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La proposta di analisi di Gøsta Esping-Andersen

Alla luce dei profondi mutamenti appena esposti, la sociologia contemporanea ha manifestato la necessità di ridefinire i propri modelli interpretativi del welfare State che abbiano l’ambizione di divenire più adeguati nell’interpretare la realtà di quanto non lo siano oggi quelli elaborati da Titmuss.

Tra i tanti studiosi contemporanei che si sono occupati di affrontare questo tema, si è posta alla ribalta internazionale l’analisi di Gøsta Esping-Andersen. Egli, nel suo libro intitolato The Three Worlds of Welfare Capitalism38, presenta i due approcci che, secondo la sua prospettiva, potrebbero essere utili a interpretate le cause e i fattori di mutamento nelle nuove forme del welfare State:

38 Cfr. G. Esping-Andersen, The Three Worlds of Welfare Capitalism, Polity Press, Cambridge,

- L’APPROCCIO SISTEMICO/STRUTTURALISTA: conosciuto anche come approccio

contestualista, secondo questa prospettiva il ‘sistema’ stabilirebbe tutto e perciò tutto ciò che accade nella società accadrebbe col fine di agevolare o tutelare la riproduzione della stessa società e del suo sistema economico. Esping-Andersen sostiene che “l’industrializzazione rende la politica sociale sia necessaria sia possibile”39, giacché essa ha minato gravemente il ruolo e la funzione pratica delle prime forme di riproduzione sociale (la famiglia e la Chiesa)40. In questo contesto il mercato si rivela attore inadeguato alla gestione delle politiche sociali e al mantenimento della struttura sociale, giacché solo chi è in grado di sostenere i costi dei servizi offerti dallo stesso mercato può fruirne. Il welfare State si afferma progressivamente come valido ed efficace erogatore di servizi e beni anche grazie alla crescita dell’apparato burocratico inteso come forma razionale, universalistica ed efficiente di organizzazione delle funzioni dello Stato e delle politiche sociali ad esso connesse.

- L’APPROCCIO ISTITUZIONALISTA41: l’impianto e i contenuti dei programmi del

welfare State dei vari paesi sarebbe condizionato sostanzialmente dalle idee e dalle decisioni dei “decisori politici”, cosicché il contesto diventi un fattore marginale e distante dai reali luoghi decisionali. Le istituzioni sarebbero in questo caso investite del compito di supervisionare l’operato dell’economia la cui azione, se abbandonata ai cosiddetti principi di mercificazione e di autoregolamentazione del mercato neo-liberista sostanzialmente avulsi dal contesto sociale, porterebbero a risultati nefasti e a conseguenze dannose in termini di mantenimento

39 “Industrialization makes social policy both necessary and possible”, (nostra traduzione). Ivi, p.

13.

40 Cfr. P. Flora, J. Alber, Modernization, Democratization and the Development of Welfare State in

Western Europe, in P. Flora, A.J. Heidenheimer (eds.), The Development of Welfare State in

Europe and America, Transaction Books, London, 1981 (ed. it., Lo sviluppo del welfare State in

Europa e in America, il Mulino, Bologna, 1983). Inoltre, in merito al rapporto tra Chiesa Cattolica e il welfare State si rimanda a: K. Van Kesbergen, Social Capitalism. A Study of Christian

Democracy and the Welfare State, Routledge, London-New York, 1995.

41 Nella definizione dei caratteri essenziali dell’approccio istituzionalista Esping-Andersen si basa

su una prima interpretazione dell’influenza delle istituzioni e dei suoi attori nell’evoluzione del

welfare State elaborata precedentemente da Heclo. Nei suoi studi sui processi decisionali che diedero origine ai sistemi assicurativi universalistici egli mise in evidenza il ruolo determinante operato dagli orientamenti politici ed ideologici del personale burocratico che rispondevano alle influenze di un determinato contesto culturale, politico, sociale e istituzionale. Cfr. H. Heclo,

dell’integrità sociale, in virtù del principio secondo cui “ogni sforzo volto a separare l’economia dalle istituzioni sociali e politiche distruggerà la società umana. L’economia deve essere parte integrante delle comunità sociali al fine di garantire la propria stessa sopravvivenza”42.

Secondo le prospettive appena esposte la politica sociale verrebbe perciò vista come un prerequisito fondamentale per la rinascita dell’economia sociale nei termini proposti, tra i tanti, da Karl Polanyi. Egli sostiene, difatti, che l’economia non dovrebbe essere considerata come un sistema alienato dalla vita sociale quotidiana. Difatti, i sostenitori delle dottrine neoliberiste del “mercato autoregolantesi” affermano con vigore che l’economia globale possa svilupparsi senza elaborare alcun legame con gli ambiti sociale e territoriali. Polanyi, invece, è convinto assertore dell’aspetto sociale insito nell’economia stessa e del possibile ritorno a una economia embedded, contestualizzata e, soprattutto, solidale. Secondo questo approccio, le persone non agirebbero per natura con l’intento individuale di accumulare beni e ricchezze. Il possesso di beni materiali sarebbe tendenzialmente dettato, invece, dalla volontà di salvaguardare la propria posizione sociale, i propri vantaggi sociali, ciò secondo una prospettiva di integrazione relazionale e sociale43. Secondo questo approccio, a sostanziale

carattere comunitario, l’economia sociale verrebbe guidata dall’interesse della collettività e controllata attraverso lo strumento politico, cosicché l’interesse individuale avrebbe la propria ragione di esistere solo nella misura in cui questo non creasse delle sperequazioni nella redistribuzione del benessere.

Il legame tra economia e società viene altresì evidenziato da Katzenstein44 e

da Cameron45. Le ricerche di questi studiosi, incentrate fondamentalmente sull’analisi del rapporto esistente tra la tipologia di alcuni mercati nazionali e la maggiore o minore rapidità, o necessità, di questi a costituire un sistema di

42 “Any effort to isolate economy from social and political institutions will destroy human society.

The economy must be embedded in social communities in order for it to survive” (nostra traduzione). G. Esping-Andersen, The Three Worlds of Welfare Capitalism, cit., pp. 14-15.

43 Cfr. K. Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino, 1974 (ed. or. The Great

Transformation, Holt, Rinehart & Winston, New York, 1944).

44 Cfr. P.J. Katzenstein, Small States in Worlds Markets, Cornell University Press, Ithaca, 1985. 45 Cfr. D. Cameron, The Expansion of the Public Economy: a Comparative Analiysis, American

welfare, conducono a ritenere che il welfare State nasca, e si definisca come tale, molto più prontamente nelle piccole economie a carattere aperto. Ciò sembrerebbe essere dovuto al loro carattere di particolare vulnerabilità che si riflette anche sulle società ad esse legate, di fronte al potere e all’influenza del mercato internazionale.

Gli approfondimenti teorici di Esping-Andersen hanno portato a evidenziare quelli che lui stesso ha definito “i tre pilastri del welfare” (The three welfare

pillars)46: il mercato, la famiglia e il governo. Il primo è uno dei pilastri dell’intera vita sociale giacché gli introiti economici derivano da forme di lavoro retribuito e nello stesso mercato acquistiamo la maggior parte dei servizi di cui abbiamo necessità. La famiglia continua a essere, anche ai giorni nostri, una importante fonte primaria di sicurezza e di sostegno, soprattutto alla luce delle sempre più numerose forme di precarietà sociale diffuse. Il ruolo del governo è invece fondato su un patto sociale redistributivo (redistributive social contract) che è frutto del principio di solidarietà sociale che lo eleva al ruolo di garante della equa re-distribuzione del benessere. Esping-Andersen sostiene altresì che il terzo settore si inserisce all’interno di questo schema concettuale come un “quarto pilastro”, anche se corre sempre il rischio di cedere alle tentazioni del mercato oppure di cadere nella rete della dipendenza dai finanziamenti dello Stato.

Tralasciando il ruolo rivestito dagli organismi di terzo settore, appare evidente la forte reciprocità che lega i tre pilastri sociali di produzione di welfare. Il contesto storico e socio-culturale nel quale essi interagiscono, la loro capacità di far fronte all’adempimento dei compiti e ruoli che gli vengono riconosciuti in termini di produzione di politiche di integrazione e sostegno, e le stesse modalità di interazione, sovrapposizione e scambio che essi attuano, determinano e caratterizzano la nascita di ogni peculiare forma di welfare State esistente:

46 Cfr. G. Esping-Andersen, Why We Need a New Welfare State, Oxford University Press, Oxford,

“The real world of welfare is the product of how the three welfare

pillars interact. If one pillar ‘fails’, there is either the possibility that the responsibility is absorbed in the two remaining pillars.”47

I “tre pilastri del welfare” vengono assunti da Esping-Andersen come strumenti di interpretazione della realtà. Essi vengono affiancati da altri elementi che riversano una grande influenza nelle dinamiche di definizione dei confini esterni ed interni dello stesso welfare State e che sono stati individuati dall’autore nella specifica tipologia di mobilità di classe (particolare riferimento alla classe operaia) presente nella società; nelle relazioni che intercorrono tra la dimensione politica e le classi sociali; nella tradizione storica delle istituzioni di governo.

All’origine dell’approccio analitico delle risultanze emergenti dalle confluenze e dagli intrecci di questi fattori, egli pone due concetti fondamentali precedentemente citati: la dimensione di demercificazione (decommodification) e quella di destratificazione (destratification). Con il termine ‘demercificazione’ Esping-Andersen fa riferimento alla capacità di un dato sistema di welfare di garantire ai cittadini la possibilità di astenersi dal lavoro senza subire la perdita di questo o di altre garanzie di benessere, sottraendo perciò alcuni momenti o bisogni della vita delle persone al controllo e alle regole del mercato, in questo caso specifico del mercato del lavoro48. Con il termine ‘destratificazione’ l’autore indica invece il livello secondo cui la conformazione interna del welfare State consentirebbe di limitare o cancellare le differenze sociali legate allo status (differenziali di status) occupazionale o di classe sociale49.

47 “Il welfare reale è il risultato del modo in cui i tre pilastri interagiscono reciprocamente. Se

l’azione di uno dei pilastri viene meno, c’è sempre la possibilità che i rimanenti pilastri si assumano la responsabilità di sopperire a tale fallimento” (nostra traduzione). G. Esping-Andersen,

Towards the Good Society Once Again?, in ivi, p.13.

48 Il concetto ‘demercificazione’ viene utilizzato precedentemente da Kopitoff il quale lo collegava

agli oggetti inanimati sostenendo che, nel momento in cui un qualsiasi bene materiale viene ricondotto in un determinato contesto ideale, esso perde il valore di “merce” per acquisirne uno in certi termini maggiore perché legato alla sfera emotiva, sentimentale, ecc. Se questo discorso vale per gli oggetti, ancora di più esso vale per le persone, che al contempo sono anche lavoratori (valore mercificato della persona). Cfr. I. Kopitoff, The Cultural Biography of Things:

Commoditization as Process, in A. Appadurai (ed.), The Social Life of Things. Commodities in

Cultural Perspective, Cambridge University Press, Cambridge, 1986.

Seguendo questi presupposti teorici, Esping-Andersen individua tre tipologie di regimi di welfare State:

- IL WELFARE STATE NEO-LIBERALE

Nato sotto la pesante influenza della borghesia e dei valori liberali, il welfare State

neo-liberale è caratterizzato da una forte spinta verso i servizi offerti dal mercato attraverso l’elaborazione di piani socio-assistenziali pubblici di scarsa portata. All’interno di questo scenario, lo Stato diviene sostenitore degli interessi del mercato sia direttamente, attraverso il finanziamento di sistemi di previdenza privati, sia indirettamente, offrendo cioè servizi minimi50 con un conseguente ed inevitabile altissimo grado di mercificazione dei servizi. I benefici di queste politiche di welfare State raggiungerebbero prevalentemente le classi a basso reddito (soprattutto classe operaia e dipendenti statali) con conseguenti fenomeni di stigmatizzazione. Alcuni esempi emblematici di Stati che hanno attuato politiche di welfare State a carattere neo-liberale sono gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, il Regno Unito.

- IL WELFARE STATE CORPORATIVISTA

È caratterizzato dalla forte eredità storica statalista-corporativista in cui l’idea che il mercato possa garantire maggiore efficienza nell’erogazione di servizi non trova realizzazione né sostegno e lo Stato è l’unico garante dell’erogazione dei servizi per tutti e il mercato ha perciò svolto sempre un ruolo estremamente residuale. Questa prospettiva presta grande attenzione al garantire la tutela dei diritti sociali anche se è palesemente un sistema che mantiene inalterate le differenze di classe. Nelle politiche sociali emerge il carattere residuale degli interventi, difatti “la cura quotidiana, e così altri servizi per la famiglia, sono chiaramente poco sviluppati: il principio di ‘sussidiarietà’ serve ad enfatizzare il fatto che lo Stato interverrà

50 “[The liberal welfare model] seeks actively to sponsor market solutions. It pursues this via the

double strategy of encouraging private welfare provisions as the norm, and by limitino public responsabilities to acute market failures”. “[Il modello liberale del welfare] cerca costantemente di promuovere le soluzioni offerte dal mercato. In questo modo persegue il duplice obiettivo di incoraggiare, secondo norma, l’offerta privata di welfare e di limitare la responsabilità pubblica nei confronti degli evidenti fallimenti del mercato” (nostra traduzione). G. Esping-Andersen, Towards

the Good Society Once Again?, in G. Esping-Andersen, Why We Need a New Welfare State, cit., p.15.

solamente quando la famiglia avrà esaurito le proprie capacità di aiutare i propri membri”51. Alcuni esempi emblematici sono la Germania, l’Austria, la Francia,

l’Olanda.

- IL WELFARE STATE SOCIALDEMOCRATICO

Lo Stato si fa garante unico nel fornire servizi gratuiti per tutti i cittadini e nella promozione dei principi di uguaglianza sociale in termini di standard più elevati nei servizi garantiti a tutta la popolazione. L’altissimo grado di de-mercificazione dei servizi e i principi universalisti che connotano questo modello creano un contesto in cui diviene possibile realizzare uno Stato sociale che accoglie attese e necessità differenti e in cui il mercato non può trovare un proprio spazio giacché tutti beneficiano, tutti dipendono, tutti si sentono in dovere di contribuire alla promozione e al sostegno delle politiche sociali di questa natura. Per la realizzazione di questi principi si rende necessario garantire la piena occupazione dei cittadini poiché il diritto al lavoro viene considerato in quest’ottica un bisogno fondamentale52 che deve essere soddisfatto per favorire i processi di integrazione sociale. Il welfare State socialdemocratico ha come obiettivo quello di prevenire l’insorgere dei bisogni promuovendo l’indipendenza delle persone e non la loro dipendenza dai servizi. Esso è realizzabile unicamente in quegli Stati in cui la social-democrazia è la forza propulsiva delle innovazioni sociali. Alcuni esempi emblematici in questi termini sono la Svezia, la Danimarca, la Norvegia, Cuba.

Nella tabella che segue abbiamo cercato di sintetizzare i caratteri dei regimi di welfare appena enunciati:

51 “Day care, and similar family services, are conspicuously underdeveloped; the principle of

‘subsidiarity’ serves to enphatize that the state will only interfere when the family’s capacity to service its members is exhausted” (nostra traduzione). G. Esping-Andersen, The Three Worlds of

Welfare Capitalism, cit., p. 27.

52 Un bisogno può essere definito fondamentale se, qualora non fosse soddisfatto, ostacolasse il

completo sviluppo di un essere umano. Alcune classi di bisogni, come il bisogno di protezione, il bisogno di benessere, il bisogno di libertà e il bisogno di identità, rappresentano un piccolo

denominatore comune delle aspirazioni degli uomini che rende quei bisogni definibili come

universali. Cfr. J. Galtung, I bisogni fondamentali, in A. Tarozzi (a cura di), Visioni di uno

Tabella 1: I regimi di welfare in Esping-Andersen

Modello neo-liberale corporativista Modello socialdemocratico Modello Mercificazione dei

servizi ALTA BASSA QUASI ASSENTE

Uguaglianza sociale BASSA BASSA ALTA

Intervento dello

Stato MINIMO ALTO TOTALE

Dalla tabella riassuntiva si può chiaramente evincere il carattere puramente indicativo e generalizzante dei regimi di welfare elaborati dall’autore. Il modello

neo-liberale e quello corporativista si pongono come esempi estremi di un ambito di riferimento conservatore in cui il grado di destratificazione appare sempre molto basso, pur con declinazioni totalmente contrastanti per ciò che riguarda il livello di demercificazione dei servizi e la presenza dello Stato quale garante dei diritti dei cittadini.

Particolare appare l’esempio del modello socialdemocratico. In questo caso il ruolo totalitario ricoperto dallo Stato nel percorso di ideazione, di controllo, di erogazione e di gestione delle politiche sociali condiziona in modo estremo i gradi di presenza degli altri due aspetti determinanti i regimi di welfare. Difatti, in questo caso il grado di destratificazione è molto alto, con una conseguente tendenza del welfare State a garantire concretamente l’uguaglianza dei cittadini, e così accade anche per il grado di demercificazione del welfare State, il che garantirebbe pari opportunità di indipendenza dall’influenza del mercato su alcuni ambiti della vita personale.