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CAPITOLO TRE: MILD COGNITIVE IMPAIRMENT (MCI)

3.5 Mild Cognitive Impairment

Nel passato è stata fatta una mera distinzione tra lo stato dementigeno e l’invecchiamento sano, ma con il tempo si è cercato di identificare una situazione che potesse segnalare un’eventuale fase prodromica della demenza.

Il concetto di demenza è stato riformulato nel XIX secolo e tale ridefinizione ha permesso di poterla distinguere da altre condizioni nosografiche. Esquirol, Georget e Guislam sono tra i clinici che hanno hanno messo le basi per delineare il concetto di demenza nel DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manuel of Mental Disorder) (APA, 2014). I tre autori hanno elaborato dei contributi importanti che risultano essere validi ancora oggi. Infatti Esquirol per primo definisce il concetto di demenza senile, come una patologia associata con l’età avanzata, caratterizzata da un indebolimento della memoria, da apatia e da deficit di attenzione con un andamento insidioso e progressivo. E’ Esquirol a presentare la persona demente come un uomo privato di caratteristiche preziose, “he is a rich person turned out into a poor one” (L. Caixeta e al., 2014, pp.565-566). Georget qualifica il processo dementigeno come un processo irreversibile e di natura organica. Guislam riporta una più precisa definizione del concetto di indebolimento delle abilità cognitive. I disordini di ordine superiore vengono così descritti “The patient has no memory, or is, at least, incapable of keeping anything in mind, impressions vanish from his mind. He can recall people’s name, but he cannot tell when he saw them previously. He does not know what time it is or the day of the week, he make no difference between morning or night, he cannot make calculations.. he lost his instinct of self-perseveration, he cannot avoid fire or water and is

incapable of recognizing danger; he lost also spontaneity, he cannot control urine or stools and not make any question about anything, he cannot even recognize his wife or children” (L. Caixeta e al, 2014, pp.566). Nel tempo si è evidenziata una fase che si colloca nel continuum tra l’invecchiamente patologico e quello normale. La condizione di Mild Cognitive Impairment (MCI) è un descrittore dello stato di transizione tra l’invecchiamento normale e quello patologico (R.C. Petersen e al, 2009), è uno stato delle funzioni cognitive che si colloca tra l’invecchiamento normale e la demenza (R.C. Petersen, 2016; G. Csukly, E. Siràly, 2016). Il concetto di MCI si è evoluto negli ultimi venti anni.

Si calcola che circa l’80% dei clinici usa tale termine per definire quest’area borderline che si colloca tra le due condizioni (J.S. Roberts, 2009) (Fig. 3.4).

Fig 3.4 Rappresentazione della collocazione all’interno del continuum cognitivo del Mild

Cognitive Impairments tra uno stato di invecchiamento normale e quello dementigeno. Tratto

da un paper di Roberts dal titolo Clinical practices regarding mild cognitive impairment (MCI) among

neurology service providers

Il MCI si presume essere presente nel 15%-20% della popolazione che ha un’età superiore ai 60 anni. Per questo si ritiene una condizione clinica comune (R. C. Petersen, 2016), correlata con l’età e la scolarità del soggetto (R. C. Petersen et al, 2014). Non vi è un forte accordo sull’effetto sul genere, nonostante la presenza di ricerche che indicano come il genere maschile sia più frequentemente associato a tale condizione (B. Caracciolo et al. 2008; R. O. Roberts et al, 2012; R. C. Petersen e al. 2014). A livello clinico vi sono maggiori difficoltà nell’identificare il costrutto del MCI a differenza del livello teorico dove risulta essere ben definito e chiaro. Questo, però, non ha impedito di poter identificare i suoi marcatori biologici e neuropsicologici. A livello storico il termine di MCI risale a circa quattro decenni fa. Nel 1979 alcuni ricercatori dell’Università di New York identificano questa condizione nei soggetti che coincidono con la fase 3 della Global Deterioration Scale. Il termine MCI è stato introdotto sul finire degli anni ‘80 da Reisberg e ricercatori per caratterizzare soggetti che sono in una condizione intermedia (né sana né dementigena) e che soddisfano la fase 3 della Global Deterioration Scale (R.C. Petersen et al, 2014). Nel 1999 un gruppo di clinici appartenenti

alla Mayo Clinic descrivono una condizione presente in gruppi di anziani che hanno una lieve perdita di memoria ma non soddisfano i criteri di demenza (R. C. Petersen, 2016).

Nel corso degli anni diverse terminologie di MCI e relative condizioni si sono evolute. La Mayo Clinic si concentra sulle difficoltà mnesiche e usa il termine di MCI per indicare la prima fase sintomatica della demenza di Alzheimer (AD). Ben presto i clinici si rendono conto che il MCI non può sempre condurre a una difficoltà della memoria o essere l’inizio della patologia di Alzheimer. Infatti possono essere compromesse anche funzioni come quelle esecutive, il linguaggio, l’attenzione, le capacità gnosiche e quelle visuo-spaziali. Perciò il costrutto è stato ampliato e sono stati definiti i criteri diagnostici evitando di concentrarsi su un indebolimento mnesico. Dalla loro pubblicazione questi criteri sono ancora oggi usati (R.C. Petersen, 2014). Durante il Key Symposium a Stoccolma del 2003 ha portato alla definizione del MCI; nel 2004 ne sono stati pubblicati i primi criteri (R. C. Petersen, 2016) che di seguito riportiamo (B. Winlad e al., 2004):

● Lamentela di deterioramento cognitivo riportata da un paziente e da un suo caregiver;

● Presenza di oggettivo deterioramento cognitivo confermato da test neuropsicologici;

● Indipendenza nelle attività della vita quotidiana; ● Mancata presenza di demenza.

Il focus del gruppo di ricerca dei soggetti con MCI non è più ancorato all’indebolimento delle funzioni mnesiche. In questo modo si configura un’entità non più di un unico tipo ma di quattro forme diverse (Fig. 3.5).

Fig. 3.5 Schema della condizione di MCI di Petersen tratto dall’articolo Mild Cognitive

Impairment (R.C. Petersen, 2016)

Petersen e i suoi collaboratori distinguono i vari sottotipi di MCI in base al tipo di funzione cognitiva che risulta essere coinvolta. Si distingue un

amnesic-MCI (aMCI) da un non amnesic-MCI (naMCI). Gli aMCI sono caratterizzati dalla presenza di punteggi scadenti nelle prove di memoria episodica, mentre i naMCI sono caratterizzati da prove deficitarie in domini cognitivi diversi dalla memoria come funzioni esecutive, linguaggio o abilità visuo-spaziali (R. C. Petersen, 2014). Dopo aver verificato se il dominio coinvolto prevede oppure no la presenza di un indebolimento mnesico, Petersen e collaboratori, intuiscono un’ulteriore suddivisione in singolo dominio o multidominio a seconda che le funzioni indebolite risultino essere una o più. Da ciò derivano le quattro forme diverse di MCI, numerate dall’uno al quattro (R. C. Petersen, 2014):

● aMCI singolo dominio (MCI di tipo 1), ● aMCI a dominio multiplo (MCI di tipo 2), ● naMCI singolo dominio (MCI di tipo 3), ● naMCI a dominio multiplo (MCI di tipo 4)

Oltre ad un cambiamento delle funzioni cognitive, il soggetto con MCI nel 29% dei casi può presentare sintomi neuropsichiatrici, come la depressione, l’apatia, l’irritabilità, l’agitazione/aggressione e il comportamento motorio aberrante. I sintomi psichiatrici differiscono a seconda della tipologia di MCI. L’aMCI, infatti, presenta apatia, agitazione e irritabilità; invece, il naMCI depressione e ansia (S. Penna, 2013), che influenzano le prestazioni delle abilità cognitive (A. Bianchi, 2015).

Petersen nel 2004, sostiene che il MCI non è solo una fase prodromica dell’AD, ma anche di altre patologie neurodegenerative come Demenza Vascolare, Demenza a Corpi di Lewy e Demenza Fronto-Temporale (Fig. 3.6).

Fig. 3.6 Eziologia delle varie condizioni di Mild Cognitive Impairment. Tratto dall’articolo di Petersen e Negash dal titolo Mild Cognitive Impairment: An overview

A livello eziopategenetico si ritiene che una condizione di MCI possa derivare o da aspetti neurodegenerativi (ad esempio AD) o da difficoltà cerebro-vascolari o da sindromi psichiatriche (depressione) o da eventuali patologie internistiche e di insufficienza d’organo27(diabete mellito, cancro)

che possono compromettere il funzionamento cognitivo (R. C. Petersen, 2004).

Oltre a tutto ciò bisogna aggiungere che le funzioni cognitive globali e le attività di ogni giorno risultano ancora essere preservate (Petersen, 2004). Tale informazione può emergere al momento della visita prima della somministrazione dei test neuropsicologici. Infatti la fase testistica è una delle ultime fasi che compongono l’esame neuropsicologico, che aiuta il clinico, con minor margini di errori, nell’inquadramento nosografico. Tutta la fase precedente, gli fornisce un aiuto per potersi porre delle ipotesi riguardo il soggetto e la sua condizione. L’esame inizia con l’analisi della domanda, ossia l’analisi delle motivazioni che hanno condotto alla richiesta della valutazione cognitiva del soggetto. Il paziente può essere inviato da un medico di base o da un professionista oppure può essere che i familiari

27 L’integrità del funzionamento cerebrale è dipendente dall’efficienza degli altri organi

vitali, dal momento che la riserva metabolica cerebrale è molto limitata. Alterazioni anche lievi di organi o apparati e la conseguente riduzione della loro efficienza metabolica possono ripercuotersi sul funzionamento cerebrale, provocando manifestazioni neuropsichiatriche e alterazioni di tipo cognitivo.

richiedano un’indagine cognitiva per avere una spiegazione riguardo le difficoltà che il paziente sta incontrando. Fondamentale risulta essere l’intervista neuropsicologica per poter comprendere diverse informazioni. Il clinico può venire a conoscenza di informazioni appartenenti al soggetto (nome, cognome, data, luogo di nascita, professione), delle sue eventuali difficoltà linguistiche (comprensione e produzione), del comportamento della persona in luoghi non strutturati e della consapevolezza che il soggetto ha della propria malattia, attraverso un dialogo con lui e con il caregiver. La consapevolezza del disturbo risulta essere fondamentale per poter fare una diagnosi differenziale tra il soggetto con MCI e le varie forme di demenza come l’AD. Infatti come riporta Seelye (2010) il soggetto con MCI presenta un certo grado di consapevolezza del proprio disturbo, al contrario del demente. Questo può essere importante in sede diagnostica e seguente al fine di poter favorire l’adhrence e la compliance ad un eventuale trattamento riabilitativo.

Il soggetto con MCI presenta a livello mnesico una difficoltà nella memoria episodica anterograda, che ha delle conseguenze sulla routine della vita quotidiana. Ad esempio il soggetto non riuscirà a ricordare quello che un’altra persona gli ha appena riferito. Questo è stato evidenziato da Irish nel 2011. Oltre alla memoria episodica anterograda, possono essere compromesse la WM e la Memoria Prospettica.

La Memoria Prospettica, o Memoria del Futuro, è la capacità del soggetto di ricordare cosa deve fare nel futuro prossimo. Difficoltà di questo tipo tendono a essere più precoci e sono riportate molto facilmente dai familiari. Questo è dovuto probabilmente alla difficoltà nel saper recuperare l’informazione in maniera libera e autonoma (A. Costa e al, 2011). Questa forma di memoria è quella maggiormente legata alle attività strumentali della vita quotidiana (ad esempio ricordarsi che tra un’ora il soggetto dovrà andare dal medico per ritirare le ricette). Una difficoltà iniziale di tale memoria può essere un segnale per l’involuzione in demenza di Alzheimer (L. Spìndola e al, 2011). Queste difficoltà non risultano essere tipiche solo del soggetto con aMCI, ma anche nel soggetto con naMCI. Infatti anche i soggetti con MCI di tipo 3 e di tipo 4 presentano delle difficoltà nella memoria prospettica (B. Wang e al., 2012) meno pronunciate di quelle dei soggetti con MCI di tipo 1 e 2. Come per la WM, anche la Memoria Prospettica, prevede il coinvolgimento delle funzioni esecutive.

Oltre alla memoria, un soggetto con MCI potrebbe avere delle difficoltà che riguardano le Funzioni Esecutive (EF). Il termine EF indica una serie di processi cognitivi di ordine superiore che svolgono compiti di organizzazione e di controllo di altri processi per raggiungere uno scopo. Una loro difficoltà può presentarsi nel soggetto con MCI di qualunque tipo, visto lo stretto legame che esiste tra la memoria e le EF. In aggiunta è

possibile che soggetti con MCI possano presentare altre difficoltà (Social Cognition).

Csukly e collaboratori (2016) hanno rilevato delle differenze da un punto di vista strutturale nel cervello tra aMCI e naMCI. Tramite MRI nei soggetti con aMCI risultano essere presenti dei thickness della corteccia entorinale, giro fusiforme, dell’istmo della corteccia cingolata e del precuneo; a livello volumetrico si rileva una diminuzione del volume dell’amigdala e dell’ippocampo rispetto ai soggetti sani. Viene riscontrato, inoltre, che il volume dell’ippocampo e della corteccia entorinale è minore in un soggetto con aMCI rispetto ai naMCI. Ciò conferma che l’inizio della patologia di Alzheimer origina da queste zone (G. Csukly e al., 2016). Da studi longitudinali si evidenzia che l’accelerazione del tasso annuale di atrofia ippocampale, di atrofia corticale e dell’espansione ventricolare sono buoni predittori della progressione verso l’AD (C. R. Jack et al, 2004; K. L. Leung et al, 2013; R. C. Petersen et al. 2014). Il declino nelle prestazioni di memoria nei soggetti con aMCI correla con l’indebolimento delle strutture del lobo temporale, come la corteccia entorinale e l’amigdala (Fig. 3.7) (G. Csukly e al., 2016). O’Dwyer e colleghi (2011) hanno trovato la presenza di lesioni anche nel precuneo nei soggetti con naMCI, area importante nel processo di memoria e nell’immaginazione visiva. Questo ci permette di sostenere come queste due entità siano non solo diverse da un punto di vista teorico ma anche da un punto di vista di neuroimmaging. In letteratura è evidente come la condizione di amnesic-MCI sia caratterizzata dalla presenza di biomarcatori dell’AD come l’amiloide e le proteine tau per sostenere come questa entità sia la sua fase prodromica.

Fig. 3.7 Correlazione tra i punteggi che valutano la memoria a breve termine ottenuti dalla prova di apprendimento di coppi di parole e il volume dell’amigdala e il volume della corteccia entorinale. Immagine tratta dall’articolo di Csukly e colleghi dal titolo The

Differentiation of Amnestic Type MCI from the Non-Amnestic Types by Structural MRI

Studi su soggetti MCI hanno evidenziato come tale condizione abbia un’alta probabilità di evolversi in demenza, ma non solo. Una ricerca di Summers e

Saunders (2012) mostra come a distanza di dieci mesi dalla prima valutazione su un campione di 106 soggetti il 62.9% continua a soddisfare i criteri di MCI, il 24.7% ritorna in una condizione di non indebolimento cognitivo e il 12.3% converte in demenza. In seguito gli stessi autori svolgono un secondo follow-up sui pazienti MCI a distanza di venti mesi dalla diagnosi. Di questi si vede come il 20.83% evolve in AD. Dallo schema riportato nel loro articolo, Summers e Saunders, hanno descritto come 10 soggetti con diagnosi di aMCI multidominio a distanza di 20 mesi si sono convertiti in AD. Inoltre, si può notare che la diagnosi di aMCI singolo dominio sia instabile perché soggetti con tale diagnosi possono ritornare più facilmente ad una condizione di non indebolimento cognitivo rispetto ai naMCI o agli aMCI multidominio. Emerge che di quel 62.9% che continua a soddisfare il criterio di MCI al primo follow-up, solo 33 soggetti rimangono nella stessa categoria diagnostica, mentre i rimanenti convertono negli altri sottotipi diagnostici (Fig. 3.8). Questo processo di conversione diagnostica, descritto dai due autori, permette di portare alla luce due critiche nei confronti del concetto di MCI:

● la debole sensibilità della diagnosi di MCI;

● la mancanza di specifici criteri per la discriminazione tra le variazioni subcliniche e quelle dovute all’invecchiamento normale28.

Fig. 3.8 Outcomes dei partecipanti a 20 mesi dalla valutazione. Tratto dall’articolo di Summers e Saunders dal titolo Neuropsychological Measures Predict Decline to Alzheimer’s Dementia

From Mild Cognitive Impairment

28 Per fare fronte a questa difficoltà Bondi e Edmonds (2014) attraverso una cluster

analysis sono riusciti ad identificare tre sottogruppi di MCI: amnesico, linguistico e

disecutivo/misto permettendo in questo modo di poter rendere tale entità più stabile introducendo una valutazione che comporta l’introduzione di 6 test due per dominio (memoria, linguaggio e funzioni esecutive).

Da una metanalisi si può sostenere come il rischio di conversione annuale del MCI in AD sia pari all’11.7% nel caso di aMCI, al 12.2% nel caso di aMCI multidominio e al 4.1% nel caso di naMCI (A. J. Mitchell e M. Shiri- Feshki, 2009). Questi dati si aggiungono alle conoscenze presenti in letteratura sul processo di conversione di MCI. L’amnesic-MCI risulta essere la tipica fase prodromica (R. C. Petersen, 2016; G. Csukly, E. Siràly, 2016) e ad alto rischio di conversione in AD (M. Grundman, 2004; G. Csukly, E. Siràly, 2016) ma anche di altri fenotipi come l’afasia logopenica o l’atrofia corticale posteriore (R. C. Petersen, 2016). Invece il non amnestic-MCI ha un alto rischio di convertirsi in Demenza a Corpi Diffusi di Lewy e in una Degenerazione Lobare Fronto-Temporale e non in una AD (R.C. Petersen et al, 1999; R.J. Killany et al, 2000; R.C. Petersen et S. Negash, 2008; G. Csukly, E. Siràly, 2016).

Nel 2011 il National Institute on Aging e l’Alzheimer’s Association hanno convocato dei gruppi di lavoro per l’intero spettro dell’AD. Questi hanno usato i criteri elaborati a Stoccolma (2003) rendendo più esplicite alcune caratteristiche diagnostiche ad esempio aggiungendo la presenza di biomakers dell’AD, al fine di riconoscere l’eziologia sottostante. In questo caso però non viene fatta alcuna differenziazione tra amnestic-MCI e non amnestic-MCI. In contemporanea a questo lavoro, un altro gruppo di ricerca ha cominciato a redigere il DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder) (APA, 2014). Il manuale diagnostico descrive nella categoria dei disordini neurocognitivi il disturbo neurocognitivo lieve che coincide con una condizione di pre-demenza (R. C. Petersen, 2016). Tutte le condizioni di MCI, siano queste amnesiche o non amnesiche o a singolo dominio o a multidominio, conducono a questa categoria diagnostica per il DSM-5.

3.6 Correlazione tra Funzioni Cognitive e Teoria della Mente nelle