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CAPITOLO TRE: MILD COGNITIVE IMPAIRMENT (MCI)

3.2 Declino Funzioni Cognitive

Con l’avanzare dell’età si presentano degli indebolimenti cognitivi, che non sono alla base della demenza, ma che influenzano le capacità funzionali e l’indipendenza del soggetto. Ci sono, infatti, dei cambiamenti legati all’età che influenzano e che hanno delle ripercussioni sulle abilità cognitive. Diverse prove suggeriscono che gli adulti più anziani hanno maggiori difficoltà ad apprendere nuove informazioni, mostrano una capacità di ragionamento e di problem-solving meno efficace, sono più lenti a rispondere a tutti i tipi di compiti cognitivi e sono più suscettibili all’interferenza di informazioni rispetto ai giovani adulti (D. C. Park, 2001). Salthouse (2000) ha suggerito che il declino cognitivo può essere definito una progressiva riduzione di efficienza processuale (ossia di tutti quei processi che sono coinvolti nel processamento dell’informazione) con un relativo risparmio delle informazioni delle conoscenze acquisite tramite i processi. Questa ipotesi viene criticata da Baltes e Linderbeger (1997) che suggeriscono come

26 Le lipofuscine sono un pigmento che si accumula in alcuni neuroni con l’aumento

sia più sensibile la valutazione dell’acuità visiva o uditiva. Per loro, non è tanto importante come indice della vecchiaia la speed of processing, quanto la funzione sensoriale che fornisce una diminuzione dell’integrità neuronale nell’anziano. Si parla, inoltre, di un declino age-related dovuto a problemi con specifici meccanismi cognitivi. Soprattutto è stato visto come le funzioni esecutive si indeboliscono con l’età (WM, funzione inibitoria e abilità di switch) (D.C. Park e al., 2001). Tale indebolimento trova conferma nelle ricerche dove i soggetti più anziani rispetto ai giovani tendono ad avere un impairment della memoria episodica, di lavoro e dell’attenzione, ma incrementano le loro conoscenze generali (J. A. Dumas, 2015) (Fig. 3.1), come è sostenuto nel costrutto di riferimento della Wechsler Adult Intelligence Scale – Fourth Edition (WAIS-IV).

Fig. 3.1 Punteggi medi di diversi domini cognitivi durante il ciclo di vita del soggetto. Tratto dall’articolo di Park dal titolo Cerebral aging: integration of brain and behavioral models of cognitive

function

Un autore come Wechsler (1958) sostiene come le abilità cognitive, con cui si misura l’intelligenza, diminuiscono con l’età. Questo declino si presenta dopo i 30 anni in maniera lineare. Seppure questa idea sia stata presente in letteratura per diverso tempo, oggi gli studiosi di psicologia sono consapevoli del peso che hanno variabili differenti, come il bagaglio culturale e/o ambientale, sugli individui. Emerge, così, la presenza di un indebolimento selettivo delle funzioni cognitive, che con l’età possono avere un lieve declino o rimanere stabili nel tempo. Questo è stato già ipotizzato negli anni ‘60 da Cattell e Horn, i quali hanno supposto una suddivisione dell’intelligenza in: fluida (Gf), che con l’età risulta avere un indebolimento, e cristallizzata (Gc), che invece nel tempo risulta rimanere intatta. La nozione di Cattell trova una similitudine con le due nozioni di intelligenza

date da Hebb (R. E. Brown, 2016), che sostiene la divisione dell’intelligenza in A e B (in seguito saranno rinominate da Cattell). Lo stesso Cattel, infatti, nel 1943 (pag.143) scrive che “Hebb has independently stated very clearly what constitutes two thirds of the present theory”. Le due teorie si collocano nel momento in cui in America si elaborano delle critiche nei confronti del test di intelligenza fino ad allora usato: Stanford-Binet Scale. Infatti il punteggio ottenuto in questo test risulta essere influenzato da diverse variabili come fattori sociali e ambientali. Gli stessi subtests misurano le abilità verbali e si concentrano sulle abilità apprese (Cattell, 1940). Non solo, Cattell (1941) ha anche sostenuto che i valori di intelligenza dipendono dal tipo di test a cui sono stati sottoposti i vari cittadini americani e i diversi immigrati. L’idea di Cattell, invece, è quella di creare un test culture-free. Ecco che introduce due forme di intelligenza: la Gf che definisce come “the character of a purely general ability to discriminate and perceive relations beetween any foundements, new or old ” (R. E. Brown, 2016), che incrementa fino all’adolescenza, per poi lentamente declinare; la Gc che definisce come “discriminatory hability long established in a particular field” (R. E. Brown, 2016). Kaufman come riportato sul manuale della Wechsler Adult Intelligence Scale – Fourth Edition (WAIS-IV; Wechsler, 2008a, 2008b), per la fascia 70-90 anni, riporta come l’Indice di Comprensione Verbale (ICV) si mantiene stabile nel corso della vita, declinandosi dopo gli 80 anni di età; stessa cosa vale per l’Indice di Memoria di Lavoro (IML). Al contrario, l’Indice di Ragionamento Visuo-Percettivo (IVP) e l’Indice di Velocità di Elaborazione (IVE) sembrano essere vulnerabili nel corso dell’intero arco di vita.

Nel Model of Information Processing and Aging, Cowan propone un modello che descrive l’interazione tra l’attenzione, la WM e la Memoria a Lungo Termine (MLT). In questo modello la WM risulta essere una porzione attiva della MLT. La WM, che ha una capacità limitata, contiene informazioni che possono essere interne e esterne al focus attentivo. Nel modello da lui elaborato la vecchiaia presenta un indebolimento del focus attentivo (Figura 3.2). Quando i giovani eseguono test attenzionali e di memoria mostrano livelli di attivazione equilibrati tra le regioni occipitali e frontali. L’invecchiamento cognitivo indebolisce i processi di controllo dell’attenzione influenzando di conseguenza la WM e la MLT. L’indebolimento del controllo attenzionale implica che il focus attentivo (FOA) degli anziani venga influenzato da informazioni rilevanti e irrilevanti che entrano all’interno del FOA, comportando delle conseguenze nelle prestazioni di qualsiasi attività quotidiana. Ecco spiegata la maggior attivazione delle aree frontali a discapito di quelle posteriori. Modifiche nello stile di vita possono essere efficaci nel rallentare o invertire aspetti dell’invecchiamento cognitivo. Un soggetto, avente un invecchiamento patologico, è caratterizzato da una minor attivazione delle regioni frontali e occipitali.

Fig. 3.2 Modello della cognizione e della vecchiaia. Tratto dall’articolo di Du mas dal titolo

What is Normal Cognitive Aging? Evidence from Task-Based Functional Neuroimaging

Studi di neuroimmagine hanno potuto chiarire gli effetti dell’invecchiamento sui circuiti del cervello riguardo questi processi cognitivi. Gli adulti anziani, infatti, tendono ad attivare maggiormente le aree frontali rispetto ad adulti giovani, che attivano maggiormente le aree posteriori. A soggetti anziani e giovani viene somministrato il Test di Stroop per poter valutare il controllo dell’interferenza. Tramite risonanza si è potuto notare come sia i soggetti giovani che quelli anziani attivano le stesse circuiterie seppure le regioni frontali siano maggiormente attivate nei secondi (S.A. Langenecker e al., 2004). In altri lavori gli anziani hanno presentato un indebolimento nei compiti di attenzione sostenuta, selettiva, divisa con stimoli uditivi e visivi (J. Townsend, 2006).