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Il Piano Locale Unitario dei Servizi alla persona (Plus)

3 Verso nuovi modelli di welfare

4. La Regione Sardegna e l’implementazione territoriale dei servizi socio-sanitar

4.2 Il Piano Locale Unitario dei Servizi alla persona (Plus)

La diffusione delle prime forme di welfare State ha allontanato la comunità dal proprio primato nella cura alla persona, ai cittadini. Prima di allora il problema della povertà e dell’assistenza rientrava inizialmente tra le dirette competenze dei Comuni, spettatori diretti dei fenomeni di marginalità e promotori, nonché attuatori, degli interventi. Dal momento in cui sono state realizzate in Italia le prime forme di welfare State in ambito nazionale, il Comune, in quanto istituzione di prossimità, non è stato più considerato come il punto di partenza dell’assistenza ma solo come uno dei punti di passaggio nel processo di erogazione delle politiche sociali.

L’innovazione apportata dalla legge quadro 328/2000 riguarda in maniera sostanziale il cambiamento del rapporto tra Stato e Comuni. I Comuni, all’interno delle normative regionali e perciò secondo modalità contestualmente differenti, vedono riconsegnate a sé le competenze di cura relative al ruolo di sintesi espressiva della comunità di riferimento, secondo l’attuazione del principio di sussidiarietà.

La Sardegna, attraverso l’attuazione dei principi contenuti nella legge regionale 23/2005, ha attivato percorsi di coinvolgimento di tutte le istituzioni territoriali, con l’ambizione di definire, progressivamente, uno scenario in cui i Comuni potrebbero acquisire nuova centralità.

Come già affermato precedentemente, l’azione principale per la realizzazione di questo obiettivo è stata individuata dalla legge quadro nazionale nell’attivazione dei cosiddetti Piani di Zona243. Questi divengono quindi strumenti strategici di governo su scala territoriale per attivare nuovi percorsi di cura alla persona non più fondati sul principio di fruizione passiva dell’assistenza pubblica ma attraverso la promozione e il sostegno di percorsi di coinvolgimento comunitario integrati nelle pratiche di governance territoriale:

“parlare di piani di zona ci consente di parlare di comuni e di comuni associati, cioè del primo livello di erogazione degli interventi e dei servizi sociali dove cioè si manifestano concretamente i bisogni e dove si danno effettivamente le risposte. Un livello dove la teoria è costretta a confrontarsi costantemente con la pratica, in quanto i principi e le regole diventano azioni vere e proprie e comportamenti organizzativi. Un livello quindi dove si può parlare soltanto di modelli organizzativi, ma anche di abilità e capacità professionali, sia per gli aspetti manageriali e gestionali, che per quelli tecnici e di contenuto professionale. […] Parlare di piani di zona significa affrontare il tema dell’integrazione non in senso astratto, ma dentro l’organizzazione dei servizi.”244

L’integrazione tra differenti livelli istituzionali e tra questi e la cittadinanza comunitaria ha creato un nuovo terreno di contrattazione della partecipazione sociale e, in taluni casi, politica. La legge regionale 23/2005 ha esplicitamente indicato negli attori sociali e negli attori professionali i nuovi soggetti che sono chiamati a partecipare ai momenti di definizione e di implementazione delle politiche sociali territoriali. L’incremento del numero dei soggetti coinvolti nelle fasi di progettazione avrebbe conseguentemente determinato lo scostamento da parte delle istituzioni da una logica di government verso l’appropriazione di un’idea di governance intesa come una attività di governo svolta attraverso la mobilitazione e il coinvolgimento di soggetti pubblici, di soggetti del privato sociale, della società civile.

Gli studiosi anglosassoni hanno approfondito la distinzione concettuale esistente tra i termini government e governance245. Il termine ‘government’viene

244 A. Florea, R. Scortegnaga, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi

e servizi sociali, in “La Rivista di Servizio Sociale”, 1, 2002, p. 11.

245 Cfr. M. Geddes, J. Benington (eds.), Local Partnership and Social Exclusion in the European

Union: New Form of Local Social Governance?, Routledge, London, 2001; J. Newman,

Modernising Governance: New Labour, Policy and Society, Sage,London, 2001; C. Glendinning, M. Powell, K. Rummery, Partnerships, New Labour and the Governance of Welfare, Policy Press, Bristol, 2002; D. Leat, K. Seltzer e G. Stoker, Toward Holistic Governance: the New Reform

Agenda, Palgrave MacMillan, Basingstoke, 2002; K. Rummery, La partnership tra i servizi: e

poi?, in “La Rivista del Lavoro Sociale”, 2, 2006 (ed. or. Partnership and Collaborative

utilizzato per designare i livelli di governo gerarchicamente ordinati e che muovono da un principio di autorità per la definizione delle decisioni. A questa forma di esercizio del potere viene contrapposto il concetto di governance che indica un sistema di esercizio di governo in cui le decisioni sono frutto dello sforzo condiviso dei processi di consultazione e di condivisione diversamente organizzati. La realizzazione di politiche di governance attua dinamiche di regolazione sociale in cui vengono promossi il coordinamento e i coinvolgimento di vari enti e soggetti per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, evitando così l’esercizio di forme di coercizione autoritaria e l’applicazione di sanzioni per chi non rispetta compiti o regole:

“per appropriarsi di una logica di concertazione tra pari, che faccia della collaborazione e del confronto la base e la cosante di ogni intervento e di ogni fase dello stesso che vede coinvolta la comunità locale.”246

L’attuazione dei principi di governance consente la valorizzazione delle peculiarità, delle potenzialità e delle abilità di ogni attore coinvolto. È un concreto impegno a creare i presupposti pratici, le condizioni ambientali, istituzionali, politiche e legislative per la diffusione di esperienze legate all’idea di vincere la “scommessa della fatica feconda di forme di progettazione dialogica, permanente, dal basso”247.

La Regione Sardegna ha voluto indicare i propri Piani di Zona con l’acronimo Plus (Piano Locale Unitario dei Servizi alla persona). Questa scelta è legata alla volontà di attuare le indicazioni contenute nel Piano Sociale Nazionale

2001-2003 che individua nel Programma delle attività territoriali248 e nel Piano di Zona le due strategie concorrenti più adeguate a creare il sistema integrato dei servizi territoriali. Il Programma delle attività territoriali viene definito in ambito distrettuale e al suo interno sono contenute le indicazioni sui bisogni emergenti

246 G. De Robertis, La partnership possibile, in “Prospettive Sociali e Sanitarie”, 4, 2002, p. 66. 247 G. Magistrali, Questione di welfare. i presupposti culturali e politici della riforma dei servizi

sociali, in Id. (a cura di), Il futuro delle politiche sociali in Italia. Prospettive e nodi critici della

legge 328/2000, Franco Angeli, Milano, 2003, p. 38.

nel territorio e sugli interventi di natura sanitaria e sociosanitaria necessari per affrontarli. I Piani di Zona sono invece indirizzati alla definizione delle strategie programmatorie in risposta ai bisogni di natura sociale e sociosanitaria. Appare quindi evidente la complementarietà degli orientamenti appena esposti.

I Plus, così come sono stati pensati dalla Regione Sardegna, mirano a gestire all’interno di un’unica dimensione strategica la programmazione degli interventi in ambito sanitario, sociosanitario e sociale, promuovendo e regolamentando l’integrazione istituzionale, gestionale, professionale e

comunitaria, tra Azienda Sanitaria Locale e i soggetti pubblici e privati presenti ed operanti nel territorio249.

Il perseguimento di livelli adeguati di integrazione negli ambiti appena enunciati sembrerebbe essere il punto cardine della visione di servizi comunitari integrati che caratterizza i Plus. Nel caso dell’integrazione istituzionale i soggetti che condividono responsabilità e risorse sono gli stessi enti pubblici coinvolti nell’azione di presa in carico dei bisogni della popolazione, con particolare riferimento agli enti locali. L’integrazione gestionale coinvolge tutti i centri di erogazione dei servizi, siano essi pubblici oppure privati. Per integrazione

professionale si intende invece quel percorso che mira a coordinare tutte le professioni operanti quotidianamente nel sistema sanitario, sociale, educativo per offrire risposte alle persone e alle famiglie. Infine, con l’espressione integrazione

comunitaria si fa riferimento alle forme di collaborazione, coinvolgimento e responsabilizzazione ai percorsi di cura che prevedono l’attività congiunta di professionisti, volontari e familiari delle persone che necessitano di uno specifico intervento di assistenza.

Il completo raggiungimento di questi quattro differenti ma complementari livelli di integrazione agevola la definizione di uno scenario operativo in cui sia possibile il riconoscimento della complessità dimensionale di ogni singolo bisogno e, al contempo, l’attivazione di percorsi di cura che non solo siano

249 In questo caso il territorio viene inteso come “un ambito, contesto ecologico sistemico, dove le

persone vivono e si incontrano, dove si possono trovare le risorse ma anche dove nascono i problemi, ed è sul rapporto tra questo contesto e gli individui/famiglia che l’assistente sociale del comune, quindi del territorio, deve operare sia in senso preventivo che promozionale”. L. Gui, Le

sfide teoriche del servizio sociale. I fondamenti scientifici di una disciplina, Carocci, Roma, 2004, p. 115.

multiprofessionali ma che comprendano anche il coinvolgimento, la responsabilizzazione, l’empowerment dei soggetti sociali coinvolti per via di prossimità relazionale o per via di condizioni di disagio, di difficoltà, simili o uguali.

Questo approccio contestualizza le forme e le modalità di creazione delle politiche sociali comunitarie, favorendo il percorso di territorializzazione dei servizi alla persona. Le azioni poste in essere attraverso i Plus avrebbero così un reale carattere locale che consentirebbero di raggiungere gli obiettivi della programmazione e dell’attuazione dell’intervento in modo efficace ed efficiente, coinvolgendo al contempo la comunità di attori (siano essi fruitori o promotori- gestori dei servizi) e il territorio in tutte le sue manifestazioni composite250.

La conoscenza dei bisogni e delle problematiche locali è una conoscenza in

fieri, in divenire, una conoscenza che non può e non deve mai ritenersi completa per via della natura mutevole del mondo della vita quotidiana e dei bisogni delle persone.

La quotidianità dovrebbe perciò essere il campo di progettazione e di definizione degli interventi, il contesto adeguato per calibrare e verificare l’efficacia degli strumenti operativi nell’interpretazione della realtà e nei necessari interventi. Ciò renderebbe più agevole l’utilizzo di una prospettiva di problem

making secondo la quale la conoscenza del problema in quanto tale dovrebbe essere preceduta dalla conoscenza del contesto socio-culturale, delle cause plurime del disagio che hanno portato alla manifestazione del disagio.

Inoltre la progettazione deve essere trasferibile ma non clonabile. Con ciò si intende che ogni tipologia di sperimentazione eseguita all’interno dei percorsi di integrazione dei servizi alla persona dovrebbe poter essere considerata dagli attori di altre comunità, a volte limitrofe a volte distanti nello spazio, come un esempio a cui ispirarsi per l’attivazione di percorsi simili ma non come modello da ripetere pedissequamente. Le differenze contestuali all’ambiente sociale, culturale, economico e storico non consentono la riproduzione pedissequa, la ripetizione delle pratiche già sperimentate. L’idea di una esperienza trasferibile da un contesto ad un altro dovrebbe sempre presupporre un momento di adattamento, di

250 Cfr. V. Castelli, La progettazione sociale, in G. Magistrali (a cura di), Il futuro delle politiche

rimodulazione dei caratteri implementativi ed attuativi alla luce dei risultati riscontrati in itinere, per evitare standardizzazioni, burocratizzazioni oppure attuazioni decontestualizzate e perciò prive di reale ragion d’essere:

“in questo continuo avvicendarsi […] di obiettivi, [i Plus] assumono necessariamente un carattere sperimentale, evitando di divenire un documento statico e subito vecchio, per assumere il ruolo di un indirizzo delle politiche continuamente ridefinito sulla scorta dell’analisi del percorso fatto.”251

L’orientamento dei Plus tende perciò a realizzare una modalità attuativa tipica di quel modello di programmazione operativa definito da alcuni a logica

incrementale252. Il fulcro concettuale di questo modello risiede nell’idea sostanziale che la realtà si crei per piccoli passi, secondo una costante successione di brevi momenti durante i quali essa viene sempre ridefinita istantaneamente per l’influenza esercitata da tutti gli attori in essa coinvolti253. In questa prospettiva si esplicitano nuove forme di regolazione sociale che contribuiscono alla definizione e al rinnovamento del sistema dei servizi alla persona attraverso pratiche sociali di confronto, di conflitto, di consenso e di mediazione. Come sostiene anche Dal Lago:

251 A. Battistella, Costruire e ricostruire i Piani di Zona, op. cit., p. 54.

252 Remo Siza indica questo modello con l’espressione “pianificazione strategica”, la quale

“definisce più puntualmente gli obiettivi e le direzioni di sviluppo e su queste basi definisce il progetto di trasformazione, crea alleanze, promuove azioni di coordinamento, individua mezzi con flessibilità e con attenzione costante agli effetti che produce ogni azione attivata. […] La pianificazione strategica privilegia la dimensione interattiva della decisione in quanto le decisioni della pianificazione coinvolgono molti attori. L’implementazione non costituisce il momento successivo alla predisposizione del progetto ma è parte integrante di esso”. R. Siza, Progettare nel

sociale. Regole, metodi e strumenti per una progettazione sostenibile, Franco Angeli, Milano, 2002, p. 58. Inoltre, in merito all’approfondimento delle riflessioni sulle differenti modalità di progettazione sociale si rimanda, tra i tanti, ai saggi di: M. Mondino, F. Motta, Progettare

l’assistenza, NIS, Roma, 1994; L. Fazzi, Il metodo nella costruzione dei Piani di Zona, in “Prospettive Sociali e Sanitarie”, 5, 2002; R. Siza, Una progettazione sostenibile, in “Animazione Sociale”, 12, 2002; M.C. Setti Bassanini, La logica incrementale, in “Prospettive Sociali e Sanitarie”, 8, 2003; A. Zenarolla, Costruire qualità sociale. Indicazioni teoriche e operative per lo

sviluppo della qualità nei servizi, Franco Angeli, Milano, 2007.

253 Leach e Steward definiscono questa modalità progettuale nel contesto della realizzazione di

politiche sociali, caratterizzata sostanzialmente da spostamenti incrementali rispetto alle posizioni acquisite, con l’espressione “ingegneria sociale a pezzi”. Cfr. S. Leach, J. Steward (eds.),

“conoscere significa in definitiva gettare reti di uniformità e regolarità nel mare dei mondi fenomenici – ma sempre con la consapevolezza che tale attività è interminabile, e soprattutto esposta alla possibilità di cambiamenti incontrollabili di prospettiva, di mutamenti di rotta che possono alterare gli stessi oggetti della ricerca.”254

In un simile contesto non può trovare luogo un approccio di tipo razional- sinottico che genera programmazioni autoreferenti che presuppongono una profonda e una sicura conoscenza di tutti gli aspetti della realtà in cui si andrà ad agire. Questo consiste in una razionalità sostanzialmente strumentale che esplica la propria azione secondo i rigidi schemi di un procedimento scientifico matematico finalizzato al raggiungimento di un preciso risultato. Questo è un modello in cui si prevede di fissare obiettivi precisi in funzione di una precedente identificazione puntuale e dettagliata dei bisogni e delle domande cosicché sia reso possibile il loro perseguimento e il loro soddisfacimento secondo strategie

razionali, cioè con l’utilizzo di strumenti adeguati e sufficienti.

Il modello razionale di tipo sinottico presuppone una profonda conoscenza dell’ambiente in cui si interviene, conoscenza che può sussistere e produrre efficaci interventi solo in funzione di una rappresentazione fotografica, e perciò statica, della realtà. Sostanzialmente, questo è l’approccio da sempre utilizzato dalle istituzioni centrali (razionalità burocratica) nel creare i disegni e le strategie di welfare State in ambito nazionale. Ciò che questo approccio garantisce non è l’efficacia degli interventi ma piuttosto la certezza della prevedibilità degli effetti della propria azione, ovverosia la tipologia degli interventi che saranno posti in essere, a prescindere da qualsiasi riferimento contestuale255.

254

A. Dal Lago, L’ordine infranto. Max Weber e i limiti del razionalismo, Edizioni Unicopli, Milano, 1983, pp. 37-38.

255 Secondo la declinazione del concetto di razionalità sinottica, la sicurezza delle aspettative

diviene l’elemento fondamentale dell’ordine razionale delle cose. Viene così a definirsi la distinzione tra il mondo razionale, ordinato, calcolabile, classificabile e prevedibile, e il mondo

non razionale, in cui vige il disordine, il caos, la confusione e tutto ciò che è incontrollabile. Émile Durkheim aveva definito gli elementi della realtà riferibili al mondo non razionale come elementi

patologici, ovvero non universalmente diffusi e pertanto disfunzionali alla sopravvivenza dell’organismo sociale. Cfr. É. Durkheim, Le regole del metodo sociologico, Edizioni di Comunità, Milano, 1979 (ed. or. Les règles de la méthode sociologique, Alcan, Paris, 1908). Per un approfondimento sulle tematiche e le teorizzazione riguardanti le pratiche della razionalità si rimanda inoltre, fra i tanti, a: A. Fadda, Dinamiche della razionalità, Carocci, Roma, 2002.

La progettazione a logica incrementale consente quindi di rendere efficienti, efficaci ed immediati gli interventi ideati per una realtà specifica che esprime un bisogno particolare attraverso un gruppo ristretto di attori in un determinato momento storico. Anche questa potrebbe essere definita come una progettazione su una fotografia della società. Ciò che distingue questo caso dall’esempio precedente è che, nel momento stesso in cui i soggetti preposti alla valutazione degli interventi messi in atto riscontrassero un effettivo cambiamento in uno dei fattori, in una delle informazioni, in una delle risposte della comunità, in una delle variabili sociali su cui l’intervento stesso era stato modellato, allora essi potrebbero intervenire immediatamente per fornire risposte più adeguate oppure per ridiscutere le stesse modalità di intervento con tutti gli attori territoriali coinvolti.

L’attuazione di questa strategia richiede molta dedizione e molta attenzione nel riconoscimento e nella lettura dei fenomeni sociali, economici, culturali e storici di ogni comunità coinvolta. Questa pratica all’attenzione, all’ascolto, alla cura dei particolari e delle persone sviluppa la capacità di studiare, comprendere ed interpretare sempre più correttamente gli indizi di mutamento forniti dalla realtà sociale osservata, una qualità estremamente importante per gli attori coinvolti nelle fasi di creazione e di implementazione delle politiche sociali territoriali:

“i progetti devono essere valutati non per le trasformazioni dell’ambiente che producono, ma per il modo in cui ci aiutano a migliorare la nostra comprensione dei problemi presenti e futuri.”256

L’obiettivo che si prefiggono i Plus parrebbe corrispondere principalmente alla parte finale di quest’ultima citazione. Gli attori che partecipano all’implementazione dei progetti inseriti nei Plus vengono difatti a definirsi come esperti e profondi conoscitori della realtà in cui i servizi verranno resi disponibili, di un contesto in cui il carattere monodirezionale delle relazioni tra le istituzioni e

la società civile viene modificato in un’ottica di realizzazione di una sempre maggiore partecipazione delle comunità ai momenti di policy making.

Lo stesso Piano Regionale dei Servizi Sociali e Sanitari257, che precede di

pochi mesi la legge regionale 23/2005, indica chiaramente gli orientamenti futuri per il perseguimento degli obiettivi di riqualificazione del sistema di offerta dei servizi secondo criteri maggiormente relazionali nelle interazioni tra istituzioni e società civile. Le priorità emerse in seno a questo argomento riguardano la necessità, percepita innanzitutto dalle istituzioni, di promuovere la realizzazione di una programmazione locale unitaria per l’integrazione di innovativi percorsi decisionali in modo partecipato nel territorio.

Come già detto precedentemente, il principio di integrazione è il leit motiv della parabola attuativa del nuovo disegno dei servizi alla persona e caratterizza differenti momenti del percorso di definizione di questi. La realizzazione di tale obiettivo necessita della costituzione di alcune condizioni ambientali e politiche specifiche che contribuiscano a determinare il buon esito delle azioni politiche.

In sostanza si rende necessario mettere realmente in pratica un modello di creazione dei servizi che segua realmente le logiche della razionalità limitata, provvisoria ed incrementale. Questo modello di razionalità fonda la propria azione sul presupposto secondo cui non è possibile essere a conoscenza di tutti gli aspetti, di tutte le variabili intervenienti caratterizzanti la realtà verso cui le finalità dell’agire razionale sono orientate258. Ciò consente di non cadere nella trappola della standardizzazione e della burocratizzazione degli interventi ma di andare oltre la lettura routinaria ed istituzionale dei bisogni.

Ritornando al discorso precedente, prima di affrontare la soluzione del problema è ancora più indispensabile riconoscerne profondamente la natura complessa, le cause e i contesti in cui si manifesta per poter delimitare il proprio

257 Piano Regionale dei Servizi Sociali e Sanitari, deliberazione della Giunta Regionale 4/21 del 10

febbraio 2005.

258 Tra i tanti si rimanda a: H.A. Simon, Il comportamento amministrativo, il Mulino, Bologna,

1967 (ed. or. Administrative Behaviour: a Study of Decision-making Processes in Administrative Organization, MacMillan, New York, 1961); Id., Causalità, razionalità e organizzazione, il Mulino, Bologna, 1985; J.G. March, H.A. Simon, Teoria dell’organizzazione, Edizioni di Comunità, Torino, 1979 (ed. or. Organizations, Chapman & Hall, London, 1958); R. Brubaker, I

limiti della razionalità, Editore Armando, Roma, 1989 (ed. or. The Limits of Rationality: An Essay

on the Social and Moral Thought of Max Weber, Allen & Unwin, London, 1984); A. Fadda,

ambito di intervento e così rendere più efficace ed efficiente la propria azione

limitata.

È perciò necessario affidarsi a pratiche concertate di problem making attraverso cui costituire un sistema informativo territoriale integrato, previsto nei

Plus all’interno dell’ambito provinciale, e attraverso il quale promuovere la partecipazione diretta della cittadinanza nel definire con accuratezza le peculiarità ambientali e le specificità dei servizi indispensabili, cosicché il Plus possa divenire uno strumento collettivo e collaborativo per diversi attori.