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La definizione del sistema integrato dei servizi alla persona (l.r 23/2005)

3 Verso nuovi modelli di welfare

4. La Regione Sardegna e l’implementazione territoriale dei servizi socio-sanitar

4.1 La definizione del sistema integrato dei servizi alla persona (l.r 23/2005)

La legge quadro 328/2000 riassume in sé l’esplicitazione di alcuni principi, alcune propensioni e alcune tendenze che hanno orientato ed influenzato i percorsi di ridefinizione del welfare State. La spinta legislativa alla promozione di innovativi e sperimentali modelli di partecipazione sociale per la produzione di servizi alla persona riflette altresì una necessità percepita durante la fase iniziale dell’analisi della crisi dello Stato sociale e riconducibile alla necessità istituzionalmente riconosciuta di ricollocare concettualmente l’interpretazione comune dell’idea di benessere.

All’interno delle relazioni tra cittadino e Stato, il benessere veniva inteso solo ed esclusivamente in termini di garanzia di un pacchetto standard di servizi all’interno di un rapporto caratterizzato da una condizione di mera passività dell’assistito/utente di fronte a uno Stato programmatore ed erogatore delle prestazioni.

Lo scenario contemporaneo vede invece l’affermazione ed il riconoscimento istituzionale del ruolo di attiva responsabilizzazione rivestito dai cittadini tutti, in forma singola oppure associata, per la creazione e la determinazione di un panorama di servizi che sia realmente promotore di azioni che favoriscono la piena realizzazione delle persone e che sia orientato anche alla diffusione di un

benessere legato anche alle pratiche comunitarie di coinvolgimento e tutela di tutti i componenti. Le possibili strategie ora individuabili evocano concetti, idee e pratiche dell’agire sociale riconducibili ai principi di sussidiarietà, empowerment e

governance.

Attraverso questo ideale orientamento si rende più esperibile la partecipazione a un nuovo percorso istituzionale di modellamento delle politiche sociali attraverso un più completo ed equilibrato coinvolgimento degli attori sociali, pubblici e privati, nelle dinamiche di produzione del benessere collettivo:

“la qualità della vita è un compito che né il solo Stato né la sola società civile possono realizzare. È un compito comune nella

distinzione dei rispettivi interventi, secondo specificità di compiti e di relazioni di input/output che non possono essere ricondotti all’egemonia dell’uno o dell’altro polo.”218

Il paradigma secondo il quale il benessere della popolazione debba essere necessariamente il fine ultimo dell’azione di protezione, prevenzione ed assistenza degli organi centrali del governo delle politiche sociali è stato messo in discussione, come abbiamo già avuto modo di vedere, ancor prima dell’emanazione della legge 328/2000. L’incapacità dello Stato nel gestire il sistema dei servizi alla persona ha generato lentamente la diffusione della consapevolezza che la società civile, nelle sue forme organizzate, siano esse formali oppure informali, possa realmente divenire attore riconosciuto nelle pratiche di cura.

La legge quadro ha difatti cercato di portare sotto una comune definizione di regole il numero consistente di esperienze regionali di amministrazione dei servizi alla persona che progressivamente emergevano in Italia. Essa fotografa una situazione già esistente, venutasi a definire a partire dai presupposti normativi dettati dal decreto legislativo 112/1998, al fine di raccogliere sotto un’unica forma normativa tutte le legislazioni regionali che già esistevano:

“il quadro di diritto regionale vigente al momento dell’entrata in vigore della 328/2000 era già piuttosto all’avanguardia, posto che varie Regioni avevano provveduto anche prima del d.lgs. 112/1998 a dotarsi di discipline in materia socio-assistenziale ispirate a quei principi che hanno poi contraddistinto la riforma amministrativa alla fine degli anni Novanta.”219

La pratica istituzionale del governo amministrativo centrale è stata quindi progressivamente affiancata, in termini collaborativi, dalle azioni e dai provvedimenti normativi territoriali e comunitari ancor prima che la legge quadro facesse la propria comparsa, come se questa fosse la manifestazione di una volontà locale finalizzata ad attivare percorsi territoriali per rendere più efficienti ed efficaci i servizi di cura alla persona.

All’interno di questo panorama si pongono numerosi attori riconosciuti ed indicati nella legge 328/2000, attori appartenenti alle diverse forme aggregative del privato sociale. In esso, il perseguimento della diffusione e della garanzia delle forme del benessere per il territorio viene a porsi, come afferma Donati, come “un

compito comune nella distinzione dei rispettivi interventi”220. Questa affermazione racchiude in sé il principio fondante di qualsiasi azione di integrazione socio- sanitaria intesa nella legge quadro.

Il riferimento costante al concetto stesso di ‘integrazione’ tra servizi sociali, servizi sociosanitari e servizi sanitari è la chiave interpretativa dell’azione riformatrice degli stessi servizi. La promozione e la tutela della salute dipendono da una vasta serie di iniziative e di interventi che non sono di esclusiva competenza medica e sanitaria, ma che richiedono la presenza di altri servizi e professionalità (scuola, assistenza, abitazione, lavoro, ecc.) globalmente rivolti

219 C. Bozzacchi, Commento all’art. 8, l. 328/2000, in E. Balboni, B. Baroni, A. Mattioni, G.

Pastori (a cura di), Il sistema integrato dei servizi sociali. Commento alla legge n. 328 del 2000 e

ai provvedimenti attuativi dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, Giuffrè Editore, Milano, 2007, p. 246. Alcuni esempi che hanno anticipato la normativa nazionale in seno alla riorganizzazione regionale dei servizi sociali, sanitari e sociosanitari riguardano le esperienze della Regione Toscana (legge regionale n. 72/1997), della Regione Umbria (legge regionale n. 3/1997), della Regione Abruzzo (legge regionale n. 22/1998), della Regione Basilicata (legge regionale n. 25/1997), della Regione Lazio (legge regionale n. 38/1996), della Regione Liguria (legge regionale n. 30/1998) e della Regione Molise (legge regionale n. 1/2000).

alla persona considerata nella sua unità spirituale, morale, psicologica oltre che fisica. La promozione di una visione diversa del cittadino, una visione che lo presenti cioè come ‘persona’, nella sua complessità e nella sua completezza, richiede necessariamente un forte e costante impegno intellettuale al fine di scardinare i modelli interpretativi della cura alla persona fondati invece sul primato della medicina, piuttosto che sulla ricerca di un equilibrio di questi con gli interventi sociali, che hanno di fatto caratterizzato la quasi totalità delle azioni di politica sociale degli ultimi anni

La realizzazione di una concreta integrazione tra i servizi sociali, socio- sanitari e sanitari, e di questi con le pratiche sociali comunitarie, per la promozione del benessere è l’obiettivo che si pone la Regione Sardegna, nella declinazione regionale della legge quadro 328/2000, attraverso la legge regionale 23/2005 “Sistema integrato dei servizi alla persona. Abrogazione della legge

regionale n. 4 del 1998 (Riordino delle funzioni socio-assistenziali)”.

Sostanzialmente, la legge regionale 23/2005 non si discosta dai criteri normativi indicati dalla legge quadro nazionale, e ancor prima dal decreto legislativo 112/1998, ed adempie pienamente, seppur in ritardo, ai compiti di regolamentazione regionale dei ruoli e delle funzioni delle istituzioni e dei soggetti del privato sociale coinvolti nell’azione di erogazione dei servizi di cura. Il “sistema integrato dei servizi alla persona” che la legge disciplina si riferisce a:

“l’insieme delle attività di programmazione, realizzazione e valutazione dei servizi e delle prestazioni volte a favorire il benessere delle persone e delle famiglie che si trovino in situazioni di bisogno sociale, esclusi gli interventi predisposti dal sistema sanitario, previdenziale e di amministrazione della giustizia.”221

L’esclusione dalla progettazione degli interventi del settore sanitario, previdenziale e di quello relativo alla giustizia è un chiaro ed esplicito riferimento alla definizione che il decreto legislativo 112/1998 fornisce sui “servizi

221 Legge regionale 23/2005, art. 1, comma 2, “Sistema integrato dei servizi alla persona.

sociali”222. Effettivamente, secondo l’opinione di alcuni giuristi la legge regionale 23/2005 farebbe frequentemente riferimento al suddetto decreto legislativo in merito a precisi ambiti normativi piuttosto che riferirsi in modo esclusivo ai principi dettati dalla legge 328/2000:

“[tra tutte] ancora più innovativa e significativa si presenta la normativa della Regione Sardegna la quale, peraltro, non si richiama espressamente alla legge quadro del 2000, benché l’impianto generale della disciplina dimostri il suo riferimento alla normativa nazionale: è invece esplicito il rinvio al d.lgs. 112/1998, in virtù del quale la Regione dichiara le proprie funzioni di programmazione, promozione, organizzazione e finanziamento del sistema integrato a cui concorrono anche i Comuni e le Province.”223

Bozzacchi fa qui riferimento agli articoli 6, 7 e 8 della legge regionale 23/2005 in cui vengono appunto indicate le rispettive competenze degli attori istituzionali coinvolti nell’attuazione del sistema integrato dei servizi alla persona. In questi articoli viene sostanzialmente indicato l’ambito di esercizio degli incarichi in capo alle differenti istituzioni. Attraverso la lunga e radicata azione di integrazione tra le istituzioni, Comuni, Province e Regioni concorrono nella programmazione, promozione, organizzazione e finanziamento dei servizi e dei livelli essenziali di assistenza.

Quindi, oltre all’integrazione dei differenti servizi alla persona, nella legge regionale 23/2005 viene posta una rilevante attenzione sulle forme di integrazione istituzionale. Quest’ultima si basa sostanzialmente sulla necessità di promuovere collaborazioni fra istituzioni diverse, sia per funzione sia per livello, le quali organizzano, sincronizzano e coordinano i propri interventi e le proprie specificità operative, amministrative oppure gestionali per conseguire comuni obiettivi.

222 “Ai sensi del presente decreto legislativo, per “servizi sociali” si intendono tutte le attività

relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.”. Art. 128, d.lgs. 112/1998.

Uno degli aspetti innovativi contenuti nella legge regionale 23/2005 riguarda appunto la definizione della nozione di livello essenziale definito in tre articoli224. In essi vengono indicati dettagliatamente i criteri per la definizione dei

livelli essenziali di assistenza. Nello specifico, all’articolo 28 si rimanda esplicitamente ai criteri declinati all’interno del testo costituzionale225 e all’articolo 29 della medesima legge regionale nel quale si definiscono gli elementi indispensabili per la loro determinazione:

“la definizione dei livelli essenziali di assistenza avviene attraverso la indicazione dei seguenti elementi: a) la misura di finanziamento, su base pro-capite ponderata, da garantire in tutto il territorio regionale; b) gli standard di erogazione dei servizi sociali e sociosanitari con riferimento alla popolazione assistita ed ai suoi bisogni, assicurando che in ogni ambito territoriale siano comunque garantite funzioni di accesso universalistico e di valutazione professionale del bisogno, funzioni di promozione e prevenzione, funzioni di pronto intervento sociale, funzioni di intervento domiciliare, diurno e residenziale.”226

La Regione Sardegna ha previsto normativamente la possibilità che gli enti locali in generale definiscano ed attuino livelli essenziali di assistenza ulteriori o differenti rispetto a quelli previsti dalla legge stessa, pursempre garantendo il soddisfacimento dei requisiti prestazionali garantiti dalla Costituzione e dalla legge quadro nazionale. In riferimento ai criteri generali di attuazione e di garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni, la legge 23/2005 indica chiaramente le principali modalità di realizzazione di questi, che possono essere esplicitate attraverso: misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito; servizi di accompagnamento per l’inclusione sociale; interventi di tutela dei minori in situazioni di disagio e di nuclei familiari in difficoltà; misure

224 Legge regionale 23/2005, artt. 28, 29, 30.

225 “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione,

nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: […] m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Costituzione della Repubblica italiana Parte II, Titolo V, art. 117, comma 2, lettera m.

economiche e servizi per favorire la vita autonoma e la permanenza nel proprio domicilio di persone non autosufficienti; pronto intervento sociale per fronteggiare emergenze personali e familiari; interventi di accoglienza presso famiglie, persone e servizi semiresidenziali e residenziali; interventi per affrontare condizioni di dipendenza da sostanze e da altra causa; prestazioni per l’inserimento e l’integrazione sociale di persone con disabilità fisica e psichica; interventi in favore dei soggetti sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria e a misure alternative alla detenzione, in stato di bisogno e privi di risorse per il loro reinserimento e integrazione sociale227.

Benché queste indicazioni rispecchino pienamente quelle definite nella legge quadro 328/2000228, il legislatore regionale ha pensato bene di fornire agli enti territoriali ulteriori e concrete opportunità legali per una piena declinazione ed implementazione comunitaria dei principi normativi nazionali.

Secondo questa prospettiva, la compositezza del territorio nazionale, e dei propri ambiti regionali, richiede l’apprendimento da parte delle istituzioni di una celere capacità di adattamento alle peculiarità territoriali che non possono essere né riconosciute né comprese all’interno di una prospettiva regolatrice nazionale.

L’opportunità di definire ulteriori modalità di interpretazione degli essenziali interventi di cura, secondo le propensioni e le problematiche della vita quotidiana di ogni singola comunità presente nel territorio isolano e previa indicazione delle modalità di finanziamento degli interventi proposti229, denota una particolare attenzione e sensibilità alle dinamiche di partecipazione e di

governance.

In tale prospettiva risiede un ulteriore aspetto di innovazione e di originalità nella pratica di organizzazione e regolamentazione dei servizi integrati della Sardegna. La legge regionale 23/2005 individua negli attori sociali (persone, famiglie, soggetti sociali solidali, organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale230) e negli attori professionali (le imprese sociali definite

227 Legge regionale 23/2005, art. 30. 228 Legge 328/2000, art. 2.

229 Legge regionale 23/2005, art. 28, comma 2. 230 Legge regionale 23/2005, artt. 9, 10, 11, 12.

secondo la legge 118/2005231 e le cooperative sociali secondo la legge regionale 16/1997232) i soggetti che a pieno titolo hanno il diritto di rivestire un ruolo

determinante in seno ai momenti di definizione, di organizzazione, di gestione, di implementazione e di valutazione delle nuove azioni del sistema integrato dei servizi alla persona.

Tuttavia, diversi studiosi sostengono che le linee guida per la realizzazione del sistema integrato dei servizi indicate nella legge 328/2000 non consentano di creare una reale partecipazione politica dei cosiddetti attori professionali al policy

making e alla progettazione degli interventi. Viene sostenuto che ad essi venga solo consentito di affiancarsi ai soggetti pubblici rivestendo un ruolo che, nello specifico, non avrebbe così il riconoscimento di “pari dignità”. Secondo questa posizione, tutti i soggetti del privato sociale che comparteciperebbero alla realizzazione del sistema dei servizi alla persona non sarebbero effettivamente parte integrante dei momenti di decisione politica del processo di pianificazione dei servizi, ma verrebbero di fatto relegati al ruolo di attori appaltatori, gestori ed erogatori di un determinato campo dei servizi alla persona, secondo una logica di

outsourcing che rappresenta una modalità parziale e riduttiva di intendere ed applicare il principio di sussidiarietà e di integrazione233.

In questo panorama verrebbe a manifestarsi quel fenomeno che Ivo Colozzi definisce modello duale dei servizi socio-sanitari. L’autore delinea un panorama in cui i soggetti pubblici ed istituzionali resterebbero al centro degli interventi legislativi mentre l’universo degli attori sociali e professionali, secondo la definizione della legge regionale 23/2005, e la molteplicità delle azioni da loro messe in atto in termini assistenza, verrebbero semplicemente valorizzati ma sempre ed unicamente come attori comprimari234.

Sostanzialmente, l’idea sembrerebbe essere quella di intendere i provvedimenti normativi contenuti nella legge quadro come orientati ad

231 Legge n. 118 del 13 giugno 2005, Delega al Governo concernente la disciplina dell'impresa

sociale.

232 Legge Regionale n. 16 del 22 aprile 1997, Norme per la promozione e lo sviluppo della

cooperazione sociale.

233 Cfr. L. Pesenti, Nuovi modelli di regolazione regionale nei servizi socio-assistenziali, cit.; S.

Dugone, Solidarietà e sussidiarietà nel sistema dei servizi, in “Studi Zancan”, 2, 2001; L. Violini (a cura di), Verifiche settoriali sulle condizioni di esercizio della sussidiarietà orizzontale in

Lombardia, CRISP-IRER, Milano, 2002.

interpretare il ruolo del privato sociale come soggetto complementare ai soggetti istituzionali, nell’ottica di integrazione residuale nel sistema dei servizi socio- sanitari. La legge 328/2000 è, come appena ricordato, una legge quadro ed offre pertanto unicamente delle linee guida per l’orientamento della normativa regionale che ai suoi principi si deve ispirare nella propria declinazione territoriale. In questi termini risulta essere determinante il ruolo giocato dagli amministratori regionali, in particolare dalla loro sensibilità nell’interpretazione della legge 328/2000 e nella lettura del territorio, e dalla cittadinanza attiva, ovverosia dal ruolo partecipativo che ad essa viene riconosciuto dalle stesse istituzioni, e che essa stessa adopera.

L’esperienza della Regione Sardegna e l’impegno legislativo dell’amministrazione regionale sconfessano le interpretazioni teoriche appena presentate e mostrano un ulteriore possibile scenario in cui, a una strenua volontà dell’istituzione regionale di creare compartecipazione politica e sociale alla definizione dei criteri fondanti il nuovo sistema di servizi territoriali, segue la realizzazione di un impianto normativo che pone solidi presupposti per una effettiva realizzazione di questo obiettivo che già ora manifesta i primi risultati.

In seno al processo di promozione dell’integrazione, il gruppo degli attori

sociali ricopre un ruolo fondamentale nei percorsi di attuazione della normativa in esame, poiché soggetti attivi nelle fasi di creazione dei servizi integrati territoriali. All’interno dello specifico modello di governance promossa da questo approccio risiede anche una finalità differente, quella legata ad azioni di promozione dell’idea e delle pratiche della responsabilità, secondo le quali verrebbero stimolate sia le dinamiche di partecipazione ai momenti di concertazione politica, sia le pratiche di prevenzione delle forme di malessere sociale attraverso l’emergere e il consolidarsi delle azioni di auto e mutuo aiuto per il rinnovamento e l’arricchimento del capitale sociale comunitario.

Gli attori professionali intervengono nel processo di integrazione dei servizi alla persona anche attraverso la costruzione di reti civiche e di interventi volti alla ricerca e alla diffusione del benessere della comunità, secondo le modalità previste dalla legge che riconosce loro un ruolo cardine nei processi di

“svolgere una funzione pubblica, come forma di partecipazione diretta dei cittadini ai processi di sviluppo economico e di crescita del capitale sociale delle comunità locali e regionale, di esercizio dei diritti delle fasce deboli della popolazione, di costruzione di reti civiche e di interventi volti alla ricerca e alla diffusione del benessere della comunità regionale.”235

Le imprese sociali rappresenterebbero perciò le istanze della comunità di cui sono espressione, attraverso l’esercizio delle proprie competenze negli ambiti istituzionali della pratica politica per la creazione di politiche sociali territoriali. In esse risiede la forza promozionale, la capacità interpretativa dei bisogni e delle problematiche del territorio e quelle abilità comunicative ed innovative tipiche delle singole realtà identitarie territoriali che le istituzioni, attraverso l’emanazione della legge 23/2005, mirano a coinvolgere direttamente per incentivare le esperienze di governance e, al contempo, il grado di integrazione comunitaria delle politiche sociali.

Gli attori professionali sarebbero in grado altresì di generare nuove esperienze di imprenditoria solidale capaci di incrementare le risorse delle comunità e del proprio capitale sociale, valorizzando le potenzialità inespresse delle risorse locali.

Alcuni degli effetti cui ha dato luogo la parabola di implementazione della nuova concezione dei servizi socio-sanitari, a seguito della legge quadro 328/2000 e, soprattutto, nella sua declinazione regionale specifica che trova riferimento in Sardegna nella legge regionale 23/2005, sono riconducibili all’idea di un necessario coinvolgimento e collaborazione della società civile nei processi di

governance e di integrazione dei servizi alla persona.

L’esperienza italiana ha portato all’emersione di tendenze differenti nella diffusione e nell’attuazione dei principi di integrazione dei servizi alla persona, in virtù di una prospettiva nazionale oppure di una prospettiva locale nell’interpretazione di questi. In ambito nazionale abbiamo di fatto assistito al

manifestarsi di una tendenza centripeta che ha operato, attraverso la legge 328/2000, per far convergere verso un unico modello unitario di servizi alla persona, legalmente riconosciuto le numerose esperienze normative regionali già operanti.

Per contro, una volta indicate le linee guida fondamentali per la creazione di un nuovo sistema integrato di servizi alla persona su scala nazionale, abbiamo assistito al proliferare delle esperienze regionali secondo una tendenza centrifuga che ha determinato altresì l’emergere di numerose esperienze differenti per modalità organizzative, tempistica e per risultati ottenuti.

Molti autori hanno cercato una chiave interpretativa adeguata a descrivere e chiarire il fenomeno di trasformazione del welfare State italiano. Tra i tanti, Marcello Fedele parla di particolari “processi di fusione e di fissione”236 all’interno del percorso di morfogenesi del welfare State. Esporremo brevemente la sua teorizzazione perché utile, in parte, per far emergere l’aspetto di