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L’inizio del percorso di decentralizzazione nelle politiche social

2. Nascita e definizione del welfare State in Italia

2.3 Il percorso di territorializzazione del Welfare State italiano nello scenario contemporaneo

2.3.2 L’inizio del percorso di decentralizzazione nelle politiche social

In tal senso, il Parlamento italiano indicò chiaramente i propri orientamenti riformisti in termini di decentralizzazione dei soggetti gestionali delle politiche sociali attraverso l’emanazione della Legge n. 59/1997, la cosiddetta “Legge

Bassanini”111 che trovò la propria attuazione con la successiva approvazione del Decreto Legislativo n. 112/1998 sul “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”.

L’idea basilare di questo decreto legislativo risiede nei principi di decentramento delle competenze amministrative di alcuni settori della vita pubblica del Paese indicati dal legislatore nel seguente ordine: lo sviluppo economico e le attività produttive; il settore del territorio, dell’ambiente e delle infrastrutture; i servizi alla persona e alla comunità; la polizia amministrativa regionale e locale.

Il passaggio dei suddetti compiti amministrativi alle istituzioni territoriali è un fenomeno che si manifestato in numerosi contesti internazionali secondo differenti modalità. Ciò sembrerebbe esser il frutto al contempo di spinte autonomiste e di tendenze a cedere, ma non a delegare, determinati ambiti amministrativi, nell’incapacità dello Stato centrale di sostenere la loro gestione dinanzi alla generale tendenza a perseguire risultati inefficienti ed inefficaci.

Il Decreto Legislativo n. 112/1998 pone così i presupposti per l’inizio del percorso di creazione di una esperienza italiana di devolution, percorso in cui le responsabilità così condivise ambirebbero a ridefinire e rigenerare, nel caso specifico del nostro interesse conoscitivo, la sfera delle politiche sociali. Il termine ‘devolution’ fa riferimento a una chiara rinuncia ad intervenire in maniera direttiva, a favore di uno slittamento delle responsabilità e competenze dal governo centrale al governo delle Regioni, da questi ai governi locali fino alle

comunità, alla cosiddetta società civile. Ciò non può significare che lo Stato abdica alla sua funzione di assunzione di responsabilità: i percorsi di autonomia vanno infatti supportati dal ruolo che lo Stato può giocare anche in termini di tutela.

Il conferimento alle Regioni di tutte le funzioni e i compiti amministrativi riconducibili all’ambito dei servizi socio-sanitari, fatta eccezione per quelli

111 Legge n. 59 del 15 marzo 1997, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti

alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

espressamente mantenuti allo Stato112, non è da intendersi come un atto di delega da parte del governo che difatti detiene alcune delle competenze fondamentali per la tutela e la salvaguardia del benessere pubblico e nazionale.

Il decreto segue un criterio espositivo che predilige l’indicazione delle competenze statali, escludendo così di fatto una chiara ed inequivocabile indicazione degli ambiti passati nei poteri dell’amministrazione regionale. Questo parrebbe essere un aspetto non trascurabile, non tanto nella applicazione generale delle singole norme ma nella quotidiana pratica operativa, poiché relega alcune sfere di pertinenza nell’indefinibile limbo in cui esse potrebbero, in virtù di una interpretazione funzionale a interessi particolaristici momentanei, ricadere nella categoria delle competenze dello Stato piuttosto che di quelle regionali.

I settori disciplinati che saranno oggetto della nostra riflessione saranno quello concernente i servizi sanitari e quello dei servizi sociali che nel decreto legislativo in oggetto vengono interpretati come due ambiti distinti delle politiche sociali e perciò affrontati in due differenti Capi del Titolo IV.

Per ciò che riguarda l’ambito sanitario, lo Stato mantiene le seguenti competenze: sulle sostanze stupefacenti e psicotrope e la tossicodipendenza; la procreazione umana naturale ed assistita; sui rifiuti speciali derivanti da attività sanitarie; la tutela sanitaria rispetto alle radiazioni ionizzanti; sulla dismissione dell’amianto; sul sangue umano e i suoi componenti, la produzione di plasmaderivati ed i trapianti; sulla sorveglianza ed il controllo di epidemie ed epizozie di dimensioni nazionali o internazionali; sulla farmacovigilanza e farmacoepidemiologia nonché la rapida allerta sui prodotti irregolari; sull’impiego e l’emissione deliberata nell’ambiente di microrganismi geneticamente modificati113.

Si evince chiaramente che gli ambiti tuttora ritenuti legalmente di competenza dello Stato Italiano sono quelli che effettivamente riguardano le problematiche più controverse dei dibattiti nazionali ed internazionali della

112 “Sono conferiti alle regioni, secondo le modalità e le regole fissate dagli articoli del presente

capo, tutte le funzioni e i compiti amministrativi in tema di salute umana e sanità veterinaria, salvo quelli espressamente mantenuti allo Stato”. Decreto legislativo n. 112/1998, art. 114,

Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59.

medicina moderna (la procreazione naturale ed assistita, l’uso di sostanze psicotrope, la farmacovigilanza, le epidemie e gli effetti ambientali dei microrganismi geneticamente modificati).

Da un punto di vista riguardante le funzioni e i compiti amministrativi legati alla sanità pubblica114, lo Stato si riserva il diritto e dovere di supervisionare e provvedere all’adozione del Piano Sanitario Nazionale, l’adozione dei piani di settore aventi rilievo ed applicazione nazionali, nonché la destinazione delle relative risorse alle regioni, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Viene così ribadito, sostenuto ed affermato il mantenimento del ruolo centrale dello Stato nel processo di promulgazione ed attuazione dei provvedimenti normativi ed amministrativi tout court che riguardano gli ambiti sovraregionali, senza però tralasciare l’esplicita manifestazione di volontà a voler sostenere il dialogo con le Regioni attraverso l’apposita Conferenza.

Inoltre, resteranno di competenza dello Stato i seguenti compiti: l’adozione di norme, linee-guida e prescrizioni tecniche di natura igienico-sanitaria; la formazione e le modifiche delle tabelle e degli elenchi relativi a sostanze o prodotti sottoposti a una qualsivoglia autorizzazione, obblighi di notificazione, restrizioni o divieti da parte del Ministero della Sanità; l’approvazione di manuali e istruzioni tecniche su tematiche sanitarie di interesse nazionale; lo svolgimento di ispezioni, anche mediante l’accesso agli uffici e alla documentazione, nei confronti degli organismi che esercitano le funzioni e i compiti amministrativi conferiti; la definizione di un modello di accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e private.

Oltre ad affermare la necessità e la volontà di detenere gli strumenti e il diritto di supervisionare e controllare gli attori pubblici e privati coinvolti in qualche modo, a livello nazionale, nei meccanismi e nei ruoli offerti dal Servizio Sanitario Nazionale, lo Stato si pone altresì come garante del buon operato delle amministrazioni regionali attraverso l’adempimento delle seguenti mansioni: l’approvazione dei piani e dei programmi di settore non aventi rilievo e applicazione nazionale; l’adozione dei provvedimenti puntuali e l’erogazione delle prestazioni; la verifica della conformità rispetto alla normativa nazionale e

comunitaria di tutte le strutture, le attività e le tecniche d’intervento riguardanti l’ambito sanitario.

Nel titolo IV del decreto vengono quindi affrontati e normati i temi riguardanti i servizi alla persona e alla comunità, suddividendo questi tra i temi inerenti la tutela della salute, al Capo I, e i servizi sociali, al Capo II. Tale netta separazione, seppur in contrasto con la normativa vigente che affronta questi ambiti secondo una prospettiva di integrazione dei servizi, ci pare comunque di notevole utilità perché ci offre l’opportunità di affrontare, approfondire, presentare e delineare concettualmente in maniera distinta le caratteristiche peculiari e gli ambiti di intervento dei servizi sociali e dei servizi sanitari. Di fatto il presente decreto legislativo ha consolidato le basi concettuali, peraltro già presenti nella legge n. 59 del 1997 che lo precede, che hanno contribuito a definire profondamente le modalità di implementazione ed organizzazione dei servizi sociali e sanitari nei provvedimenti normativi successivi.

Nella normativa in oggetto vengono fin da subito definiti gli ambiti di intervento ritenuti di competenza dei servizi sociali attraverso la seguente definizione:

“ai sensi del presente decreto legislativo, per “servizi sociali” si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.”115

In effetti, la precedente definizione è puramente tecnica, normativa, necessaria e funzionale alla delimitazione di un preciso ambito concettuale in riferimento all’oggetto trattato116. Tuttavia, secondo la prospettiva interpretativa

115 Art. 128, d.lgs. 112/1998.

116 I servizi sociali possono sicuramente essere ricondotti a uno dei numerosi sottosistemi delle

del ruolo e delle funzioni dei servizi sociali del decreto legislativo 112/1998, il legislatore stabilisce le seguenti competenze che di fatto permangono sotto il diretto controllo dello Stato: la determinazione dei criteri generali per la programmazione della rete degli interventi di integrazione sociale da attuare a livello locale; la determinazione degli standard dei servizi sociali da ritenersi essenziali in funzione di adeguati livelli delle condizioni di vita; i compiti di assistenza tecnica, su richiesta dagli enti locali e territoriali, nonché compiti di raccordo in materia di informazione e circolazione dei dati concernenti le politiche sociali, ai fini della valutazione e monitoraggio dell'efficacia della spesa per le politiche sociali; i rapporti con gli organismi internazionali e il coordinamento dei rapporti con gli organismi dell'Unione europea operanti nei settori delle politiche sociali; la fissazione dei requisiti per la determinazione dei profili professionali degli operatori sociali; tutti i provvedimenti in materia di immigrazione117.

Nel caso specifico delle materie concernenti i servizi sociali, la normativa presenta e indica quali funzioni verrebbero a essere quindi trasferite dalle Regioni ai Comuni, secondo una prima forma embrionale di decentramento amministrativo. I servizi a cui si fa riferimento sono quelli riguardanti i minori, inclusi i minori a rischio di attività criminose; i giovani; gli anziani; la famiglia118; i portatori di handicap, i non vedenti e gli audiolesi; i tossicodipendenti e dell’oggetto di riferimento sia del contesto operativo dei servizi sociali: l’ambiente socio-culturale e le sue costanti trasformazioni, nonché le organizzazioni, siano esse statali, private o sociali, che in esso agiscono. All’interno della vasta bibliografia che affronta il tema dei servizi sociali, citeremo la definizione che di questi viene elaborata da Paolo Ferrario nel Dizionario del Servizio Sociale e che intreccia i tre approcci precedentemente indicati (politiche sociali, trasformazioni socio-culturali, organizzazioni): i servizi sociali sono “organizzazioni e attività che hanno la funzione di rispondere ai bisogni individuali che non possono, a breve o a lungo termine, essere affrontati mediante le proprie risorse personali e relazionali e che richiedono la mobilitazione di azioni sostenute dal sistema pubblico, l’attivazione di competenze professionali specifiche, la partecipazione attiva delle persone alla costruzione del loro benessere”. P. Ferrario, voce “Servizi

sociali”, in M. Dal Pra Ponticelli (diretto da), Dizionario di Servizio Sociale, cit., p. 578.

117 Decreto legislativo n. 112/1998, art. 129.

118 Nell’abito delle politiche sociali la famiglia è sempre e costantemente considerata un’istituzione

sociale di fondamentale importanza per la società, per i propri membri, ma soprattutto per la vita stessa del sistema di welfare giacché al suo interno vivono modalità relazionali capaci di diffondere benessere e di sopperire alle manchevolezze delle stesse politiche sociali, quando non ai problemi che esse stesse più o meno inavvertitamente causano. Difatti “la famiglia costituisce l’istituzione collettiva minima che, nella pluralità delle sua forme, svolge attività a favore dei propri componenti. All’interno della famiglia si verificano infatti importanti trasferimenti, finalizzati ad assicurare ad ogni componente un certo benessere, sia nella vita di ogni giorno che nell’intero ciclo di vita”. C. Borzaga, L. Fazzi, Manuale di politica sociale, Franco Angeli, Milano, 2005, p. 23.

alcooldipendenti; gli invalidi civili. Inoltre le Regioni assumono anche il compito di promuovere e coordinare operativamente tutti i soggetti che operano nell’ambito dei servizi alla persona, soggetti pubblici, privati o del privato sociale, con particolare riguardo agli attori della cooperazione sociale e del volontariato119. La definizione di servizi sociali che viene data nel presente decreto legislativo è una definizione che appare subito come incompleta e meramente funzionale all’obiettivo regolatore del legislatore, ancora legato a una concezione di politiche sociali di tipo settorial3. Per esempio, a differenza dell’attuale normativa europea, la definizione utilizzata nel decreto legislativo esclude di fatto in modo esplicito il settore sanitario dalle proprie competenze e tralascia di indicare come ambito di intervento le politiche abitative120.

La palese e netta distinzione che viene fatta tra i servizi sanitari e i servizi sociali nell’ambito delle politiche sociali a nostro avviso si presenta come il punto critico di questo decreto legislativo poiché riduce concettualmente il numero di servizi e di prestazioni effettivamente riconducibili ad esso. L’espressione politica

sociale compare difatti unicamente in riferimento ai servizi sociali e all’edilizia residenziale pubblica121, come queste fossero un criterio in più, ma non indispensabile, per la pianificazione di interventi e l’allocazione di risorse, come se la persona, destinatario e fruitore degli interventi, non avesse un bagaglio di bisogni complessi che riguardano numerose e differenti sfere della vita, in taluni casi anche nello stesso momento.

La gestione separata e raramente sincronizzata dei servizi sociali, sanitari e sociosanitari ha creato numerose disfunzionalità e incentivato indirettamente una

119 Decreto legislativo n. 112/1998, art. 132.

120 La Comunità Europea, nelle direttive di attuazione del Programma di Lisbona, definisce come

servizi sociali “i servizi che svolgono un ruolo preventivo e di coesione sociale, forniscono un aiuto personalizzato per facilitare l’inclusione nella società e garantire il godimento dei diritti fondamentali. Essi comprendono, in primo luogo, l’assistenza ai cittadini confrontati a difficoltà personali o a momenti di crisi […]. In secondo luogo, comprendono attività miranti a garantire che gli interessati possano essere completamente reinseriti nella società […] e in particolare nel mercato del lavoro. […] In terzo luogo, rientrano nell’ambito di questi servizi le attività che favoriscono l’integrazione delle persone con esigenze a lungo termine a motivo di una disabilità o di un 0problema sanitario. Infine, in quarto luogo, sono compresi anche gli alloggi popolari, che permettono alle persone socialmente svantaggiate o meno avvantaggiate di ottenere un alloggio. Alcuni servizi possono ovviamente comprendere tutte e quattro le dimensioni”. Commissione delle Comunità Europee, Attuazione del programma comunitario di Lisbona:i servizi sociali d’interesse

generale nell’Unione europea, Comunicazione della Commissione, Bruxelles, 177, 2006, p. 4.

inefficienza legata indissolubilmente a fenomeni di spreco economico o di mancato corretto utilizzo di risorse, strumenti e strutture.

Si è cercato di superare questa concezione monodimensionale delle politiche sociali, espressione che nell’uso del plurale contiene chiaramente la molteplicità di soggetti e interventi in essa compresi e sottintesi, attraverso la Legge Quadro 328 del 2000 e le modifiche apportate successivamente al Titolo V della Costituzione. A seguito di questi provvedimenti normativi sono state progressivamente ridefinite le competenze in merito agli ambiti di intervento delle politiche sociali al fine di promuovere l’attuazione dell’organizzazione territoriale dei servizi sociali, sanitari e socio-sanitari in un’ottica di integrazione degli stessi servizi.

Una maggiore autonomia operativa in ambito locale ambisce a stimolare la nascita di nuove politiche sociali rigenerate e generative di nuove modalità di pratiche d’aiuto istituzionalizzate o a carattere privato, o del privato sociale, che verrebbero rielaborate in un’ottica di contestualizzazione degli interventi secondo cui i cittadini, e le stesse istituzioni periferiche, possono divenire attori protagonisti e non più solo soggetti intermediari dei percorsi di erogazione degli interventi di cura. Ciò comporterebbe un conseguente possibile miglioramento degli esiti implementativi in termini di equità di diffusione e fruizione dei servizi, di efficacia nel superamento del sentimento di bisogno e di efficienza grazie alla oggettiva prossimità tra gli attori istituzionali, ideatori ed attuatori, e quelli sociali destinatari, ma in alcuni casi essi stessi attuatori di politiche sociali informali di grande impatto in termini di efficienza, efficacia e immediatezza.

In virtù di tale prospettiva, i cittadini non vengono più visti come passivi destinatari delle politiche assistenziali, incapaci di offrire alcun tipo di contributo attivo all’ideazione oppure alla gestione del proprio benessere. Donati definisce questo quadro come il presupposto concettuale per la definizione in termini operativi del modello più classico dello Stato assistenziale in cui i cittadini vengono presi in cura e, passivamente, si lasciano assistere dalle istituzioni122.

L’autonomia nella gestione di alcuni ambiti della vita quotidiana è certo uno stimolo che promuove le capacità di autonomia e di indipendenza dallo Stato

assistenzialista che in Italia ha creato, gestito e condannato alla crisi il welfare

State. Il trasferimento di competenze ai soggetti pubblici locali e l’investimento di nuove responsabilità delle comunità locali è certamente una risposta alle tendenze ideologiche della società contemporanea e al contempo tende a modificare le gerarchie e le dinamiche relazionali con le istituzioni, creando nuove capillarità degli interventi e nella redistribuzione di beni e risorse.

Questo è il percorso sul quale il governo si è mosso per la successiva definizione dei criteri di decentramento delle pratiche di gestione dei servizi alla persona attraverso la legislazione riguardante il nuovo sistema integrato di interventi e servizi sociali.

2.3.3 Verso una reale integrazione territoriale dei servizi alla