancata84. Per ciò che

riguarda infine la quantificazione di tale danno si fa applicazione

83 S. M. PISANA, La responsabilità amministrativa illustrata con la giurisprudenza più

recente, op. cit., pag. 188

84 V. TENORE, L. PALAMARA, B. MARZOCCHI BURATTI, Le cinque responsabilità

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del parametro equitativo di cui all’art. 1226 c.c., quando appunto il disservizio risulti certo ma non si riesca a quantificarlo in termini di maggiori costi dovuti allo spreco sia di risorse umane che economiche utilizzate, sulla base dei canoni di efficienza,

legalità e produttività. La ratio legis85 della norma consiste

nell’evitare che il soggetto danneggiato, se non riesce a dimostrare il danno rimanga senza tutela, posto che a volte le valutazioni possono risultare complesse. Quindi se nel corso del giudizio vengono provate dettagliatamente tutte le spese sostenute dall’ente per il ripristino dei canoni succitati e per la riorganizzazione dei servizi, allora il giudice contabile per la quantificazione del danno da disservizio deve utilizzare il parametro equitativo di cui all’art. 1226 c.c., fornendo adeguata

motivazione laddove sia adeguatamente provato86.

3.2 Il danno da “tangente”.

A proposito del danno da tangente possiamo pensare al comportamento di un pubblico dipendente il quale accetti delle somme per aggiudicare un gara ad una ditta c.d. “amica”. Tale comportamento integra: il reato di corruzione ai sensi dell’art.

85 Art. 1226 c.c., il quale afferma che: “Se il danno non può essere provato nel suo

preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”, in www.brocardi.it.

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319 del c.p.; un illecito civile ai sensi dell’art. 2043 c.c. nei confronti delle altre ditte danneggiate non vincitrici; ed ai fini del

nostro “discorso” una responsabilità amministrativa87, (danno

erariale da tangente e danno all’immagine della P.A.). La “tangente” si sostanzia in quel comportamento illecito del pubblico dipendente o amministratore che “parallelamente” all’amministrazione percepisce somme di denaro per l’erogazione di servizi e/o forniture e con vantaggio personale: do ut des. Essa quindi rileva sia come illecito guadagno

dell’agente, sia come maggior onere sostenuto

dall’amministrazione, a suo danno, per acquisti di beni o servizi, sia come minor entrata, sempre a suo danno, per la vendita di beni o servizi. In materia è stato evidenziato il fenomeno della

“traslazione dei maggiori costi”88. In buona sostanza il

pagamento della tangente costituisce costo illecito che un soggetto privato (solitamente un imprenditore) “trasla” sulla P.A. mediante tutta una serie di condotte fraudolente, ovviamente agevolate dal pubblico dipendente infedele, che gli permettono di entrare nel sistema delle regole contrattuali per accaparrarsi

87 F. BIANCO, Compendio di diritto amministrativo. GUIDA EDITORI, 2011, pag. 66. 88 P. CENDON, Il quantum nel danno esistenziale: giurisprudenza e tabelle. GIUFFRE’

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posizioni di vantaggio ed alterando così il naturale scambio economico. Si tratta in particolare della revisione dei prezzi concordati, di lavori supplementari a corrispettivo maggiorato, tutti comportamenti che permettono all’imprenditore di recuperare l’iniziale costo occulto. La tangente in tal modo sarà oggetto di traslazione sul bilancio della P.A., per l’ovvia conseguenza che il soggetto d’impresa si rivarrà illecitamente nei confronti della stessa. Da quanto detto ne deriva che il pagamento di una tangente è comportamento produttivo di danno

erariale di natura patrimoniale89. A conferma dell’inequivocabile

natura patrimoniale del danno da tangente possiamo citare una

sentenza della Corte dei Conti90, la quale afferma quanto segue:

“Costituisce danno patrimoniale vero e proprio e non già danno morale per un ente pubblico - nella specie, il comune di Milano - la somma che un dipendente infedele ha ricevuto da alcuni imprenditori per favorire l'ottenimento di un appalto di lavori di manutenzione, dal momento che per le persone giuridiche il danno non patrimoniale è costituito dalle conseguenze pregiudizievoli di illeciti che non si prestino a

89 S. PILATO, La responsabilità amministrativa, op cit., pagg. 264-265

90 Corte Conti reg., (Lombardia), sez. giurisd., 18/02/1995, n. 136, in Riv Corte conti,

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valutazione monetaria e non possano perciò formare oggetto di risarcimento (bensì unicamente di riparazione, come avviene per la lesione del prestigio); viceversa, il danno sopportato dall'amministrazione a seguito della maggiorazione del prezzo finale dell'appalto ben può essere suscettibile di valutazione economica, in una misura - rapportabile all'importo della tangente versata - determinata analizzando le voci indicate nelle fatture pagate dall'ente appaltatore e confrontandole con i prezziari della locale camera di commercio o analoghe pubblicazioni ufficiali”. In particolare la Corte dei Conti, partendo proprio da questa sentenza, ha non solo riconosciuto la